“Il calcio rispetti le regole del mercato, faccia come i dilettanti”

“Il calcio rispetti le regole del mercato, faccia come i dilettanti”

Calcio di rigore su un campo di provincia a Meloncello, Bologna (Da Flickr: Emanuele Rosso) Clicca sulla foto per vedere se ha segnato

Pochi soldi. Poca fama. Il calcio dei dilettanti (dalla serie D giù fino alla Terza categoria) sembra quasi un altro sport rispetto alla ribalta della serie A. Si gioca su migliaia di campi di provincia ed è la vera colonna portante del pallone italiano. Ma a differenza di serie B e Lega Pro riceve pochi aiuti dall’alto e deve bastare a se stesso. Carlo Tavecchio, 69 anni, è dal 1999 il presidente della Lega Nazionale Dilettanti. A ottobre si voterà per rinnovare la carica e lui assicura: «Mi ricandido». Di Como, già dirigente bancario, è stato per vent’anni sindaco di Ponte Lambro, paese della Brianza comasca.

Tavecchio, la serie A inizia dopo un’estate frustrante per i tifosi. Con un calciomercato da tempo di crisi: fatto di tante cessioni eccellenti e pochi arrivi di peso…
Penso che la situazione che si sta verificando in serie A, coi presidenti costretti a fare, rispetto al passato, le squadre “in economia”,  sia inevitabile. È la strada che i grandi club devono percorrere. Non ci sono alternative. O così, o il sistema arriverà al collasso. Inter e Milan sono esempi del cambiamento di rotta. Per i club della massima serie è necessario ridurre i costi fissi, ridimensionare esposizioni bancarie non più gestibili, tenere conto delle coperture di bilancio, anche prendendo coscienza del fatto che in Italia i ricavi vengono quasi interamente dai diritti televisivi. E che senza la tv tutto sarebbe già crollato. Come presidente dei dilettanti sono orgoglioso del fatto che nelle nostre serie le società hanno bilanci con regole civilistiche e devono rispondere alle normali dinamiche del mercato: reggersi in piedi da sole; far quadrare i conti con la pubblicità, gli sponsor e le modeste entrate delle biglietterie e della cartellonistica. Ci sentiamo la parte sana del calcio. Il mondo sta andando sempre più verso una frontiera netta tra professionisti e non professionisti: la serie A deve ridimensionarsi un po’ ed evitare le follie finanziarie degli ultimi anni, e può stare in piedi. Noi siamo abituati da sempre a farlo. Più dura è per chi sta in mezzo…

Cioè?
La serie B ha provvidenze per 70 milioni di euro. La Lega Pro (la ex serie C) per 25. Solo in Lega Pro, quindi, dato che tra prima e seconda divisione le squadre sono una settantina, si parla di una media di oltre 350mila euro a formazione. Insomma, si tratta di campionati non autosufficienti. Di campionati assistiti. Noi invece riceviamo solo 10 milioni dalla mutualità dei diritti televisivi. Per migliaia di squadre.

Migliaia?
Solo in serie D sono 166. E poi ci sono tutte le serie minori: circa 500 società in Eccellenza, 1.100 in Promozione, 2.000 in Prima categoria, 4.000 in Seconda e 6.000 in Terza. E poi il calcio a 5, il beach soccer e il calcio femminile… Insomma, sotto la Lega Nazionale Calcio Dilettanti abbiamo 15mila società. E, attenzione: ogni società ha una media di sei squadre (i vari settori giovanili). Quindi abbiamo oltre 70mila squadre e un milione e quattrocentomila calciatori. Per ogni giocatore che va in A ci sono 12mila aspiranti. E il lavoro di maturazione, di formazione, ricade sul calcio dilettantistico, ben più che sulla B e sulla Lega Pro. Cade insomma sulla federazione numericamente più grande, che non prende soldi dall’alto e si sostiene da sola. Prima o poi dovremo presentare il conto al governo…

La serie D sta facendo da bacino anche alla Lega Pro, in questi anni, con i tanti ripescaggi…
Sì, ma ora siamo a una svolta. Il presidente federale ha dichiarato testualmente che l’anno venturo ci sarà uno stop ai ripescaggi se non si farà la riforma del format dei campionati. La Lega Pro ha già definito come ideale il suo format a 60 squadre (8 meno di adesso), con tre gironi da 20 senza più divisione tra prima e seconda categoria. In questi anni più di 35 squadre sono salite dalla serie D per sostituire squadre non a posto con i conti, incapaci di iscriversi ai campionati di Lega Pro. Con il blocco dei ripescaggi e con un format bloccato fino al 2014/2015 la Lega Pro rischia un’emorragia di squadre e persino di sciogliersi…

La soluzione secondo lei qual è?
Come ho detto: nel prendere atto che stiamo andando verso una più netta divisione tra professionisti e non. E puntando alla sostenibilità economica dei vari campionati e a un sistema non più assistenzialista; finalmente senza provvidenze. Non crediate che per i dilettanti non ci siano costi. Per una squadra, una stagione in serie D costa tra i 400 e i 600 mila euro, con punte “particolari” di un 1 milione. Considerate che, dopo il Lodo Petrucci, pagando una tassa di 300mila euro, le squadre che non possono iscriversi tra i professionistri hanno la facoltà di ripartire dalla D invece che dalla Terza Categoria (pagando 50mila euro possono ripartire dall’Eccellenza). E quindi ci sono nobili decadute di grandi centri, con più possibilità di spesa. Quest’anno, per esempio: Foggia, Taranto e Spal. Quanto a un campionato di Eccellenza costa sui 300 mila euro, uno di promozione 200mila, la Prima categoria 120-130 mila, la Seconda 80 mila, la Terza 50mila. Eppure il modo di far quadrare i conti si trova. Evidentemente, nelle serie superiori, e in proporzione soprattutto in B e Lega Pro, i calciatori sono pagati troppo rispetto alle entrate, e il sistema non può reggere…

E invece i dilettanti quanto sono pagati?
Solo in serie D è previsto un emolumento assoggettato a trattenuta secca del 20% (e dunque non dichiarabile nel modello unico) con un tetto massimo di 25.800 euro all’anno. Nelle serie minori, invece, ci sono solo i rimborsi spesa: 20 o 30 centesimi di euro per ogni chilometro di distanza nelle trasferte; il pranzo il giorno della partita e il kit con scarpe e tenuta di gioco.

Quindi voi vi sentite colpevolmente dimenticati…
Faccia un po’ lei. Per quanto riguarda i diritti tv di Rai Sport, che trasmette alcune partite di D, prendiamo una somma ridicola: neanche 500 mila euro all’anno. Ma dobbiamo accollarci noi i costi della produzione televisiva, quindi ci andiamo poco più che in pari. Dall’alto – come detto – arrivano le briciole. Siamo snobbati. Eppure, secondo uno studio fatto dal Sole 24 Ore, il calcio dilettantistico italiano muove un giro d’affari di un miliardo e mezzo di euro all’anno. Molto di più di quanto dà la somma di svariate federazioni di sport professionistici. Noi tiriamo avanti e continuiamo a investire. Adesso, con la legge Fornero, abbiamo assunto 130 apprendisti under 29, uno per ogni nostra delegazione provinciale, per rafforzare il legame con il territorio che è fondamentale. Abbiamo una media di 400 spettatori a partita. Assolutamente non male. E, in serie D, abbiamo stanziato 600mila euro da suddividere in premi per chi schiera in formazione più under 18 rispetto ai 4 obbligatori per regolamento. Dobbiamo investire sui giovani per il futuro. E dobbiamo dimostrare che se non si vive al di sopra delle proprie possibilità, ce la possiamo fare. Nel calcio e non solo.

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