Quando Andreotti fregò gli americani e aiutò Gheddafi

Sull’affaire indagò il Tribunale di Roma. Ma un decreto ministeriale archiviò il caso

Il 1972 fu un anno molto difficile per le relazioni dell’Italia con Gheddafi. Appena un anno e mezzo prima, nell’estate del 1970, il Colonnello aveva cacciato la comunità di 15mila italiani residenti in Libia, e l’Eni, che aveva scoperto il più grosso giacimento di petrolio in Cirenaica, l’A-100, non aveva ancora ottenuto il permesso di cominciare le estrazioni. Il regime libico poneva grosse difficoltà. Gheddafi stava usando l’arma del petrolio per accrescere fama e capacità di influenza nel mondo, anche nazionalizzando le compagnie straniere in Libia.

In quell’anno, presidente del Consiglio era Giulio Andreotti. Per superare lo stallo, inviò un suo emissario, Roberto Jucci, allora colonnello dei servizi segreti. Jucci aveva contribuito l’anno precedente a sventare un colpo di stato contro Gheddafi bloccando una nave carica di armi in partenza per la Libia dal porto di Trieste, un colpo che alcuni ex generali di re Idris stavano preparando.

Tramite Jucci, Andreotti ottenne lo sblocco delle trattative sull’Eni, ma in cambio Gheddafi chiese un centinaio di carri armati, gli M113 prodotti dalla Oto Melara di La Spezia su licenza statunitense.
Avendo bisogno della autorizzazione americana alla vendita, il presidente del Consiglio avvisò gli Usa.
Innanzitutto fece credere loro che i sovietici erano ansiosi di offrire alla Libia unità militari paragonabili a quelle richieste all’Italia, basandosi su informazioni percepite dall’ambasciata italiana di Mosca durante il viaggio segreto che il numero due libico Jallud aveva compiuto in Unione Sovietica.

Poi fece intendere agli americani che per la produzione dei mezzi della Oto Melara ci sarebbero voluti diversi mesi, probabilmente più di un anno. L’iniziale diffidenza del Dipartimento di Stato Usa, che era generalmente contrario alla fornitura di armi alla Libia o all’approvazione di consegne effettuate da paesi terzi, preoccupato dalle probabili reazioni negative di Israele e del Congresso, andò progressivamente stemperandosi di fronte all’emergere di un’idea di scambio. Gli Usa erano favorevoli alla concessione del permesso in cambio della garanzia italiana all’acquisto dei missili Tow e Lance di propria fabbricazione. 

Andreotti intuiva le preoccupazioni statunitensi riguardo ad una massiccia vendita di materiale militare ad un paese che, seppur non direttamente coinvolto nel conflitto arabo-israeliano, non risparmiava di manifestare il proprio oltranzismo nei riguardi di Israele. Ma percepiva anche le apprensioni americane riguardo alla possibilità che l’Eni potesse essere costretta ad accettare termini alquanto sfavorevoli nella trattativa con il governo libico e fu abile a giocarle a suo favore. In particolare l’accettazione di una partecipazione libica superiore al 50 per cento, con il pieno controllo da parte del governo libico sulla società, era vista dal Dipartimento di Stato come un precedente assai rischioso per le proprie compagnie.

Giocando con astuzia su questo interesse, a fine aprile, Andreotti mentì spudoratamente al governo statunitense dicendo che le pretese libiche non erano inferiori ad una quota partecipativa del 51 per cento. Allo stesso tempo il presidente del Consiglio, bypassando completamente Aldo Moro, allora ministro degli Esteri, faceva conoscere la disponibilità italiana all’acquisto di entrambi i tipi di missili statunitensi, nonostante – riferiva Andreotti – il parere negativo sulla spesa necessaria per i missili Tow del ministero della Difesa, in cambio dell’autorizzazione alla vendita dell’intero pacchetto richiesto dal governo libico.

Nel frattempo Jucci gestiva le richieste di Gheddafi. Il colonnello italiano, riferendo direttamente al presidente del Consiglio, scavalcò i normali canali diplomatici del ministero degli Esteri, suscitando contrasti con lo stesso Moro. In un appunto del Sid del maggio 1972 si rilevava che il ministro degli Esteri Moro, preso atto tardivamente che il colonnello Jucci aveva avuto incarico di rappresentare la Presidenza del Consiglio per definire gli accordi sulle forniture militari alla Libia, annotava, su un appunto a lui sottoposto sulla vicenda: «Tutto questo è stato fatto senza che ne sapessimo nulla».

Nell’ultimo paragrafo dell’appunto l’estensore concludeva sottolineando che «si intravede in tutta la questione una certa frizione fra presidente del Consiglio e ministro degli Esteri». Il contrasto tra i due sarebbe risultato evidente anche dal fatto che poche settimane più tardi, con la formazione del nuovo governo Andreotti, Moro avrebbe lasciato l’incarico e non avrebbe fatto parte del gabinetto ministeriale.

In realtà il governo italiano, contrariamente a quanto preventivato da Washington, fu in grado di fornire al governo libico i veicoli M-113 già nell’agosto seguente grazie a uno stratagemma di difficile previsione da parte degli americani: tali mezzi infatti, con una mossa spregiudicata, furono direttamente sottratti a reparti dell’esercito, riadattati e riverniciati dalla Oto Melara e poi spediti in Libia.

Su questo caso cominciò ad indagare nel 1984 il sostituto procuratore del tribunale di Roma Maria Cordova. Nella richiesta di rinvio a giudizio vi entrarono i nomi di Andreotti, Tanassi, ministro della Difesa, e una quarantina fra ammiragli e industriali. Per tutti l’accusa fu di violazione degli articoli 826 e 828 del codice civile relativo all’inalienabilità dei beni di proprietà dello Stato. Le richieste di rinvio a giudizio venivano però archiviate per effetto di un decreto ministeriale emanato nel 1986 che affermava chiaramente che «le vendite prendevano l’avvio da considerazioni di politica interna ed internazionale particolarmente pregnanti al momento».

L’Eni firmò con il governo libico un accordo con termini molto vantaggiosi nell’ottobre successivo sulla base della formula Mattei 50%-50%. Alla fine dei conti la soluzione trovata soddisfaceva tutti. Il governo italiano era felice di aver portato a termine la trattativa e di aver effettuato la fornitura nei tempi rapidi richiesti da Gheddafi, dando un grande slancio alle relazioni con Tripoli. I vertici militari italiani si dotavano di nuovi strumenti, come i missili statunitensi, e sostituivano i mezzi della Oto Melara con altri più recenti che sarebbero stati forniti di lì a poco. Gli industriali del settore sembravano aver trovato un nuovo e ricco mercato per le loro produzioni.

Andreotti, moderno Machiavelli, con molta spregiudicatezza e grazie al credito di cui godeva presso gli americani aveva ottenuto ciò che voleva.  

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