Bergoglio e la rottura culturale con Benedetto XVI

Dopo la Chiesa trionfante di Ratzinger

Si deve parlare di continuità o rottura fra Ratzinger e Bergoglio? Insomma la strada intrapresa da Francesco è quella di chi ha raccolto il testimone del suo predecessore o di chi, sia pure in modo educato, ha deciso di voltare pagina? La questione comincia a suscitare un dibattito sempre più intenso all’interno stesso della Chiesa.

Alcuni dei più stretti collaboratori del Papa come il laico Guzman Caraquyri, responsabile in Curia per l’America latina, se la prende con chi sottolinea le differenze fra i due papi (è una manovra «diabolica» ha detto, anche per gettare acqua sul fuoco di un argomento assai delicato). I ratzingeriani duri e puri, da parte loro, si sono divisi in due partiti: qualcuno cerca di valorizzare i segni di continuità nel magistero, altri sono indignati per la noncuranza con cui Bergoglio sembra cancellare almeno una parte delle tracce di Benedetto XVI.

Francesco è consapevole del rischio rottura e fin dall’inizio ha testimoniato in modo visibile l’unità del papato: ha pregato a fianco di Ratzinger, ci scrive un’enciclica insieme, mentre in Vaticano circola voce che i due si siano parlati più volte. E tuttavia ci sono elementi evidenti dai quali emerge anche un brusco cambiamento di registro fra i due pontefici.
Tanto Benedetto XVI era attento alla forma della liturgia – cercando in tal modo di valorizzare una tradizione considerata tesoro della Chiesa che rischiava di perdersi – quanto il Papa argentino bada alla sostanza: il bagno di folla non è un espediente, è un modo per dire ai vescovi e ai preti del mondo: fate come me, mischiatevi alla gente, ascoltatela, capitela, trasmettete il Vangelo con forza ma non siate inutilmente rigidi.

Francesco ha lasciato l’appartamento in Vaticano, spesso parla a braccio e va quasi a ruota libera, da ultimo non ha assistito al concerto di Beethoven nell’Aula Paolo VI. Ma c’è di più: la vedova Borges – Bergoglio e Borges si sono conosciuti – ha donato al Pontefice suo connazionale in segno di omaggio l’opera omnia del grande scrittore argentino, il presidente della Colombia Juan Manuel Santos Calderon in visita in Vaticano ha portato a Bergoglio una copia artistica di Cent’anni di solitudine, libro che Francesco aveva letto naturalmente («è un libro che ho molto apprezzato», ha commentato); non va dimenticato, ancora, che il Papa segue il calcio, è tifoso del San Lorenzo, in un Paese in cui il football è una passione collettiva, conosce il cinema e via dicendo.

La “rottura”, insomma, è anche culturale, di sensibilità, è nell’appartenenza a due mondi diversi: Bergoglio ha vissuto a contatto diretto col suo tempo, Ratzinger è uno studioso un po’ isolato che fa fatica a mettere insieme magistero, pratica di governo e teologia, ha uno spirito tutto sommato decadente, ama un’Europa scomparsa ormai da molto tempo.
Nel frattempo Bergoglio ha fatto capire in cosa consiste la principale riforma, per così dire, di questi mesi: si tratta della fine della Chiesa retorica e trionfante, la dismissione degli apparati e degli orpelli, sia quelli personali che istituzionali. Non vedremo più i vari cappelli rossi che il Papa ha recuperato dal passato, né i pastorali tirati fuori dagli armadi vaticani appartenuti a papi d’altri tempi. Salteranno presto anche i gentiluomini di sua Santità? Niente di più probabile. Per la vecchia nobiltà romana così legata al papato, si annunciano dunque tempi grami, lo stesso dicasi per gli alti funzionari di Stato, i banchieri, gli uomini inseriti nei gangli istituzionali: sembra infine giunta la fine della stagione dei conti allo Ior, delle sfilate silenziose di quegli strani personaggi vestiti di nero vicino al Papa nelle occasioni ufficiali, delle entrature dei potenti nei sacri palazzi. Sarà possibile? Si vedrà.

Appare però certo che anche per il buon monsignor Georg Gaenswein si chiuderà in questo caso una stagione. L’ex segretario di Ratzinger, oggi prefetto della Casa pontificia, appare spesso accanto al Papa nelle cerimonie ufficiali in forza dell’incarico che ricopre; Gaenswien è stato da sempre vicino ai circoli più conservatori e tradizionalisti della Chiesa, ha frequentato i salotti della società e del generone romani, ha fatto una magra figura durante il processo a Paolo Gabriele, il corvo, dimostrando come minimo di essersi fatto soffiare sotto il naso decine di documenti dall’ex maggiordomo infedele.

Intanto l’Osservatore romano guidato da Gian Maria Vian si è ricollocato immediatamente a difesa del nuovo Papa, questa del resto è la sua missione, e così cercano di fare tanti capi dicastero incerti sul loro destino. Ma Bergoglio tra le righe delle sue tante prediche per una Chiesa credente, rigorosa, ma anche felice di stare in mezzo ai poveri e pronta a gettarsi nelle periferie del mondo e in quelle dello spirito, da buon gesuita, assesta qualche colpo che in Curia provoca sobbalzi. Come quando, il 13 giugno scorso, ha incontrato il Consiglio ordinario della Segreteria del sinodo, cioè l’organismo che pianifica le grandi assise tematiche dei vescovi di tutto il mondo a Roma; il sinodo fino ad oggi è stato un organo tanto consultivo da diventare sovraccarico di persone.
Francesco nell’occasione ha detto alcune cose. Intanto che la sinodalità, cioè la collaborazione dei vescovi del mondo con il Papa nel governo della Chiesa deve in qualche modo strutturarsi: bisogna insomma dare forma istituzionale alle voci dei vescovi e quindi delle chiese nazionali, alle grandi arcidiocesi, magari attraverso un consiglio permanente di vescovi che si affianca al Papa. A molti in Curia sono fischiate le orecchie.

Infine va ricordato che l’ultimo sinodo si svolse nell’ottobre del 2012 e fu dedicato alla nuova evangelizzazione. Con questa definizione Ratzinger intendeva una sorta di nuovo annuncio del Vangelo nei Paesi un tempo cristiani e oggi indirizzati verso l’indifferentismo religioso, in particolare l’Europa. Di regola al sinodo segue un’esortazione post-sinodale, cioè un documento del Papa che riassume quanto uscito dall’assise e dà indicazioni specifiche su quel determinato tema.
Francesco ha detto che la sua esortazione «sarà sull’evangelizzazione in generale». E pensare che Benedetto XVI istituì un apposito dicastero vaticano per la «nuova evangelizzazione» alla cui guida collocò monsignor Rino Fisichella. Non solo: all’organismo era legato in modo forte l’Anno della fede lanciato anch’esso nell’autunno scorso durante il sinodo per concludersi il prossimo ottobre.

Ma poi Ratzinger si è dimesso, l’anno della Fede è rimasto a metà (va avanti un po’ per inerzia), mentre Bergoglio preferisce parlare di evangelizzazione «in generale» pensando che la Chiesa oltre all’Europa deve guardare soprattutto ad altri mondi. La Curia segue tutto questo con sconcerto e rassegnazione; un po’ spera nell’inciampo, un po’ piazza San Pietro è di nuovo strapiena di gente e allora, per il momento, si va avanti così.

@FrancePeloso 

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