Francesco, “il cattolicesimo e la Chiesa tornino in strada”

La riforma del Pontefice

I cattolici? Sono diventati una minoranza. Per questo le comunità di credenti devono uscire, andare per le strade del mondo, non chiudersi in sé stesse, non restare dentro le parrocchie. Questo concetto, espresso lunedì dal Papa nel corso del Convengo diocesano di Roma, rappresenta una svolta nella definizione della Chiesa in rapporto alla modernità. In sostanza Francesco, a cento giorni dall’inizio del pontificato, ha compiuto una rivoluzione anti-retorica mettendo in crisi quella “chiesa di popolo, maggioritaria” proposta negli ultimi vent’anni dalle alte gerarchie cattoliche del nostro Paese. Per il Pontefice la Chiesa può ripartire, cioè uscire dalla marginalità e tornare ad essere protagonista nel mondo, se ha coscienza della realtà delle cose, se la “parola” cessa di essere ripetizione vuota e riconquista significato attraverso la testimonianza personale, per questo l’annuncio del Vangelo deve uscire fuori dal chiuso delle stanze.

Di fronte a migliaia di fedeli romani, Francesco ha detto – con lo stile diretto che lo contraddistingue: «Voi dovete andare fuori. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse, in parrocchia. Voglio dirvi una cosa. Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro. In questa cultura — diciamoci la verità — ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza». Sembrava un po’ un discorso alla blues brothers, così come gli applausi e le risate che hanno accompagnato l’intervento del Papa trasmettevano un’allegria inaspettata.

Francesco affronta un nodo cruciale: quello della ritirata del cristianesimo dal territorio della contemporaneità e smonta la Chiesa trionfalistica e presunta maggioritaria, entrata da tempo in crisi. Questa caduta è stata riequilibrata nell’ultimo ventennio da un accordo di potere stretto dal cardinale Camillo Ruini con il centrodestra berlusconiano, per cui la perdita di consenso a livello sociale e culturale veniva compensata dal consenso dei partiti legati alla destra (ma anche da pezzi del centrosinistra) alle posizioni più intransigenti sotto il profilo bioetico. Un’alleanza che veniva poi descritta dai vertici della Cei e da diversi uomini di punta del Vaticano come la dimostrazione di un reale sostegno popolare su quelle stesse tematiche.

Era un gigantesco bluff che, entrata in crisi la stagione del berlusconismo anche e in modo profondo nel mondo cattolico, veniva scoperto. La Chiesa italiana prova a ripiegare su Monti e su un fantomatico centro politico, ma la scommessa si rivela ancora perdente, perché rinchiusa in una visione di potere del ruolo della Chiesa. Lo stesso cardinale Angelo Bagnasco rimaneva prigioniero di queste diverse operazioni. D’altro canto se questo era lo schema italiano, altrove diverse conferenze episcopali provavano a imitarlo ma con minor successo laddove i Parlamenti non si sentivano vincolati alla Chiesa; ne sono scaturite sconfitte clamorose e forse un po’ inutili per un cattolicesimo trascinato dai vescovi a combattere guerre fin troppo ideologiche.

Più complesso il tentativo di Joseph Ratzinger che ha posto il tema della rievangelizzazione dell’Europa e della sfida alla cultura moderna, a quel pensiero che «vuole fare a meno di Dio». Il Papa tedesco, tuttavia, schierava le truppe sulla maginot dei principi non negoziabili e andava al recupero di una liturgia preconciliare che divideva la Chiesa universale trasmettendo un messaggio incomprensibile ai suoi contemporanei, un tradizionalismo dal sapore antico respinto anche dalle chiese extraeuropee e da quelle del centro-nord del vecchio continente. Del resto anche da qui nasce quell’alleanza trasversale fra cardinali appartenenti ad aree continentali diverse che ha portato all’elezione di un Papa argentino all’ultimo conclave.

Ora, in questi primi tre mesi, Francesco ha deciso di dare alle cose il loro nome: il re è nudo, insomma, non c’è più incertezza sullo stato delle cose. Se la Chiesa non deve stringere patti di potere, se in molti Paesi i Parlamenti approvano leggi che riconoscono i matrimoni omosessuali, la risposta non può essere la crociata ideologica ma il ritorno della testimonianza cristiana nei suoi fondamentali: si riparte dalle periferie sociali e da quelle dello spirito, i poveri sono al centro dell’annuncio, ha ripetuto il Papa, da qui la logica cristiana, che è quella dell’amore e non del divieto. Il compito primario diventa quello di «uscire dalle nostre comunità, per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth». La parola ecclesiastica intrisa di retorica di questi anni, le decine di convegni sull’evangelizzazione o gli eventi ridondanti e abbastanza inutili come la partecipazione della Santa sede alla biennale di Venezia, sono stati fatti a pezzi dal martellante messaggio di Francesco.

La cosa avrà certo conseguenze: soprattutto all’interno della curia e di alcuni settori dell’episcopato, che prima o poi proveranno a riorganizzarsi per bloccare la riforma. Ma non sarà facile, perché nel frattempo Bergoglio ha ricucito il rapporto con la gente, il popolo di Dio è con lui e per questo qualsiasi opposizione interna oggi è in difficoltà. Ciononostante quando la riforma entrerà nel vivo e toccherà anche i gangli del potere, dai dicasteri della Curia allo Ior, quando il potere vaticano – attraverso l’istituzione di un collegio di cardinali provenienti da varie parti del mondo – verrà ridistribuito al di fuori della Curia romana, lo scontro interno probabilmente diventerà più duro.

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