La prossima canonizzazione di Giovanni XXIII, il Papa che ha indetto il concilio Vaticano II, rappresenta l’inizio del disgelo per le riforme e i cambiamenti introdotti dalla grande assise svoltasi ala metà degli anni Sessanta. Gli ultimi 35 anni sono infatti stati segnati prima dal pontificato wojtyliano – caratterizzato grande alleanza occidentale contro il blocco sovietico – trascinatosi poi in un eccesso di trionfalismo papale (Giubileo del 2000) fino alla metà degli anni Duemila; quindi dall’elezione del tedesco Ratzinger che ha provato a coniugare ritorno parziale al passato pre-conciliare (una mitica quanto inesistente età dell’oro della Chiesa) e pulizia interna: operazione rivelatasi impossibile.
La scelta di Bergoglio di aprire le porte alla santità a Roncalli senza il riconoscimento di un secondo miracolo – è bastato quello per la beatificazione – è anche un’affermazione teologica di primo piano: la santità non è definita per forza da una commissione medica e da un gruppo di cardinali, scaturisce dalla fede popolare, dall’azione svolta in vita. Accanto a Roncalli diventerà santo anche Wojtyła, Papa amato dalla gente e che però in tal modo viene riportato nel mondo reale della storia della Chiesa, non più figura di culto della quale non si può fare a meno, ma un pezzo – insieme ad altri – di un cammino comune. Indubbiamente Giovani Paolo II ha introdotto nei suo stessi comportamenti, nel modo di esercitare il primato petrino, elementi di modernità nel rapporto con l’opinione pubblica intuendo il peso enorme che quest’ultima aveva assunto nelle società contemporanee. Wojtyła è stato un Papa fortemente conservatore, responsabile direttamente o attraverso alcuni dei suoi più stretti e fedeli collaboratori del clima di copertura e insabbiamento che ha accompagnato la vicenda dei preti pedofili, ha svolto però un ruolo importante in favore della pace, ha compiuto passi decisivi in favore del dialogo interreligioso, ma ha pure represso ogni elemento di innovazione e modernizzazione della Chiesa, a cominciare dall’America Latina.
LEGGI ANCHE: “Wojtyla e Roncalli santi”: cos’è la canonizzazione?
Anche per questo la canonizzazione di Papa Roncalli rappresenta forse il gesto più forte e significativo realizzato in questi primi mesi dal Papa argentino: non solo per quello che Giovanni XXIII ha fatto, per la sua figura di giovane nunzio in Bulgaria e Turchia che operava per mettere in salvo gli ebrei perseguitati dai nazisti; o per la Pacem in terris, enciclica che schiaccia con la sua visione profetica e la sua modernità molti dei documenti prodotti dalla Santa Sede nei decenni successivi, o ancora per la decisione – rivoluzionaria – di indire un Concilio che ha lanciato la Chiesa nel XX secolo. La scelta di Bergoglio, più in generale, sembra annunciare la fine della stagione della paura nei confronti dell’epoca contemporanea, il tentativo – a partire dalle opzioni conciliari – di rimettersi in ascolto dei segni dei tempi, di entrare nelle contraddizioni e nei problemi del nostro tempo, di affermare un umanesimo cristiano e sociale a fronte delle disuguaglianze prodotte da un modello di sviluppo che brucia risorse, vite, e ambiente. Su questi temi, peraltro, s’incentrerà, secondo le prime indiscrezioni, la prima vera enciclica di Francesco dopo la Lumen Fidei.
LEGGI ANCHE: Il “Papa Buono” sarà santo (senza nemmeno far miracoli)
Si chiude ancora, con l‘annuncio della canonizzazione di Giovanni XXIII, l’ambiguo tentativo messo in campo da Benedetto XVI di recuperare frange estremiste e reazionarie – a cominciare dal gruppo lefebvriano – alla vita della Chiesa, secondo una prospettiva puramente difensiva in cui bisognava raccogliere anche le forze più indigeribili per resistere alla grande avanzata della secolarizzazione.
Infine, la santità di Roncalli vuol dire anche quel ritorno all’universalità del Concilio, cioè al clima di speranza e cambiamento in cui si svolse l’assise convocata da Giovanni XXIII: quello del grande movimento di decolonizzazione allora in corso che portò alla ribalta i Paesi e i popoli del sud del mondo. E in fondo a guardare le vicende di oggi è proprio tale movimento – iniziato all’indomani della seconda guerra mondiale – a descrivere un tempo lungo della storia, cioè l’affermazione di una nuova soggettività e indipendenza di grandi nazioni che, dall’America Latina, all’Asia all’Africa al mondo arabo, fra problemi immensi, provano a scrivere nuovi capitoli della storia contemporanea. In questo senso la scommessa di Benedetto XVI, al di là della cronache e degli scandali di cui certamente non porta responsabilità e ai quali in qualche modo ha provato ad opporsi, si è rivelata perdente: la vecchia Europa non rappresentava più il tesoro comunque fondamentale cui la Chiesa doveva attingere per guardare al futuro; era solo una delle componenti di un mondo e di un cristianesimo multipolare, dove anche la fede non voleva ricevere più ordini e diktat da Roma. Anche per questo alla fine è arrivato al Soglio di Pietro un Papa argentino.
Twitter: @FrancePeloso