Il principio secondo cui i nemici dei miei nemici sono miei amici rischia di affondare nel pantano del conflitto siriano. Da diverse settimane arrivano notizie di scontri tra fazioni interne alla ribellione, in particolare tra l’ala moderata e “laica” del Free Syrian Army (Fsa) e i gruppi di combattenti islamici affiliati ad Al Qaeda, in particolare Jabhat al-Nusra e la sua fazione collegata alla guerriglia irachena, l’Islamic State of Iraq and the Levant (Isil).
L’assassinio venerdì scorso di Kamal Hamami, membro del consiglio supremo militare del Fsa, pare sia da attribuire a uomini del Isil, così come lo scontro armato del giorno successivo ad un check point strategico di Aleppo, seconda città del Paese. Il controllo del territorio, dei valichi, delle vie di approvvigionamento e delle risorse strategiche (in primis l’acqua) sta diventando sempre più spesso ragione di attrito tra le diverse componenti della ribellione, anche se ancora non si sfocia in una guerra civile all’insegna del “tutti contro tutti”.
«Queste notizie – spiega Silvia Colombo dell’Istituto affari internazionali, esperta di politica mediorientale e dinamiche interne al mondo arabo – non devono sorprendere, se si tiene conto della parabola che ha seguito la ribellione siriana negli ultimi due anni e mezzo. Fin da subito frammentata e senza una leadership unitaria, da giugno in poi è entrata in una fase di grave involuzione».
Cos’è accaduto in questi ultimi due mesi?
Da un lato il coinvolgimento diretto delle milizie di Hezbollah provenienti dal Libano e il crescente sostegno da parte di Russia e Iran hanno rafforzato militarmente Assad. Dall’altro il fronte ribelle si è spaccato, con l’Arabia Saudita che sostiene prevalentemente il Fsa e il Qatar che invece finanzia politicamente i Fratelli Musulmani e militarmente i gruppi legati all’estremismo religioso. Queste due fazioni hanno obiettivi di medio-lungo periodo confliggenti e non stupisce che si scontrino.
Ma com’è possibile che delle due fazioni risulti più forte e militarmente efficace quella legata all’estremismo islamico? Chi li finanzia?
Il Qatar ha sicuramente giocato un ruolo da protagonista nel finanziare l’ala islamica dei ribelli. Anche la Turchia ha dato un sostegno, principalmente logistico vista la posizione strategica rispetto alla Siria, in particolar modo ai Fratelli Musulmani. Inoltre sono stati attivati diversi canali sotterranei per convogliare in Siria quanti più guerriglieri collegati ad Al-Qaeda possibile. Come già reso noto dai media internazionali, i jihadisti arrivano dalla Cecenia, dal Sud Est Asiatico e anche dall’Europa.
La fazione “moderata” non è invece sostenuta dall’Occidente?
Circa due mesi fa sembrava che America, Inghilterra e Francia – in particolare – volessero impegnarsi più fortemente nel conflitto, inviando aiuti anche militari ai ribelli. Ma per evitare di armare dei fanatici islamici si è cercato di scalfirne la superiorità, a livello politico e militare. Questa intenzione, unita alla successiva marcia indietro delle potenze Occidentali, ha danneggiato la fazione più laica e moderata che infatti adesso non risparmia accuse agli ex potenziali alleati di non aver mantenuto la parola data.
Come mai questo dietro front?
Sicuramente la resistenza del regime di Assad ha spinto a un maggior realismo. Anche supportati dall’Occidente i ribelli non sarebbero riusciti ad abbattere la dittatura in tempi brevi. Adesso poi che il “nemico comune” Assad si è rafforzato e si è allontanata nel tempo la sua sconfitta le divergenze in seno ai ribelli sono ulteriormente aumentate, creando instabilità. Inoltre la promessa di aiutare militarmente i ribelli era anche una forma per esercitare una pressione diplomatica e portare al tavolo del negoziato entrambe le parti. Sembrava che con il cosiddetto “Ginevra 2”, cioè un secondo round di incontri dopo il fallimento del primo, si potessero ottenere dei risultati. Ma ora l’appuntamento è stato rinviato e in realtà, vista l’evoluzione della situazione, non è nemmeno certo che si tenga. L’Occidente, che prima sembrava avere una linea strategica almeno vaga, brancola nel buio.
Al di là della recrudescenza delle divisioni tra oppositori di Assad e il disorientamento occidentale, cos’altro è cambiato?
Bisogna considerare l’intera area. I recenti sviluppi della situazione egiziana in particolare, con la cacciata dal potere dei Fratelli Musulmani, hanno ripercussioni anche sulla situazione siriana ovviamente. In particolare hanno accentuato lo scollamento tra il pilastro “politico” e quello “militare” dei ribelli siriani, con il primo azzoppato e sempre più in difficoltà a controllare il secondo. Sono diversi gli attori regionali che ora intervengono in questo conflitto – ad esempio il Kuwait – finanziando questo o quel gruppo. Così aumenta la frammentazione e la confusione.
Che sviluppi si possono prevedere della situazione?
Considerato che negli ultimi due mesi Assad si è rafforzato, specie grazie all’aiuto dell’Iran che ritiene irrinunciabile il suo alleato siriano, penso che nel breve periodo – durante questa estate almeno – la situazione non cambierà: continuerà lo stallo generale e la bassa conflittualità interna tra ribelli. Non credo si arriverà tanto presto a uno scontro aperto tra fazioni, ma la frammentazione delle opposizioni al regime si aggraverà. La decisione dei ribelli di appoggiarsi principalmente alle potenze regionali si è rivelato un errore strategico. I Paesi del Golfo hanno mostrato mancanza di pazienza e di una strategia precisa. È necessario che sia la comunità internazionale – in particolare Stati Uniti, Russia ed Europa – a prendere l’iniziativa per aprire una nuova finestra per far ripartire i negoziati di pace, realisticamente dopo l’estate. Sicuramente più si aspetta, minori sono le chance dei ribelli.
C’è il rischio che la Siria si trasformi in un gigantesco campo di addestramento per terroristi, che un domani, conclusosi il conflitto siriano, potrebbero agire come cellule impazzite in Occidente?
In questi termini si tratta più che altro di una fobia alimentata dai mass media. Tuttavia non si può escludere il rischio che alcune cellule, nemmeno coscienti razionalmente dell’appoggio che l’Occidente ha dato alla causa di chi si è ribellato ad Assad, possano colpire in Europa o in America. Una Siria destabilizzata, e che destabilizza i Paesi vicini a partire dal Libano, crea pericoli. I Paesi Occidentali dovranno prestare molta attenzione nei prossimi anni, se non addirittura nei prossimi decenni, all’evoluzione della situazione nell’area. Avendo lasciato dilagare le componenti islamiche ora la situazione è questa. Non è stato fatto abbastanza al principio della rivolta per sostenere le componenti moderate della ribellione.