L’11 novembre 2013 il quotidiano sudcoreano JoongAng Ilbo ha scritto che la Corea del Nord ha condannato a morte 80 persone ed eseguito pubblicamente la sentenza. Le accuse delle autorità nordcoreane sono varie, dalla diffusione di pornografia al semplice possesso di una bibbia, ma — scrive il quotidiano — la maggioranza è stata uccisa perché colpevole di aver guardato serie televisive provenienti dalla Corea del Sud. Come è facile immaginare, importare prodotti culturali dall’estero è illegale. E se questi prodotti arrivano dalla Corea del Sud, il danno è doppiamente grande.
La notizia ha una sola fonte, una persona molto vicina al Ministero degli Affari Interni che ha parlato con JoongAng Ilbo. E, come spesso capita con questioni legate alla Corea del Nord, non è stata confermata. Ma la durezza del regime nordcoreano riguardo alle questioni culturali non è nuova. Già in un articolo del 2005 il New York Times racconta che, dopo il successo clandestino di un drama sudcoreano, molte donne nordcoreane avevano iniziato a pettinarsi i capelli come la protagonista, Song Hae Kyo. E che le autorità di Pyongyang sono intervenute per costringerle a sciogliere i capelli e a tornare alla pettinatura tradizionale.
Il motivo di questa durissima repressione sui prodotti culturali ha a che fare, ovviamente, con il regime dittatoriale della Corea del Nord e con la rivalità tra i due Paesi. Ma, un po’, anche la potenza, la grandezza e l’influenza dell’industria culturale sudcoreana.
Un operazione pianificata, necessaria e di grande successo
La potenza culturale sudcoreana è frutto di scelte economiche e politiche più che di questioni artistiche o creative. È una storia iniziata molto di recente, nei tardi anni Novanta. E che in pochissimo tempo ha portato la Corea del Sud a diventare uno dei giganti culturali dell’oriente e del mondo. Secondo la società di consulenza PwC, l’industria dell’intrattenimento sudcoreana è la settima in termini di grandezza e produce da sola valore per oltre 45 miliardi di dollari.
Nel 1998 la Corea del Sud si stava preparando a eliminare le restrizioni sulle importazioni di prodotti culturali dal Giappone, di cui la Corea è stata colonia. Il governo, preoccupato per l’invasione di manga, anime (rispettivamente i fumetti e i cartoni animati giapponesi) e serie televisive, arma il Ministero della Cultura di un imponente budget per costruire un’industria culturale sudcoreana. In pochissimo tempo viene creato un piano quinquennale per la crescita del settore culturale e il numero di corsi scolastici legati all’industria dell’intrattenimento passa da quasi zero a oltre 300.
Pochi anni dopo, nel momento in cui le restrizioni sulle importazioni dal Giappone vengono eliminate, la Corea del Sud ha già ribaltato i timori del governo. Invece di essere invasa da prodotti culturali stranieri, la Corea ha invaso l’Asia con i propri.
La Korean Wave, ovvero: la Corea del Sud va all’estero
L’influenza e il successo della produzione culturale sudcoreana in Asia è tale che sono nati alcuni neologismi per riferirsi ad essa: nel 1999 un giornalista cinese ne parla come Korean Wave, l’onda coreana. E successivamente ci si riferisce al fenomento come Hánliú, letteralmente “flusso di Corea”.
Il successo di Psy e di Gangnam Style fanno pensare alla musica (di cui torneremo a parlare) come cavallo di battaglia della Korean Wave, ma non è così. È stata la televisione a conquistare il pubblico e a uscire per prima dai confini nazionali.
Le serie tv sudcoreane hanno una altissima qualità di produzione, sceneggiature ben scritte e struttura e personaggi ispirati alle soap opera. Questo mix ha portato la produzione coreana ad avere successo prima nel sud-est asiatico e poi in tutto il mondo: i drama coreani sono popolarissimi in Cina, sono stati importati negli Stati Uniti e hanno avuto grande successo anche in America Latina. E grazie al lavoro dei fansubber (fan che sottotitolano gratuitamente le loro serie preferite) i drama coreani hanno nicchie di pubblico anche in Paesi dove non sono ancora stati importati ufficialmente.
Il professor Eun-Young Jung, dell’università della California di San Diego scrive in un saggio del 2009 che il successo dei drama coreani ha poco a che fare con un’estetica o una sensibilità “autenticamente coreana” come invece si potrebbe immaginare. Tutt’altro. La grande forza di queste produzioni è la loro natura ibrida, capace di coinvolgere una combinazione di elementi locali e internazionali su più livelli. «La Korean Wave non ha uno stile uniforme e non scorre tutta nella stessa direzione. Non è semplicemente un fenomeno che ha origine in Corea e si diffonde nel mondo. È multi-livello e multi-direzionale».
E il flusso diventa tanto più forte quando viene sostenuto dallo Stato stesso. Sia all’interno, sia all’esterno del Paese.
Il 25 febbraio 2013, durante il suo discorso d’insediamento, il nuovo presidente della Corea del Sud ha detto ai cittadini sudcoreani che tra gli obietti del suo mandato c’è il costruire una nazione che «vive più felicemente grazie la cultura» e di voler promuovere «un nuovo rinascimento culturale».
E nel luglio del 2013, un articolo del Wall Street journal segnala che il Ministero della Cultura ha pianificato una spesa di quasi 300 milioni di dollari per promuovere la cultura pop sudcoreana oltreoceano.
Moon embracing the sun (2012), un drama storico che racconta la storia d’amore tra un re e una sciamana chiamata Wol.
You’re beautiful (2009), una commedia romantica che racconta la storia di una band, gli A.N.Jell, e dei loro rapporti con una ragazza — che finge di essere suo fratello gemello — che entra a far parte del gruppo. La colonna sonora ha venduto nella prima settimana di pubblicazione più di 20.000 copie.
Rooftop Prince (2012), una commedia romantica in cui un principe del 1700 viene trasportato magicamente nella Seul contemporanea, dove incontra una ragazza che assomiglia incredibilmente a sua moglie, morta 300 anni prima.
Goong (2006), una commedia romantica ambientata in un universo alternativo in cui, nella Corea del Sud, esiste una famiglia reale.
Iris (2009), una serie d’azione, la più costosa mai prodotta in Corea del Sud. Racconta di due migliori amici, che vengono reclutati per diventare agenti di una squadra speciale, la National Security System, e si trovano al centro di una cospirazione internazionale.
La soluzione miglior è Viki, un sito con sede a Singapore che permette di vedere in streaming i drama coreani anche in Italia. Sul sito esiste una funzione che permette agli utenti di scrivere sottotitoli e, grazie al fenomeno dei fansubber, per molte serie esistono anche quelli in italiano.
Non tutte le serie che abbiamo consigliato sono disponibili anche in Italia (in alcuni casi i diritti sono limitati) ma potete iniziare a vedere Rooftop Prince e You’re Beautiful. Per entrambi sono disponibili i sottotitoli in italiano.