Il 2013, per il giornalismo, è stato un anno di transizione e rinnovamento.
– transizione: i lettori sono aumentati, ma non quelli disposti a pagare per l’informazione (i paywall non hanno ancora sortito l’effetto sperato); gli editori, messi spalle al muro, hanno tagliato molto, dimostrando in qualche caso scarsa lungimiranza; l’offerta informativa è cresciuta, ma non sempre in qualità; la crisi è globale e ha scavalcato anche le mura dei fortini che sembravano più inavvicinabili (la Germania, ad esempio).
– rinnovamento: il 2013 è stato l’anno della rinascita del long form journalism; l’anno dei nuovi investimenti e dei nuovi investitori, provenienti soprattutto dalla sfera dell’e-commerce; l’anno del native advertising, del mobile-first, del premio Pulitzer a Snow Fall, il gioiello di giornalismo animato del New York Times pubblicato alla fine del 2012.
Piccoli editori nascono (e crescono)
È stato, tutto sommato, un anno importante. Durante gli ultimi dodici mesi, diversi segnali positivi hanno restituito vigore ad un settore in depressione da anni. L’intera industria dell’informazione ha mostrato voglia di cambiamento, attirando interessi diversi. Quelli milionari di Jeff Bezos (Amazon), che ha acquistato il Washington Post, e Pierre Omidyar (eBay), che ha annunciato la nascita di una nuova ambiziosa realtà editoriale, non hanno solamente immesso nuova liquidità nel settore, ma – se rispetteranno le aspettative – creeranno nuovi importanti laboratori di sperimentazione utili per fare nascere i modelli del futuro.
Negli USA, numerose realtà editoriali hanno consolidato le proprie radici. Quartz, il magazine d’informazione economica mobile-first di Atlantic Media, ha continuato a proporre un intrigante menù di notizie “a misura di smartphone” sfruttando il native advertising con eleganza. Il magazine di punta di Vox Media, The Verge, è diventato un punto di riferimento per gli appassionati di tecnologie; l’“antico” New Republic, rilevato dal trentenne Chris Hughes, ha stravolto la sua presenza online con successo; il New York Times ha continuato a percorrere, con discreta regolarità, la strada di Snow Fall, sperimentando l’integrazione di linguaggi nuovi e vecchi attraverso il web-doc High Rise, il reportage The Refugees e il ritratto narrativo The Jockey.
La rivincita dei contenuti
Buzzfeed e soprattutto Upworthy hanno mostrato come spremere fino all’ultima goccia la polpa dei social network per distillare un’aranciata di contenuti che ha conquistato il palato di milioni di persone. I lettori crescono, e con essi cresce la quantità di dati proiettata nel web: una vera e propria miniera d’oro che alcune testate (come Financial Times o WaPo) hanno già cominciato a sfruttare, nel tentativo di offrire contenuti cuciti sempre più su misura sugli interessi degli utenti. Nell’anno del Datagate, in Olanda un nuovo giornale d’inchiesta e approfondimento ha raccolto un milione e duecentomila euro tramite il crowdfunding, mostrando come la voglia di contenuti di valore non sia affatto svanita tra i lettori.
Proprio questo, ne sono convinto, sarà uno dei punti fermi da cui ripartire, affinché il 2014 sia non sia più soltanto un anno di transizione e rinnovamento, ma un anno di trasformazione. Anche in Italia, dove la situazione vive un’evoluzione più lenta rispetto agli Stati Uniti, determinata da cause e concause strutturali e sistemiche, abbiamo davanti un’annata cruciale. La parola chiave è “valore aggiunto”: se i giornali non offriranno un servizio all’utente, se non lo arricchiranno interiormente, se non lo stimoleranno e coinvolgeranno direttamente, avranno i giorni contati. Possiamo prendere una bella scatola, ricoprirla di decorazioni e infiocchettarla con un nastro pregiato: se all’interno non c’è niente, resterà sempre una scatola vuota. Alla lunga, ne sono certo, saranno sempre i contenuti – se ben assistiti (!) e non fagocitati dal marketing – a premiare le testate.
L’anno dell’adattabilità
L’anno in arrivo aggiungerà, a vecchi rischi, nuove sfide. I giornali dovranno essere in grado di sfruttare i meccanismi della viralità senza soccombere al giogo dei social network, dovranno avere il coraggio di sperimentare nuovi linguaggi, puntando sempre di più sulle tecnologie (programmatori e analisti di dati nelle redazioni sono già una realtà negli Stati Uniti e in Inghilterra) e cercando di sviluppare nuovi modelli di monetizzazione – i banner non funzionano, è ora di farsene una ragione, i paywall non sono la soluzione – senza perdere ulteriore credibilità nei confronti dei lettori. Il mobile e i video acquisiranno sempre maggiore importanza (e la recente acquisizione di Storyful da parte di News Corp. lo conferma) mentre le home page dei giornali online ne perderanno sempre di più. Si va verso una struttura completamente disgregata, dove ogni contenuto, una volta generato, si stacca dal cordone ombelicale del sito di appartenenza per vivere una vita propria.
Il 2014 sarà l’anno dell’adattabilità: dei siti online agli schermi di cellulari e tablet (e smartwatch e occhiali?), dell’offerta informativa ai nostri gusti, dei formati alle nostre esigenze di tempo, modo e luogo. I big data plasmeranno più che mai i contenuti dell’informazione, inseguendo un grande sogno: quello di anticipare le notizie attraverso le previsioni di un algoritmo, offrendo al lettore un contenuto sempre più ad personam. L’innovazione sarà la chiave per la sopravvivenza: i grandi editori dovranno puntare a sviluppare tecnologie proprie, magari costruendosi in casa un acceleratore di startup di informazione come Media Factory. Resta una domanda: nell’era del primo giornale generato da un robot, che fine faranno i giornalisti? Produrranno meno contenuto, forse, ma saranno incaricati di un compito altrettanto stimolante: generare idee. Il giornalismo di oggi e quello di domani ne hanno un bisogno infinito.