“Figlio di clandestini”. Un’etichetta che in Italia può significare una sorte identica dal genitore al neonato. Di padre in figlio, di madre in figlia: la clandestinità come condanna genetica. O peggio. Capitando nell’ufficio dell’anagrafe sbagliato si rischia di essere del tutto inesistenti per lo Stato: niente certificato di nascita, niente potestà dei genitori, cittadinanza apolide, niente diritto allo studio. Tra le maglie del “pacchetto sicurezza”, introdotto nel 2009 dall’allora governo Berlusconi e voluto dall’ex ministro degli Interni Roberto Maroni, esiste una norma che obbliga gli uffici della pubblica amministrazione a chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno a un genitore immigrato che voglia registrare il proprio neonato all’anagrafe. Niente documento, niente pratica, niente figlio riconosciuto. E se l’impiegato è zelante, si rischia la denuncia per il reato, ancora esistente, di clandestinità.
L’ambiguità della legge 94, che apriva prospettive considerate incivili e pericolose da diverse organizzazioni internazionali quali l’Unicef, ha costretto il Ministero a pubblicare in fretta e furia una circolare (datata 7 agosto 2009) che stabiliva l’esatto contrario di quanto scritto nella legge, cioè che non va richiesto il permesso di soggiorno all’immigrato irregolare che si reca negli uffici dell’anagrafe a registrare il figlio. Nel tentativo di chiarire il provvedimento è riuscito, se possibile, a renderlo ancora più contradditorio. Il risultato è che molti stranieri senza documenti ancora non registrano i propri figli per paura di essere denunciati. E, in alcune realtà, i dipendenti degli sportelli comunali continuano a chiedere ai genitori di esibire il permesso di soggiorno.
In Italia, in base al Rapporto nazionale sulle migrazioni pubblicato di recente dall’Ismu (Istituto per lo studio delle multietnicità), al primo gennaio 2013 erano presenti circa 295mila stranieri senza il permesso di soggiorno. «Ma questa cifra», spiega Alessio Menonna dell’Orim lombardo (Osservatorio regionale per l’Integrazione e la Multietnicità), «tiene conto solo degli “espellibili”, cioè dei maggiorenni. Vanno quindi aggiunti circa 50mila minorenni irregolari». Non pochi tra questi, alcune migliaia si stima, non sono mai stati registrati all’anagrafe italiana.
Il fenomeno è per sua natura difficilmente misurabile – all’anagrafe di Milano ad esempio non sanno dell’esistenza di casi di questo genere – ma è sicuramente più diffuso nelle grandi aree metropolitane del Nord Italia, dove è meno gestibile l’informazione. Bisogna anche considerare che non tutti i bambini nascono nelle strutture ospedaliere. In comunità chiuse, come quella cinese o quella rom, ci sono molti casi di parti in ambito domestico a cui spesso non segue alcuna registrazione. In Lombardia si stima ci siano 15mila bambini irregolari e una buona percentuale delle loro nascite potrebbe non essere mai passata dagli uffici dell’anagrafe. Un sommerso demografico non quantificabile causato da una legge scritta male. Ma non solo.
«L’obiettivo di quella norma era far paura, far respirare all’immigrato di turno un’atmosfera di disagio, farlo sentire in colpa», spiega il dottor Guglielmo Pitzalis, medico friulano del GrIS, una rete di cittadini che si occupano di salute e immigrazione. «Molti immigrati, anche se consapevoli dei propri diritti, preferiscono vivere nascosti e non rischiare piuttosto che alzare la voce e magari farsi espellere». La legge italiana, spiega Pitzalis, permette ad esempio alle donne in stato di gravidanza di aver un permesso di soggiorno temporaneo che dura fino a sei mesi dopo il parto. «Ma molte scelgono consapevolmente di evitarlo perché si sentono in qualche modo controllate dallo Stato italiano e quindi vulnerabili alla scadenza di quel periodo». Nel 2009 la Lega Nord provò anche a introdurre l’obbligo di denuncia da parte di operatori sanitari e sociali che avessero avuto a che fare con irregolari. «Ci fu una ribellione totale da parte dell’intero settore. La salute e i diritti degli immigrati vengono prima di qualsiasi direttiva burocratica».
Contro questa legge confusionaria è nata la battaglia di Augusta de Piero, ex consigliere regionale del Partito comunista italiano in Friuli Venezia Giulia, che da privata cittadina ha tenuto sotto costante pressione il sistema politico per avere risposte. «Subito dopo il varo della legge ho cominciato ad interessarmi al problema ma nessuno mi ha dato ascolto», racconta. «L’unico che si è mostrato coinvolto è stato Bachelet (Giovanni, ex deputato del Pd nella scorsa legislatura, ndr) che mi ha molto aiutato. Grazie a lui ho avuto le prime informazioni. Poi, tramite una consigliera provinciale di Udine, Paola Schiratti, ex Italia dei valori e ora Pd, sono riuscita a contattare Leoluca Orlando (all’epoca portavoce nazionale del partito di Di Pietro). Con lui abbiamo scritto una proposta di legge che, a costo zero, consentisse di risolvere il problema dei documenti per i figli degli immigrati. Poi, terminata la legislatura senza che se ne fosse fatto nulla, quella proposta è decaduta e in questa legislatura è stata ripresa ad aprile dall’onorevole Ettore Rosato, a cui ho scritto non so quante mail al suo indirizzo pubblico per sollecitare la soluzione della questione». La mobilitazione, ora confluita anche in una petizione spedita alla presidente della Camera Laura Boldrini, si è trasformata nella proposta di legge 740 del 13 aprile 2013, di cui il deputato triestino del Pd è il primo firmatario. Si tratta di una semplice modifica del testo esistente per eliminare la contraddizione tra legge e circolare. Poche righe chiarire ogni dubbio: i genitori immigrati che registrano un figlio all’anagrafe non devono esibire alcun documento di soggiorno.
«La proposta non è ancora stata calendarizzata», ammette l’onorevole Rosato al telefono. «Ho provato a inserirla in qualche provvedimento tramite emendamento, ma senza fortuna. Gli emendamenti infatti devono essere attinenti alla materia trattata e finora non abbiamo avuto occasioni adeguate. Non posso onestamente fare previsioni su quando questo accadrà ma noi speriamo il prima possibile, si tratta di una norma di civiltà. L’occasione forse – conclude Rosato – potrebbe essere la nostra proposta sul diritto di asilo che abbiamo chiesto di calendarizzare». Una speranza che sarebbe più solida se il governo avesse mostrato un maggior interesse per la vicenda. Invece, rispondendo lo scorso agosto proprio a un’interrogazione dell’onorevole Rosato, ha liquidato la questione con poche parole. In sintesi: “C’è la circolare e tanto basta”. Ma del resto, i “clandestini” alle urne non ci vanno.