Guida minima ai Talking Heads

Road to Sorrentino

Nel suo brevissimo discorso di ringraziamento per il premio Oscar come miglior film in lingua straniera, Paolo Sorrentino ha fatto in tempo a citare Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona e… i Talking Heads. Se i primi tre li conosciamo tutti benissimo, gli ultimi potrebbero essere meno noti.

I Talking Heads sono quattro: David Byrne, Jerry Harrison, Chris Frantz e Tina Weymouth. Nati nel 1974, si esibiscono per la prima volta insieme a uno storico punk rock, i Ramones, in uno storico locale di New York, il CBGB, e poi non si fermano più. La musica dei Talking Heads è difficilissima da definire, perché il gruppo si è spinto continuamente in direzioni diverse, provando strade sempre nuove: pop, rock, avanguardia, funk, world music… Insieme ad artisti come Blondie e Dead Boys, i Talking Heads definirono con queste sperimentazioni e mescolanze di suoni un genere chiamato semplicemente New Wave. Nel 1991, dopo 17 anni e 8 album, i Talking Heads si sono sciolti e hanno lasciato un segno profondissimo nella musica moderna. Giusto per citarne alcuni, Vampire Weekend, Arcade Fire, Franz Ferdinand e Bloc Party devono tutti, come Paolo Sorrentino, ringraziare i Talking Heads per aver messo le basi di quello che fanno oggi.

Qui sotto cinque canzoni — quelle più conosciute e facili — per iniziare a scoprire quanto sono bravi.

This Must Be The Place (Naive Melody), da Speaking in Tongues e dalla colonna sonora di This Must Be The Place

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La canzone che fa da titolo al penultimo film di Sorrentino. In un’intervista, il cantante dei Talking Heads David Byrne dice che This Must Be The Place è «una canzone d’amore fatta quasi completamente da frasi indipendenti una dall’altra. Le frasi hanno una forte componente emozionale ma non hanno qualità narrative. È un tipo molto onesto di canzone d’amore». Nel suo libro How Music Works, Byrne racconta che la scena del film in cui lui e la sua band suonano This Must Be The Place è stata girata dal vivo e senza alcun tipo di playback. Solo le voci del pubblico sono state aggiunte in post-produzione.

Burning Down the House da Speaking in Tongues

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La canzone più famosa dei Talking Heads, almeno negli Stati Uniti. Nel 1982 è arrivata nella Top 10 della classifica Billboard Hot 100 dei singoli più venduti e suonati alla radio. Il video è dell’unica volta in cui i Talking Heads hanno suonato insieme dopo lo scioglimento nel 1991.

Road to Nowhere da Little Creatures

Folk, country, rock, gospel, in questo brano c’è davvero tutto. In The Adventures of Talking Heads in the 20th Century, lo scrittore David Bowman racconta che Byrne volle aggiungere un coro all’inizio perché era «imbarazzato dalla semplicità della canzone». Il video, diretto da Byrne stesso insieme a Stephen R. Johnson, è stato premiato come miglior video dell’anno agli MTV Video Music Awards 1986.

Psycho Killer da Talking Heads: 77

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Dopo la prima esibizione al CBGB, i Talking Heads sono presto tornati nello storico locale (in un TED Talk, Byrne dice che la natura stessa del CBGB ha influenzato il tipo di musica che i Talking Heads e altri gruppo del periodo suonavano) per esibirsi di nuovo. Il video qui sopra dovrebbe essere del dicembre del 1975.

Once in a lifetime da Remain in Light

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Oltre ai Talking Heads, alla produzione e alla scrittura di Once in a lifetime ha partecipato un altro gigante della musica moderna: Brian Eno, che ha soprattutto definito la stranissima base ritmica del brano. Il video, dopo aver fatto il giro del mondo ed essere finito su MTV, è anche stato esposto al MoMA. Sorrentino non è stato l’unico a essere influenzato dai Talking Heads: Kermit la rana eseguì questo brano in un episodio del Muppet Show nel 1996.

Bonus track: In This Must Be The Place, c’è una scena in cui il protagonista del film, Cheyenne, incontra David Byrne. Byrne è seduto davanti a una tastiera, con dei fili collegati alle pareti della stanza.

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Nel contesto surreale di This Must Be The Place, lo strumento poteva sembrare solo un altro strano incontro nel viaggio di Cheyenne ma è, invece, una verissima installazione di Byrne. Si chiama Playing the Building e suona così:

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