Tutte le cose che vi fanno male

Tutte le cose che vi fanno male

Lo scrittore inglese Douglas Adams, autore della Guida galattica per autostoppisti, si era inventato delle regole per descrivere il nostro rapporto, di noi esseri umani, con la tecnologia. Fanno così: «1. Qualsiasi cosa che esiste già quando sei nato è normale e ordinaria ed è semplicemente parte di come il mondo funziona. 2. Qualsiasi cosa si stata inventata tra il momento in cui hai quindici e trentacinque anni è nuova, eccitante e rivoluzionaria, e probabilmente puoi farci una carriera. 3. Qualsiasi cosa inventata dopo che hai compiuto trentacinque anni è contro il naturale corso delle cose».

Douglas Adams parlava di tecnologia ma il discorso potrebbe essere ampliato senza problemi anche giochi, sport, cultura, intrattenimento. Un libro a fumetti appena pubblicato negli Stati Uniti, intitolato Bad for You: Exposing the War on Fun!, racconta le incredibili battaglie che sono state fatte contro ciò che sembrava andare contro il naturale ordine delle cose, contro cose che appassionavano i ragazzi e disgustavano gli adulti. Dalla guerra contro i fumetti negli anni Cinquanta, accusati di essere causa di comportamenti violenti e illegali tra i giovani, fino alla messa al bando dei libri della saga di Harry Potter, Bad for you è zeppo di storie di grandi scandali e proteste contro cose che, nel giro di pochi anni, sono diventate normali per tutti, a volte persino utili e positive. Sono eterne testimonianze di quanto una decina di anni possano cambiare la prospettiva e l’opinione collettiva su un problema.

Degenerazioni & Dragoni 
Dungeons & Dragons è un gioco di ruolo da tavolo in cui si vivono avventure fantasy alla Signore degli Anelli (per approfondire la questione, c’è l’articolo che abbiamo dedicato al quarantesimo anniversario di D&D). Nato nel 1974, il gioco è diventato presto una passione per moltissimi ragazzi che spesso ci giocavano a scuola dopo le lezioni. Negli anni Ottanta però, Dungeons & Dragons è diventato letteralmente bersaglio di una campagna di demonizzazione. La causa? La scomparsa nel 1979 di James Dallas Egbert III, un sedicenne sparito dal suo dormitorio nel college della Michigan State University. L’investigatore chiamato dalla famiglia per trovare il ragazzo puntò subito il dito su Dungeons & Dragons, credendo (senza molte basi) che il ragazzo si fosse perso nei tunnel sotto la scuola partecipando a una partita “dal vivo”. E i giornali amplificarono ancora di più l’idea. Il gioco, alla fine, non aveva nessun legame con la scomparsa del ragazzo, che fu trovato un mese dopo. L’anno successivo James si suicidò con la pistola della madre.

Nel 1982 un’altra tragedia fu associata a Dungeons & Dragons, il suicidio di un altro ragazzo: Irving Lee Pulling. La madre accusò il gioco di essere colpevole della morte del figlio e fondò un’associazione contro D&D, la B.A.D.D., Bothered about Dungeons and Dragons (Preoccupati da Dungeons and Dragons). In un volantino, la B.A.D.D. si presentava così: «siamo preoccupati da forme violente di intrattenimento come: musica rock violenta e legata all’occulto, giochi di ruolo che usano la mitologia occulta e adorano divinità occulte in situazioni di gioco di ruolo come Dungeons & Dragons, satanismo che coinvolge omicidio e suicidio, e la pornografia in quanto colpisce gli atteggiamenti dei nostri adolescenti e modifica le loro attitudini e valori in modo negativo». La madre di Irving fece anche causa alla società che produceva D&D, perdendo in tribunale. Un compagno di classe di Irving disse che il ragazzo «aveva molti problemi, nessuno dei quali aveva a che fare col gioco». In quegli anni, nonostante le accuse dell’associazione si rivelarono infondate, D&D fu comunque messo al bando in molte scuole, biblioteche e comunità, impedendo ai ragazzi di giocarci.

Gli scacchi sotto scacco 
Molto prima di D&D, un altro gioco da tavolo aveva attirato una cattiva fama: gli scacchi. Il caso è giusto citato in Bad for you ma è un esempio perfetto di quanto possono cambiare le nostre opinioni col tempo. Nel 1859 sulla rivista di divulgazione scientifica Scientific American venne pubblicato un articolo in cui si parla degli scacchi come «un’attività inferiore». L’articolo (che è tutto disponibile su Google Books) inizia così: «Gli scacchi sono un mero divertimento e di pessima qualità, rubano alla mente del tempo che potrebbe essere dedicato a più nobili attività, mentre allo stesso tempo non danno benefici di alcun tipo al corpo». E continua: «Gli scacchi hanno ottenuto un’alta reputazione come strumento di disciplina per la mente, per via del loro richiedere una grande memoria e una particolare capacità di combinare le informazioni. È anche generalmente riconosciuto che le abilità necessarie per giocare siano la prova di un’intelligenza superiore. Crediamo che queste opinioni siano molto sbagliate». Sappiamo tutti quale è la reputazione degli scacchi, e soprattutto degli scacchisti, oggi.

Pixel violenti 
Sui videogiochi si sono fatte e ancora si fanno molte battaglie, specialmente sui videogiochi violenti. Mancano ancora studi definitivi e di lunga durata che mostrino l’effetto di videogiochi violenti sui bambini e ragazzi, e nonostante l’introduzione di un sistema di etichette per rendere chiaro quali giochi sono adatti ai ragazzi e quali no, le preoccupazioni dei genitori continuano. Il primo videogame a scatenare delle proteste pubbliche fu Death Race (Corsa della morte) nel 1976. Il gioco segue la trama del film da cui è tratto, Death Race 2000, in cui si corre una gara in cui investire i pedoni è legale e incoraggiato. Nel videogioco i giocatori devono colpire con l’auto dei gremlin fatti di una manciata di pixel. Una volta colpiti, i gremlin si trasformano in tombe che il giocatore deve poi evitare. Siamo all’alba dei videogiochi, la grafica è tutt’altro che realistica e l’unica violenza che si può vedere dentro Death Race è una sovrapposizione di pixel. Nonostante questo, le proteste contro il gioco furono così forti da costringere il distributore a ritirarlo.

Ronnie Lamm, l’organizzatrice delle proteste, disse: «gli abbiamo tolto le pistole e le fondine, i cowboy e gli indiani, a adesso gli diamo delle cartucce con gli stessi temi violenti. [I nostri bambini] non stanno imparando a interagire con il mondo intorno a loro e con i loro pari. Come sarà il mondo del futuro se i nostri bambini non riescono a parlarsi l’un l’altro?»

Skateboard is (not) a crime 
Qui da noi è uno slogan da magliette, adesivi e da tavole da skate, ma negli Stati Uniti «skateboard is not a crime» (lo skateboard non è un crimine) non è una battuta. Oltreoceano, infatti, lo skateboard è stato criminalizzato e accusato fin dalle origini, quando i surfisti modificarono le loro tavole con delle rotelle.

Nel 1958, quando iniziarono a circolare i primi skateboard, la American Medical Association li chiamò «una nuova minaccia medica». Al tempo, l’AMA non aveva tutti i torti: le ruote di argilla che erano montate sui primi skateboard si bloccavano a ogni imperfezione del terreno, causando parecchie cadute. Già all’inizio degli anni Settanta, però, con l’invenzione delle ruote in poliuretano, gli skateboard diventarono molto meno pericolosi e permisero di skateare su terreni nuovi e, spesso, illegali. In mancanza di piste create appositamente per andare in skate, infatti, i ragazzi si infilavano in cantieri in costruzione, palazzi diroccati e piscine abbandonate alla ricerca di nuovi posti dove provare le proprie abilità. Con l’aumento della popolarità dello skate, negli anni successivi aprirono anche alcuni skate-park, che però non durarono molto per via dell’aumento dei prezzi delle assicurazioni. E gli skater invasero di nuovo le strade, dove però non furono accolti benissimo. Molte città statunitensi misero al bando lo skateboard, in parte per i danni alle proprietà, in parte per via della costante paura per gli infortuni. Uno skater citato in Bad for you dice: «costruiscono campi da softball, da baseball e da tennis, mentre noi veniamo semplicemente assaliti. La città sembra dire “praticate questi spot o niente”. Vorrei poter essere in grado di andare in siate senza sentirmi un criminale. Non si può nemmeno usare la tavola per andare da una parte all’altra della città». Solo negli ultimi anni lo skateboard ha trovato nuovi sostegni. Nel 2001, negli Stati Uniti, tra i ragazzi con meno di 18 anni c’erano più skater (10,6 milioni) che giocatori di baseball (8,2 milioni). E per quanto riguarda le cadute? Una ricerca del 2004 mostra che gli skateboarder si fanno male il 33% in meno dei giocatori di baseball e l’86% in meno dei giocatori di basket, lo sport più pericoloso in assoluto dopo il football. 

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