Siamo abituati a considerare gli appuntamenti elettorali piuttosto infrequenti – perfino in Italia, che notoriamente ha un’instabilità politica rara tra i paesi occidentali – ma, allargando lo sguardo al mondo, si può dire che in media ogni quattro o cinque giorni un paese o l’altro stia andando alle urne.
Se prendiamo in considerazione solo gennaio 2015, ad esempio, si voterà per eleggere il presidente dello Sri Lanka (8 gennaio), per il ballottaggio del presidente della Croazia (11 gennaio), per il presidente dello Zambia (20 gennaio), per il parlamento greco e, lo stesso giorno, per le legislative nelle Isole Comore (25 gennaio).
Gran parte di queste elezioni, e di quelle dei mesi successivi, passeranno del tutto inosservate al nostro sguardo distratto di europei. Ce ne saranno però alcune che perfino l’osservatore meno attento dovrà notare: la Grecia è sicuramente una di queste, con il partito di sinistra e anti-austerità SYRIZA in testa nei sondaggi, ma in Europa nel solo 2015 si voterà in almeno otto paesi. E dunque, dalla più prossima alla più lontana e ad esclusione dell’imminente Grecia, ecco le elezioni più interessanti del 2015, di qui all’estate:
Nigeria
Presidenziali e legislative, 14 febbraio
La Nigeria, con oltre 170 milioni di abitanti, è il paese più popoloso dell’Africa – e il primo per popolazione tra quelli in cui si voterà nel 2015. È anche da poco la prima economia africana e il primo paese produttore di petrolio del continente. A fianco di questi primati, come abbiamo già scritto, potrebbe anche essere uno dei paesi da cui aspettarci le maggiori novità nel prossimo futuro. Il presidente uscente Goodluck Jonathan, in carica dal 2010, si ripresenterà come candidato per il Partito Popolare Democratico (People’s Democratic Party, PDP) – e già questo è un elemento di instabilità.
La Nigeria è un paese dalle profonde divisioni etniche e religiose, che si riflettono in parte nella politica. La separazione principale è tra il nord, in maggioranza musulmano, e il sud del paese, in maggioranza cristiano e animista. All’interno dello stesso PDP, il partito al governo dal 1999, c’è un accordo che prevede un’alternanza tra rappresentanti delle regioni settentrionali e di quelle meridionali. Ma la morte in carica di Umaru Yar’Adua, nel 2010 – un musulmano settentrionale – ha complicato lo schema: Jonathan, allora vicepresidente – e cristiano meridionale – governò fino alla fine del mandato e si presentò poi alle elezioni dell’anno successivo. Ora è di nuovo candidato.
Dall’altra parte, i tre maggiori partiti di opposizione si sono uniti in un’alleanza chiamata All Progressive Congress (APC), che raccoglie anche fuoriusciti dal PDP, per la maggior parte settentrionali. Un altro dei centri di potere nigeriani è l’esercito: e il candidato dell’APC è il 72enne generale Muhammadu Buhari (musulmano, settentrionale) già tre volte candidato alle presidenziali, e leader della giunta militare che governò il paese nel 1983-1985 dopo aver rovesciato un governo eletto.
Goodluck Jonathan è un leader indebolito dalle pressioni dell’establishment militare, da una parte, e degli attacchi sanguinosi di Boko Haram e di altri gruppi islamisti dall’altra. Resta ad ogni modo favorito, in elezioni dai toni accesissimi e con accuse di parzialità rivolte alle forze di sicurezza. È probabile che nelle zone più turbolente non si voti neppure, mentre il calo del prezzo del petrolio si sta facendo sentire. All’indomani del voto si vedrà se la democrazia nigeriana, sottoposta a tensioni molto grandi, sarà in grado di mantenere l’unità del paese e di arginare le spinte verso la violenza.
Israele
Parlamentari, 17 marzo
Se la politica italiana vi sembra instabile, ostaggio di partitini e di formazioni politiche effimere e trasformiste, non avete tutti i torti, ma non conoscete quella israeliana. Dopo una lunga crisi di governo, Benjamin Netanyahu – in carica dal 2009 e alla guida del partito conservatore Likud – ha rotto con i due alleati centristi Tzipi Livni e Yair Lapid, rispettivamente ministro della giustizia e ministro delle finanze.
Con queste elezioni anticipate, a poco più di due anni dalle precedenti, per rinnovare i 300 seggi della Knesset, Netanyahu spera di dimostrare ancora una volta che, anche se non è il leader più popolare della storia recente – tutt’altro – non riescono ad emergere alternative altrettanto solide a lui. Il centrosinistra però potrebbe ottenere un buon risultato, con l’alleanza tra Tzipi Livni e i socialdemocratici di HaAvoda.
Dopo il voto si aprirà ancora una volta la partita delle alleanze, e se il Likud sarà ancora il partito più votato dovrà rivolgersi a destra. In vista delle elezioni, il panorama politico si è arricchito: oltre a Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri del governo uscente, che ripresenterà il suo Yisrael Beiteinu – molto forte tra gli immigrati in Israele dall’ex URSS – ci sono il ministro dell’Economia uscente Naftali Bennett e Moshe Kahlon, ex ministro delle telecomunicazioni, ciascuno dei quali si presenta alla guida di un partito diverso.
Regno Unito
Elezioni parlamentari, 7 maggio
Quando si sarà compreso il destino della Grecia, ammesso che basti un solo turno di votazioni per chiarirlo, verrà la volta di pensare al Regno Unito. Il rinnovo del Parlamento britannico è previsto con le elezioni del prossimo maggio, da cui emergerà quasi certamente la necessità di un altro governo di coalizione.
In caso di rielezione, i conservatori di Cameron promettono di aprire un periodo di negoziati con l’Unione Europea e di promuovere un referendum “dentro o fuori” sulla permanenza nell’Unione nel 2017. Sosterranno il campo del “sì” se le loro richieste saranno esaudite. Nel frattempo, Cameron ha parlato di misure per disincentivare l’immigrazione , anche dalla stessa UE (attualmente 2,7 milioni di cittadini comunitari vivono nel Regno Unito).
Il Labour, invece, è contrario al referendum. Il suo leader, Ed Miliband, sembra però collezionare una figuraccia dietro l’altra: se non è in grado di conquistare il cuore dell’elettorato non riesce a vincere neppure quello dello stesso Labour.
Chi potrebbe approfittare delle figuracce di Miliband e del logoramento di Cameron al governo sono gli euroscettici dell’UKIP, il partito guidato da Nigel Farage. Alle europee del marzo 2014 l’UKIP è stato il primo partito nel Regno Unito con il 27% dei voti e ben 24 europarlamentari: il tipo di elezioni lo favoriva, ma proprio per questo bisognerà vedere quale sarà il suo risultato in una votazione in cui la questione europea è così importante. Le conseguenze delle elezioni britanniche, insomma, rischiano di farsi sentire parecchio in Europa.
Turchia
Elezioni parlamentari, 13 giugno
La Turchia sta affrontando un periodo di cambiamenti per quanto riguarda il suo assetto istituzionale – e altri sembrano essere alle porte. Ad agosto del 2014, Recep Tayyip Erdoğan è stato il primo presidente del paese eletto direttamente dai cittadini turchi. Primo ministro tra il 2003 e il 2014, fondatore del partito AKP oggi al potere, sarà al centro delle prossime elezioni anche se non sarà sulle schede.
La questione politica centrale, infatti, è se il suo partito riuscirà ad ottenere i due terzi dei seggi, sui 550 membri della Grande Assemblea Nazionale, che gli permetterebbero di emendare la Costituzione del paese – e dare più poteri al capo dello Stato, trasformando di nuovo la Turchia in una repubblica presidenziale. Attualmente l’AKP ha 312 seggi, una cinquantina meno dei necessari. Le accuse di autoritarismo ad Erdoğan e le posizioni islamiste del suo partito dividono l’elettorato turco, mentre l’unica speranza dell’opposizione è quella di trovare un’unità per contrapporsi al padrone della politica turca.