«A mezza via tra le città della pianura (Saluzzo e Pinerolo) e le pendici di una montagna imponente come il Montoso, a Villar, una frazione di Bagnolo Piemonte, c’è un castello risalente agli anni Mille, con una triplice cinta di mura e circondato da boschi, vigne, mulini; ai piedi della sua altura, si taglia il profilo rinascimentale di una grande casa patrizia, il Palas, immerso in un parco adagiato tra alberi secolari. Il castello e la villa sono da sempre la resistenza dei feudatari del posto, i conti Malingri».
È in questo luogo ai confini tra le province di Torino e di Cuneo, descritto nell’incipit del libro con un tocco quasi fiabesco, che si svolge tra il 1943 e il 1945, quella che Giovanni De Luna, che ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Torino, chiama la Resistenza Perfetta (Feltrinelli, pp. 255, 18 €). Dentro a queste mura e nel territorio circostante si incroceranno e si combatteranno tutti i protagonisti della guerra di Liberazione: i fascisti repubblichini collaborazionisti, con la loro rete di spie e delatori; gli occupanti tedeschi; i partigiani rossi, gli azionisti e quelli rimasti fedeli alla Monarchia. Gli attori di questo microcosmo, diventano attraverso l’abile mano dello storico, dei modelli esemplari per una corretta trasmissione della memoria dell’intera guerra partigiana, quella combattuta dai ribelli sulle montagne e nelle citta’ dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 fino alla Liberazione del 25 aprile 1945.
Il filo conduttore della storia raccontata da De Luna è il diario tenuto dalla giovanissima Leletta, una ragazza nata il 1 aprile 1946, che ci ha lasciato una delle testimonianze più originali della Resistenza (o forse sarebbe meglio dire della sua percezione degli avvenimenti), anche in ragione della sua condizione privilegiata di figlia della contessa Caterina Malingri di Bagnolo e del barone Vittorio Oreglia d’Isola e di cattolica fervente, divenuta figlia di Maria nel giugno 1944. Una cultura famigliare d’impronta monarchica che non le impedirà – questa circostanza rafforza l’assoluta unicità della narrazione contenuta nel libro – di ospitare nella villa patrizia anche i partigiani comunisti della I Divisione Garibaldi, guidati da Pompeo Colajanni, avvocato siciliano classe 1906, ufficiale di complemento assegnato alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo, tra i primi a salire in montagna con il nome di battaglia di Barbato e di stringere con quest’ultimo un duraturo rapporto di amicizia che si proiettera’ anche dopo la fine del conflitto bellico. La cattolica e il comunista. In apparenza gli stereotipi di certa retorica post resistenziale, un po’ ammuffita.
«No, Barbato e i suoi garibaldini non combattevano sulle montagne del Villar per instaurare la dittatura del proletariato – avverte De Luna – E Leletta e la sua famiglia, aristocratici di sicura fede monarchica, nei partigiani vedevano i loro futuri carnefici, ma uomini che si battevano nel nome dei loro stessi valori». In questo sta anche la “perfezione” della Resistenza che si combatte nel Castello e nei monti attorno, con tutto il corollario di violenza, atti di eroismo, frammista alla generosità dei montanari e il loro naturale timore per le rappresaglie nazi-fasciste: perchè i ribelli potevano scappare, mentre le case e i ricoveri degli animali rimanevano lì come bersagli immobili della rabbia e dell’ira degli occupanti tedeschi e dei loro fedeli alleati. Un giudizio di “perfezione” che – andando oltre gli sterotipi dolciastri – trova la sua conferma proprio nel paziente lavoro di incrocio tra la memoria di questi venti mesi descritta nel Diario di Leletta e i documenti di archivio dei comuni, delle parrocchie e i ricordi di un’intera comunità.
De Luna riesce, così, ad affrontare con decisione e felice capacità interpretativa, attraverso la storia di Leletta e del comandante Barbato e avendo sempre sullo sfondo gli avvenimenti storici di quel periodo, alcuni dei nodi della storiografia resistenziale: dalla funzione della “Resistenza civile” alle questioni della violenza partigiana e di quella fascista, dal ruolo della Repubblica Sociale Italiana alle opposte visioni della lotta partigiana dei politici e dei militari, per non tacere delle differenti impostazioni tra i comandi delle brigate Garibaldi e quelle delle formazioni azioniste di Giustizia e Libertà; dei contrasti tra i fautori di una maggiore organizzazione e quelli piu’ disponibili alla spontaneita’ dell’approdo al partigianato.
In estrema sintesi – come sottolinea De Luna – «Certo che nella Resistenza confluirono decisioni occasionali, opportunismi esistenziali, desideri di avventura adolescenziali. Ma certamente scegliere di andare in montagna a combattere fu un gesto che risalta con nettezza soprattutto se confrontato con quelli di chi, come ha scritto Claudio Pavone, “fece il possibile per sottrarsi alla responsabilità di una scelta o almeno cercò di circoscriverne confini e significati, avvallando di fatto la continuità delle istituzioni esistenti e accettando insieme che il vuoto venisse riempito dal più forte” e che sottolinea un dato di fatto: nè durante le guerre di indipendenza, nè al momento dell’intervento in guerra del 1915-1918, nè in nessuna altra fase della nostra vita nazionale unitaria l’Italia ha potuto mobilitare tanta passione civile e un tal numero di combattenti volontari come nella lotta partigiana».