Pizza ConnectionI primi Giochi Olimpici Europei nella tana dei “Corleone del Caspio”

I primi Giochi Olimpici Europei nella tana dei “Corleone del Caspio”

Il prossimo 12 giugno Baku, capitale dell’Azerbaijan, ospiterà i primi giochi olimpici europei. L’ospitalità dei giochi può essere considerata, a ben vedere, il terzo tentativo dello stato azero di accreditarsi all’interno del blocco europeo e, si sa, poche cose puliscono la faccia e fanno brillare le facciate meglio di una manifestazione sportiva.

La Socar, produttore di stato di gas e petrolio dal valore di 20 miliardi di dollari, è entrata nel portafogli sponsor della Uefa: non a caso il presidente, Rovnag Abdullayev, è a a capo della federcalcio azera

Dopo l’Eurovision Song Contest del 2012, la capitale Baku è stata designata il 19 settembre 2014 come una delle sedi dei quarti di finale del campionato di calcio europeo “itinerante” del 2020. Già dal 1996 l’Azerbaijan volge lo sguardo più a ovest che a est: quell’anno, infatti, iniziano i primi accordi con la Ue e nel 2001 la prima delegazione azera entra nel Consiglio d’Europa.

C’è di più, perché la protagonista principale dell’economia azera, la Socar (State Oil Company of Azerbaijan Republic) produttore di stato di gas e petrolio dal valore di 20 miliardi di dollari, è entrata nel portafogli sponsor della Uefa e non a caso il presidente, Rovnag Abdullayev,è a capo della federcalcio azera. Socar è ovviamente partner ufficiale dei primi giochi olimpici europei.

Il logo dei Giochi Olimpici Europei di Baku

Ospitare manifestazioni sportive è diventata una costante di alcuni paesi che tentano di accreditarsi agli occhi dei partner politici ed economici, pur non avendo buona reputazione riguardo il rispetto dei diritti civili. Come ha scritto Alessandro Oliva su Linkiesta lo scorso 28 settembre, a Baku hanno avuto un’idea: sfruttare il calcio come veicolo di promozione di un brand nazionale da ripulire. Attorno al presidente Ilham Aliyev e al suo operato pesano da anni accuse di violazioni dei diritti umani. L’ultima risale allo scorso 23 aprile, quando il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ha aggiornato il proprio rapporto sullo stato del Paese, rispetto alla sua visita dell’agosto 2013: «Alcuni mesi dopo la pubblicazione del suo rapporto, il Commissario è rammaricato di dover notare che non ci sono stati progressi riguardo le questioni summenzionate; al contrario, il Commissario è stato informato di una serie di sviluppi che ulteriormente influiscono negativamente sulla situazione dei diritti umani in Azerbaijan». Una situazione fatta di limitazione alla libertà d’espressione e che talvolta si è tradotta in giornalisti e blogger incarcerati. Il tutto mentre proprio l’Azerbaijan si apprestava a guidare, come da turno per ogni Paese membro, proprio il Consiglio d’Europa.

Dunque non solo calcio, perché le imminenti olimpiadi hanno fatto scattare di nuovo sull’attenti le organizzazioni per i diritti civili, in particolare riguardo la condizione dei prigionieri politici. Human Rights Watch ha indirizzato all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e le Politiche per la Sicurezza Federica Mogherini una lunga lettera in cui ricapitola la situazione e invita l’Unione a non inviare delegazioni politiche nel corso della manifestazione.

La lettera di Human Rights Watch indirizzata a Federica Mogherini, alto rappresentante UE

«La questione che poniamo – dice a Linkiesta Paolo Bergamaschi, consigliere presso la commissione Esteri al Parlamento europeo – è la solita: quale deve essere il rapporto fra sport e diritti umani? Può un paese che ha quasi cento prigionieri politici e che viola le più elementari libertà democratiche ospitare una manifestazione di tale calibro?».

«Quale deve essere il rapporto fra sport e diritti umani? Può un paese che ha quasi cento prigionieri politici e che viola le più elementari libertà democratiche ospitare una manifestazione di tale calibro?»

Nella lettera di Human Rights Watch sono riportati i casi dell’avvocato per i diritti umani Rasul Jafarov, condannato lo scorso aprile a sei anni e mezzo di prigione, e del collega Intima Aliyev, condannato a sette anni e mezzo, così come la giornalista investigativa Khadijah Ismaylova, lo storico Arif Yunus e il capo di una autorità indipendente che si occupa del monitoraggio delle elezioni, Anar Mammmadli. Secondo HRW ci sono almeno altri 35 casi analoghi culminati con la detenzione al termine di processi sommari per coloro che si sono messi di traverso rispetto all’operato del presidente Aliyhev: il 24 giugno 2014 Jafarov, durante una sessione a Strasburgo dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), presentò una lista dettagliata dei prigionieri politici in Azerbaijan.

Un anno dopo a Baku sono pronti ad arrivare seimila atleti la cui trasferta è completamente pagata dallo stato azero, e pronti ad arrivare saranno anche una nutrita rappresentanza di giornalisti e politici da tutta Europa. Il 12 maggio scorso si è tenuta a Bruxelles, presso la sede del Parlamento europeo, l’iniziativa “Baku Games – Run for Human Rights”. L’iniziativa, promossa dalla vicepresidente del Parlamento europeo, Ulrike Lunacek, ha visto un dibattito al quale hanno preso parte diversi rappresentanti del Parlamento Europeo e di enti internazionali. L’auspicio delle organizzazioni è che l’appello alla liberazione degli attivisti arrivi al destinatario, e che nel frattempo, se Alihev rimarrà sordo, le istituzioni europee procedano a un boicottaggio, almeno politico, dei Giochi.

Un caso quello azero su cui l’Italia avrà di che riflettere, vista la contesa del Tap, il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, e che avrà uno dei suoi approdi nel Salento

In una intervista nel 2008, in occasione delle Olimpiadi di Pechino, il rapporto tra diritti umani e olimpiadi vide anche il parere di Pietro Mennea, uno dei più grandi atleti italiani di sempre: «Sono sempre stato contro il boicottaggio sportivo dei giochi. Nella mia carriera ho partecipato a cinque olimpiadi di cui tre boicottate (i paesi africani nel 1976 a Montreal, alcuni paesi occidentali nel 1980 a Mosca, i paesi del Patto di Varsavia nel 1984 a Los Angeles). Chi non c’era ha avuto torto. Chi ci ha rimesso alla fine sono stati sempre e solo gli atleti che si sono duramente preparati per questo appuntamento per quattro anni. L’errore è stato fatto nel 2001, quando il Comitato Internazionale Olimpico ha assegnato i giochi a Pechino. Già allora si era al corrente del genocidio in corso in Tibet e della repressione dei diritti dell’uomo e delle libertà civili in Cina, ma ci si è fidati delle promesse delle autorità cinesi senza ottenere alcun risultato concreto. Da allora nulla è cambiato e per far posto agli insediamenti olimpici sono stati addirittura sfrattati ed espropriati migliaia di cinesi. Occorrono adesso fatti concreti. Ecco perché sono favorevole ad un gesto simbolico nelle sedi opportune».

Un caso, quello azero, su cui l’Italia avrà di che riflettere, vista la contesa del Tap, il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, e che avrà uno dei suoi approdi nel Salento. La questione vede contrapposti il governo italiano e la Regione Puglia, contraria a vedere il metanodotto approdare in provincia di Lecce, a San Foca. A giugno 2014 Aliyhev volò a Roma per incontrare Matteo Renzi e contemporaneamente (luglio 2014) Tony Blair da lobbista entrava nel consorzio che realizzerà l’opera (i più attenti fanno notare come la visita dell’ex premier britannico del novembre 2014 a Renzi non fosse solo per indicare “la via della sinistra italiana”). Opere e grandi opere che sono valse agli Aliyev il titolo di Corleone del Caspio”, assegnatogli dagli analisti di Foreign Policy facendo il verso al film Il Padrino.

Nell’Europa di oggi va così, che la prima edizione di una manifestazione sportiva portatrice di valori sani “capiti” nel meno opportuno dei lidi, teatro di diritti civili azzerati e di una guerra dimenticata e che prosegue da vent’anni come quella del Nagorno Karabak. Guerra con gli armenti che sui calendari è conclusa dal 1994, ma che tra una fucilata e l’altra vede continuamente interrompersi le trattative per la pace, manco a dirlo, coordinate dall’Osce.

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