Yuri Gagarin, Neil Armstrong, Samantha Cristoforetti. E poi Pezzali Massimo, nato a Pavia nel novembre 1967. Sono nomi che sembrano casuali, e invece il nesso c’è, perché breve è il passo da tre eroi dello spazio a un amante dei supereroi. Astronave Max è il nuovo album di Max Pezzali: un insieme di inediti freschi e al passo coi tempi. Dalle nuove tecnologie (“Se il social è il massimo della rivoluzione, io mi dissocio”) all’amore per il country (che accosta al rap degli albori), l’ex 883 sa trascinare, in un fiume di parole. Approva i “capitani coraggiosi” Baglioni-Morandi (“Io e Jovanotti? Perché no!”), tesse le lodi del genio Cecchetto e confessa di essere stato deluso dal suo arrampica-muri prediletto, ma solo al cinema.
Sono trascorsi oltre 20 anni da quella Weekend del 1993. Ora torni sull’argomento con Venerdì, cosa accomuna i due pezzi?
C’è una differenza sostanziale. Weekend aveva un’atmosfera da sabato del villaggio: in provincia non vedevamo l’ora che arrivasse il fine settimana, ci si aspettava sempre qualcosa di strepitoso e si rimaneva spesso con l’amaro in bocca. Era l’attesa, più che il weekend, a costituire la reale libidine. Venerdì sente il peso degli anni, è cambiato molto: la settimana del nostro tempo, ormai, sintetizza una costante ansia da prestazione, siamo tutti più stressati, più aggressivi. Il weekend che racconto adesso è quell’elemento che giunge come decompressione: abbiamo bisogno di aprire le valvole e liberarci, rifugiandoci nella sfera affettiva.
Nel nuovo disco canti anche il progresso-regresso della tecnologia: cos’è che ti ha deluso?
Gli anni ’90 sembravano rappresentare un’epoca di grande cambiamento, dalla caduta dei muri ai primi provvedimenti di unione europea, dall’ondata di Mani Pulite alla lenta ma progressiva esplosione di Internet. In realtà, di vere rivoluzioni neppure l’ombra, paradossalmente qualcosa è peggiorato. Noi avevamo grandi aspettative, di conseguenza la delusione è stata ancora più cocente. Sono stato un pioniere nell’approccio ai nuovi media, ma oggi mi domando se sia stato davvero il social il massimo della rivoluzione. Se è così, io mi dissocio completamente. Abbiamo sbagliato direzione.
La settimana del nostro tempo, ormai, sintetizza una costante ansia da prestazione, siamo tutti più stressati e aggressivi. Il weekend che racconto adesso giunge come decompressione
Giorni fa Claudio Cecchetto ha detto: “Nel nuovo album Max dimostra di essere ancora bravissimo a raccontare le cose della vita”. Fin qui ci siamo, tu di lui cosa dici?
Claudio ha ancora la capacità di vedere molto lontano, di vedere le cose prima che accadano. Non ha la sfera di cristallo, ma la dote dell’intuito. Tempo fa l’ho accostato a Wayne Gretzky (celebre giocatore di hockey, ndr.), perché lui diceva: “Il giocatore bravo è quello che gioca dove c’è il dischetto. Il fuoriclasse è quello che si fa trovare dove sarà il dischetto”. Non dimentichiamolo, questo è un pregio caro solo agli uomini, non alle macchine.
Ogni tuo album ha sempre un forte legame col tema del viaggio. Secondo me se tu fossi nato in America, saresti diventato un cantante country.
Sono d’accordo! Adoro il macro-genere country, è un universo meraviglioso. Lì non ci sono testi e cantanti, ma storie e cantastorie. Quella musica non tratta cose auliche o eteree, ma tangibili. Sono palpabili svariati riferimenti alla realtà, dalla Ice Cold Beer ai camionisti. In un certo senso il country è stretto parente della prima ondata del rap, quella più realistica e reale. Peccato che i rappresentanti di questo genere si siano lasciati prendere la mano…
In questi giorni Umberto Eco ha puntato il dito contro gli imbecilli che riempiono web e social network. Fai bene tu che preferisci sempre il bar alle video-chat, allora…
Sembrerà quasi una bestialità, ma credo che oggi la tendenza sia di dare fin troppa importanza alla parola scritta. Mi spiego meglio: le chat-line di WhatsApp e le bacheche di Facebook sono un contenitore reale, ma per scrivere tocca essere “portati”. Inoltre, la parola scritta è solo una parte del della conoscenza, non basta da sola a creare una relazione effettiva e affettiva col prossimo. Siamo ancora degli animali, abbiamo bisogno di annusare l’altro per capirlo veramente. Paradossalmente sono proprio i silenzi, ma dal vivo, ad avvicinarci al nostro interlocutore: per questo dico che non si può parlare di socializzazione in rete, ma solo di comunicazione.
Nel disco nuovo canti le “generazioni bloccate in partenza… le generazioni di anime in pena”. Se fossi adolescente oggi, avresti fiducia della nostra politica? Resteresti in Italia o andresti in Messico ad aprire un chiringuito?
La storia si ripete, nel senso che io oggi non avrei fiducia nella classe politica come non ne avevo 30 anni fa in quella del mio tempo. Forse all’epoca i nostri governanti apparivano più rassicuranti, ci sentivamo più garantiti come Paese. Oggi siamo un po’ più allarmati, perché siamo sullo stesso piano degli altri paesi, con la situazione mondiale che è costantemente in bilico. Fossi un giovane avrei la tentazione di scappare, anche se per natura sono un inguaribile ottimista: per me la fuga dall’Italia dovrebbe essere una sorta di uscita di sicurezza, non la regola o una moda da rincorrere.
Sono i silenzi, ma dal vivo, ad avvicinarci al nostro interlocutore: per questo in rete non si può parlare di socializzazione, ma solo di comunicazione
Intanto a te tocca rimanere in Italia, perché il tour parte il 25 settembre: porterai sul palco un disco perfetto per la dimensione live. Hai strizzato l’occhio alla dance e all’elettronica…
Questo è stato determinato dal mio costante desiderio di ascoltare diversi generi di musica. Sono giunto ad una conclusione: il pop classico è morto, al suo posto c’è l’EDM (Electronic Dance Music). E in questo macro-genere o tipologia troviamo tutto il mainstream, dalla musica dei dj di provincia, fino ai pezzi dei Daft Punk. Dopotutto, oggi i ragazzi non fanno differenza tra un concerto dei Foo Fighters ed un evento di David Guetta: c’è un artista che suona e un pubblico che ama farsi intrattenere. Punto.
La mia vera passione sono le serie televisive, mi piacerebbe tanto scrivere delle canzoni per quel tipo di prodotto, magari collaborando anche al soggetto
Sempre a settembre ecco la grande novità “Capitani Coraggiosi”, con i live del duo Baglioni-Morandi. Faresti una cosa del genere? Magari con Jovanotti.
Un coppia superlativa per una pensata geniale. Del resto, io sono sempre stato affascinato dalle collaborazioni: prima o poi mi piacerebbe condividere un’idea di palco con Lorenzo, ma anche con altri amici-artisti con i quali ho da anni una naturale empatia. Per adesso penso al tour, che sarà lungo ed entusiasmante, più avanti si vedrà.
Prima di chiudere, due curiosità. Sono maturi i tempi per una nuova versione di Jolly Blu? Il cinema non ti stuzzica più?
Jolly Blu era un maldestro tentativo di collegare tanti videoclip e dare vita ad un “musicarello” dei tempi moderni. Ormai c’è il dominio di YouTube, non avrebbe senso riproporre un progetto – seppur divertentissimo – come quello. È vero, non mi sono mai affacciato per davvero al cinema: la mia vera passione sono le serie televisive, mi piacerebbe tanto scrivere delle canzoni per quel tipo di prodotto, magari collaborando anche al soggetto.
Restiamo in tema. Supereroi al cinema: c’è qualche pellicola che ti ha deluso?
Non è proprio recentissimo, ma ho mal sopportato il reboot di Spiderman. Mi è apparso molto deludente, soprattutto se paragonato alla trilogia capolavoro di Sam Raimi. A mio avviso hanno snaturato il personaggio, abusando di colori freddi, quasi come se si trattasse di un film “vampiresco”: vorrei che Spidey si riappropriasse della sua dignità di eroe di quartiere. Altrimenti è come se l’uomo ragno l’avessero ucciso un’altra volta.