Occident Ex-PressBomi Italia, anche la biomedicina si quota in Borsa

Bomi Italia, anche la biomedicina si quota in Borsa

«Se un’impresa piccola o media vuole diventare grande deve raccogliere capitale e non può guardare solo a domani mattina, ma anche al futuro di lungo termine». Marco Ruini è l’amministratore delegato di Bomi Italia, figlio di Giorgio Ruini, fondatore del gruppo che dal 1985 opera a livello internazionale nella logistica e nelle alte tecnologie mediche. A Linkiesta annuncia di aver chiuso la trattativa con First Capital, holding di Private Investments in Public Equity, e altri investitori istituzionali. Un accordo che era nell’aria e una partnership che proseguiva da tempo in altre forme, quella tra la società guidata da Ruini e la First Capital. «A fine marzo 2014 si era conclusa con successo un’operazione di finanziamento attraverso l’emissione di un “minibond incentivante” con scadenza a tre anni da 1.5 milioni di euro».

Bomi Italia S.p.A ha chiesto di poter aderire ad AIM Italia, il mercato alternativo dei capitali per le piccole e medie imprese 

L’8 giugno il gruppo di Vaprio d’Adda ha inoltrato a Borsa Italiana S.p.A. l’autorizzazione per aderire al sistema AIM Italia, il mercato alternativo del capitale per le PMI, gestito dalla Borsa di Londra. Il 19 giugno, a chiusura dei mercati, la First Capital ha fatto sapere che aderirà all’offerta pubblica iniziale con un investimento complessivo superiore ai 2.5 milioni di euro. «Non erano obbligati a comunicarlo» spiega l’ad Ruini, «ma essendo anche loro una società quotata hanno preferito mettere questa informazione a disposizione del mercato».

Nonostante la relazione privilegiata con First Capital e l’impegno finanziario della stessa, la strategia di sviluppo resta invariata: «Rafforzamento del modello di business in Europa e America Latina». La Bomi opera in Cile, Perù, Colombia. In Brasile è leader di settore con il 45% delle quote di mercato, in Messico ha ceduto a fine esercizio 2011 la filiale Bomi de Messico. Grande assente del Sud America l’Argentina, «dove abbiamo considerato il rischio Paese troppo elevato, anche se manteniamo attività in franchising».

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

L’espansione oltre Atlantico voluta dai vertici aziendali è dettata dalla necessità di trovare nuovi mercati di sbocco nei Paesi in via di sviluppo, che con i loro tassi di crescita (in rallentamento ma comunque superiori al trend europeo) hanno bisogno di ammodernare i propri sistemi sanitari, gli ospedali o i laboratori di analisi con tecnologia di alto livello. Che si parli di protesi, strumenti diagnostici o stent per angioplastica e trattamenti di patologie cardiache. Gli unici problemi commerciali nei mercati latino–americani sono dati dalle cosiddette barriere non tariffarie. «Ogni Ministero della Salute ha le sue normative per l’importazione di macchinari medici e noi dobbiamo uniformare i nostri standard a seconda del Paese di destinazione».

Gli USA del post Obamacare sono un mercato da guardare con ottimismo

Non solo America Latina. Anche negli Stati Uniti, dove l’amministrazione di Barack Obama è riuscita fra mille polemiche a impostare un sistema misto pubblico-privato, c’è la possibilità di espandersi, aumentare il volume di affari globale che a oggi per Bomi danza fra i 65 e i 70 milioni di euro, grazie a quella platea di 15 milioni di americani che – stando alle stime – negli ultimi due anni hanno avuto accesso a cure prima precluse. «In realtà abbiamo già una sede a Memphis, nel Tennessee, da dove osserviamo l’evolversi della realtà nordamericana. Si dovessero presentare occasioni sapremo coglierle».

La First Capital entra dunque in Bomi attraverso tre vie differenti: la prima è un aumento di capitale; la seconda, una sottoscrizione del prestito obbligazionario “Bomi Convertibile 6% 2015–2020”.E da ultimo esercitando i propri diritti su “Warrant Azioni Ordinarie Bomi Italia S.p.A. 2014–2017” – o azioni di compendio, quelle che spettano a un obbligazionista che decida di convertirle in azioni della società quotata.

Con questa mossa l’azienda guidata da Ruini riesce a smarcarsi da uno dei principali problemi che attanagliano la media imprenditoria: la dipendenza di credito dal solo sistema bancario

Con questa mossa – meno di due settimane dalla comunicazione dell’8 giugno – la società guidata da Ruini riesce a smarcarsi da uno dei problemi strutturali che attanagliano la media imprenditoria: la dipendenza di credito dal solo sistema bancario, che raggiunge proporzioni al limite dell’asfissiante in Italia e anche in Europa, dove non si è mai creato un vero sistema di finanziamento alle imprese alternativo al credito delle banche.

Il Fondo di Private e Public Equity – che per storia e tradizione investe in partecipazioni rilevanti (superiori al 2% del capitale sociale) dentro un numero limitato di società con specifiche nicchie di mercato – ha fatto sapere di sposare appieno il progetto industriale e la strategia di sviluppo sull’estero di Bomi Italia, ragion per cui aveva sottoscritto prestiti di medio periodo prima ancora che si parlasse di un piano di investimento comune. First Capital ha ottenuto il diritto di nominare un rappresentante nell’organo amministrativo di Bomi Italia. Tuttavia, conclude Ruini, «i dettagli dell’intero accordo verranno resi pubblici, con un comunicato stampa, nel tardo pomeriggio del 23 giugno dopo la riunione definitiva fra vertici della Bomi e il book di investitori».

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