Guardando la tv si ha l’impressione di una grande orchestra priva di solisti. Escluso Paolo Bonolis e con Fiorello (per sua scelta) ai box, è necessario osservare il passato con la flebile speranza che possa diventare presente. Pippo Baudo è il cantastorie per eccellenza, l’intrattenitore colto e gentile che ha saputo accompagnare lo spettatore nel sentiero della conoscenza pop. La nostra chiacchierata è una varietà di argomenti (musica, televisione, cultura, politica) e di nomi (Franco e Ciccio, Maria De Filippi, Maurizio Costanzo, Renzo Arbore, Gianni Morandi), dalle sue parole traspare la voglia di andare avanti, di scrivere, di inventare. E, se necessario, di replicare: “Sistina Story” è stata una fortunata avventura teatrale al fianco di Enrico Montesano, spettacolo che avrebbe meritato la ribalta del piccolo schermo. Pippo non è affatto invecchiato, non ha nostalgia del passato, casomai una punta di rancore nei confronti di un’azienda poco mamma e molto amante. Laddove i tradimenti sono spesso dietro l’angolo.
Lei ha inventato il varietà moderno: come mai la Rai non lo propone più? Questione di costi o di volontà?
Non vogliono farlo, questa è la sostanza. Un varietà, anche fatto bene, non costa più di tanti spettacoli televisivi che vediamo in prima serata da qualche anno a questa parte. I dirigenti non credono più in quella formula tipicamente italiana e preferiscono importare format stranieri. Il risultato, alla lunga, è una melassa dove fai fatica a scovare le differenze.
Abbiamo tutta questa necessità di acquistare all’estero? Gli autori italiani sono così scarsi e poveri di idee?
I nostri autori vengono portati a non pensare, ormai chi sta sopra di loro li induce ad adattare format stranieri alla nostra tv. Sa cosa le dico? L’esercizio sviluppa l’organo… (ride)
Potrebbe ripetersi un’esperienza come quella di Sistina Story? Personalmente ho avuto l’impressione si trattasse quasi di un programma televisivo mancato.
In effetti è costruito come uno show televisivo, ma la visione è parziale. Ho sempre pensato alla tv e al teatro come un racconto, anche per questo non potevo che tuffarmi con entusiasmo in questa avventura con il mio amico Enrico Montesano. Sarebbe bello se facessimo altre sei o sette edizioni di Sistina Story, c’è tantissimo materiale da cui prendere spunto e – tra l’altro – di elevata qualità. Il pubblico adora questo genere di intrattenimento: il problema è che spesso si cerca la strada più facile, copiare programmi già fatti all’estero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Una volta la musica in tv non funzionava, ora qualcosa è cambiato. Tuttavia, recente è il flop di ascolti per “The Voice” e soprattutto per “Forte Forte Forte”: il pubblico sta cambiando direzione?
Forte Forte Forte è stato un esperimento infelice, questo non è imputabile al genere. La musica in televisione funziona se va in verticale, se viene diretta ad un target preciso, che si tratti di ragazzini o adolescenti. È una constatazione innegabile della quale tocca tener conto. Di recente sono stato allo stadio per il concerto di Jovanotti, uno show costruito per i giovani. In tribuna, senza dubbio, ero lo spettatore più vecchio.
Maria De Filippi resiste benissimo, “Amici” funziona ancora…
Lei fa il vecchio varietà televisivo, niente di diverso. Ha saputo ispirarsi al mio Gran Premio (programma del 1990, ndr), dove si svolgeva una gara tra 12 squadre provenienti da Regioni diverse. Quella era una vera accademia dello spettacolo: all’epoca avevo requisito un’ala di un noto albergo romano per dare ai ragazzi un posto dove studiare canto, ballo, dizione e recitazione. Dieci anni dopo Maria ha fatto più o meno la stessa cosa, con furbizia, intelligenza e professionalità. Sa scegliere bene il cast delle sue trasmissioni e riesce meglio di tutti ad entrare in sintonia con il grande pubblico.
Pippo Baudo come vedrebbe la De Filippi a Sanremo?
Benissimo. Maria ha l’autorità e il carisma per farlo. Dubito che questo possa accadere, sa perché? Perché è Amici il suo Sanremo e dura alcuni mesi, non una sola settimana…
A settembre arriveranno i “Capitani Coraggiosi” Baglioni e Morandi: consiglierebbe ai giovani talenti usciti dai talent show di mettersi insieme per incuriosire maggiormente il pubblico?
L’unione fa la forza è un vecchio detto che andrà sempre di moda. Sempre al concerto di Jovanotti ho incontrato Gianni (Morandi, ndr) e mi ha detto: “Speriamo che funzioni…”. Non ho dubbi, Capitani Coraggiosi sarà un grande successo, un gioco vincente. Mettersi insieme porta sempre qualcosa di nuovo, fa divertire i big – bravi a mettersi in discussione – e contribuisce alla maturazione dei più giovani.
L’industria discografica non promuove i nuovissimi cantautori: forse stiamo scimmiottando il mercato anglo-americano, svilendo la nostra forza autorale?
I pezzi di oggi hanno una vita effimera, sono privi di una costruzione musicale importante. In partenza ogni canzone è uno scheletro, quello dei tempi moderni risulta assai fragile: dopo un mese ti dimentichi di questo o quel brano, una volta non era così. I cantautori del passato non erano centometristi, ma maratoneti.
..infatti Ruggeri mi ha detto: “Al mondo nessuno scrive testi belli come i nostri…”
Enrico ha perfettamente ragione. Pensi a “Si può dare di più”, non solo fu un grande successo sanremese, ma ancora oggi risulta essere attuale. Oltre che gradevole all’ascolto, il che non guasta.
Lei è stato Presidente dello Stabile di Catania, conosce l’arte (e l’artigianato) meglio di tanti altri. L’Europa avrebbe bisogno di una sorta di rivoluzione culturale?
La cultura non deve fare rivoluzioni, è un collante che sa tenere unita la società, come la calce fa con il muro. Alta, media o bassa che sia, la cultura ha il compito di accompagnare ogni gesto dell’uomo: più ce n’è, meglio è, non v’è dubbio. L’amara verità è che siamo sempre più cittadini di società incolte, la crisi è una conseguenza naturale.
A corredo, Renzi l’ha un po’ delusa?
È un uomo destinato a marciare in salita. Oggi la situazione internazionale è talmente ondivaga che ogni giorno c’è una cosa nuova: la sua volontà di fare riforme è lodevole, in Grecia si sono comportati diversamente, con esiti infausti. Inoltre, la politica italiana è ormai un’accozzaglia di piccoli partiti privi di identità, mi auguro che presto si possa arrivare a quel bipolarismo perfetto dei paesi anglosassoni con laburisti da una parte e conservatori dall’altra.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Tra i tanti cantanti lanciati in tv c’è qualcuno che l’ha un po’ delusa?
Il contrario! Da Giorgia a Bocelli, dalla Pausini ad Eros Ramazzotti. Con tutti sono in ottimi rapporti e sono felice che ancora oggi siano sulla cresta dell’onda. Nessuna delusione, semmai resto in attesa di un personaggio giovane che sappia conquistare le nuovissime generazioni e non solo per alcune settimane, come accade con gli artisti che escono fuori dai talent show: i nomi che ho citato in precedenza funzionano benissimo, ma non sono eterni.
Insomma, per dirla in maniera semplicistica: la nuova Pausini non uscirà da un talent show?
È una follia pensare che programmi del genere possano mietere un talento alla settimana. Il pericolo gravissimo, non mi stanco di dirlo, è la creazione di illusi e insoddisfatti. Un problema morale, oltre che artistico.
Quella in corso sembrava essere l’ultima stagione di Domenica In, invece si andrà avanti con la sovrintendenza di Maurizio Costanzo. Avrebbe voluto trovarsi al suo posto? Ci è rimasto male?
Per carità, Maurizio ha una bellissima storia alle spalle, è un professionista ed ha ancora qualcosa da dire. Onestamente sono rimasto colpito da questa nomina o decisione, faccia lei, perché figlia di un lieve conflitto d’interesse: curioso che la stessa persona faccia il Costanzo Show in Mediaset e Domenica In su Rai Uno, così sarà contemporaneamente portiere e centravanti della squadra avversaria…
Divaghiamo un po’. Come lei, ho sempre apprezzato la comicità di Franco e Ciccio: avrebbero meritato maggiore considerazione da parte della critica?
Eravamo grandi amici. Agli esordi furono accolti molto male, perché considerati due guitti: fu Modugno a sdoganarli con “Rinaldo in campo”. Ciccio ebbe la grande occasione con “Amarcord” di Fellini, Franco ci andò vicino con “Il nome della rosa”, dove avrebbe lavorato al fianco di Sean Connery. Peccato che il produttore disse che il nome di Franco avrebbe macchiato il manifesto: ci rimase malissimo, come lui tanti amici veri. Sarebbe stato un doveroso riconoscimento.
Arbore mi ripete spesso: “Sono orgoglioso di essere un provinciale!”. Lei com’è…?
Siamo molto simili, anzi io sono peggio di lui! (ride), perché vengo da un paese, non da una provincia importante come Foggia. La verità è che origini come le nostre costituiscono, da sempre, una spinta per chi vuole fare carriera nello spettacolo: noi provinciali sognavamo più dei ragazzi di città, dopo la laurea non vedevamo l’ora di metterci in viaggio verso Roma. Quelli come me e Renzo si sono impegnati e sacrificati di più. Per fortuna, e non solo, ce l’abbiamo fatta.
Chiudo: nel cuore e nella mente ha certamente un’antologia musicale, esiste un brano al quale è più affezionato, perché legato ad un ricordo particolare della sua vita?
Difficile trovare un titolo. Oltre al cantautorato di casa nostra, adoro la musica brasiliana e quella francese, ma soprattutto sono da sempre un incallito ammiratore di Frank Sinatra. Il prossimo 12 dicembre avrebbe compiuto cento anni, tutto il mondo vorrà festeggiarlo adeguatamente, con tutti gli onori. Certamente anche in Italia.
..magari con uno show in prima serata su Rai Uno, firmato Pippo Baudo.
Magari. La Rai è la mia sede naturale, resterà sempre casa mia.