Evento americano per eccellenza, nel tempo è diventato parola d’ordine per la controcultura più chic. Il Burning Man, il festival di musica che si tiene, ogni anno, nel deserto del Nevada, rischia però di massificarsi. Di diventare “sempre più popolare, e per questo sempre più irrilevante”. Da sogno trasgressivo di fuga e isolamento a punto di approdo di star e celebrità, che ne colgono il lato più modaiolo.
Per chi non lo conoscesse, serve sapere che si tratta – almeno secondo gli organizzatori – di una forma di esperimento sociale di comunità, nato nel 1991, sotto la guida di un comitato specifico, con a capo Larry Harvey. L’idea risale a qualche anno prima, cioè al 1986, quando lo stesso Harvey e altri amici salutavano il solstizio d’estate con un falò. La trovata di bruciare un gigantesco uomo di legno alla fine del festival nasce qui. È un rituale importante, che viene interpretato come gesto di “auto-affermazione”, anche se somiglia molto alle “vecchie” dei vari carnevali europei.
Per una settimana i partecipanti (quest’anno se ne attendono più di 60mila) si ritrovano nel deserto, dal 1996 a Black Rock City (città che si forma, nasce e muore ogni anno in occasione), accampati in una struttura a rete precisa. Qui ognuno deve pensare a sé, per quanto riguarda il sostentamento (sono disponibili solo ghiaccio e caffè). Non si possono usare soldi, ma solo baratto. Non si possono usare cellulari e le macchine fotografiche devono essere registrate all’arrivo (chi poi volesse scattare immagini a uso commerciale, deve accordarsi prima con gli organizzatori). Divieto di portare cani, di usare automobili o altri mezzi (tranne quelli specifici dell’organizzazione), di fare i fuochi d’artificio.
Ognuno può assistere ai concerti, che non sono mai di grandi nomi di richiamo, o addirittura creare e organizzare delle proprie attrazioni. È un festival di comunità in cui tutti devono sentirsi coinvolti.
L’importante è che ogni opera d’arte (o ciò che rimane delle performance individuali) sparisca. Si può scegliere di bruciarle, come avviene per l’uomo di legno, ma in punti specifici decisi dall’organizzazione.
Le temperature possono arrivare a 40 gradi, per cui è bene partire preparati (ed è anche bene lasciare a casa i bambini). Ognuno, poi, può assistere ai concerti, che non sono mai di grandi nomi di richiamo, o addirittura creare e organizzare delle proprie attrazioni. È un festival di comunità in cui ognuno è coinvolto. O almeno, ognuno può essere coinvolto.
Ci sono anche altre regole e regolette che valgono al Burning Man. Qui se ne trovano, elencate in modo sparso, almeno 25. Tra le più significative: non sono ammesse le piscine portatili (con i 40 gradi dell’estate nel deserto, sarà un asset importante), ma che non possono essere rese pubbliche. Lo stesso vale per eventuali docce portatili: ognuno fa per sé. È lo spirito americano, l’auto-determinazione made in Us.
Sarà proibito portare balle di fieno (e questo risulta inspiegabile) mentre sarà doveroso portare degli estintori.
Sono obbligatori anche occhiali contro la sabbia, mentre è proibito scavare buche di ogni genere. Se poi uno ha bisogno del bagno, ci sono quelli appositi dell’organizzazione. Lo scopo di tutta la manifestazione è di non lasciare nulla di sé nel luogo. E portarsi via solo i ricordi.
Il Burning Man si traduce in una fuga dalla vita normale per un’esperienza unica. Non è una vacanza, o almeno viene vissuta come qualcosa di diverso. Chi ci è stato prova un senso di identità nuovo, un’ avventura che fa sentire unici. Tanto che, anche questo, forse ha stancato. Il Burning Man – va ricordato – è sempre più popolare, ma sempre meno rilevante.