Fu proprio Daniele Luttazzi, qualche anno fa, declinando l’invito di Pippo Baudo che lo voleva al suo fianco nella conduzione del Festival di Sanremo, a dire che non aveva senso che un autore satirico, uno «che parla di politica, sesso, religione e morte», stesse su quel palco. Pensateci bene: se questi sono i confini della satira, la satira – come dice Vincino nella nostra intervista – non ha confini. Tanto meno nel web, che senza confini lo è per definizione.
Il problema, semmai, è che il mondo ce li ha, i confini. Ce l’hanno ricordato i fondamentalisti islamici che hanno freddato dodici persone dentro e nei pressi della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, sentendosi offesi dalla rappresentazione umoristica e blasfema di Allah. Ce lo ricordano, ogni giorno, tutti gli autori satirici – come quelli russi, ad esempio – che lavorano in luoghi dove ridere del potere è molto difficile. Non fosse altro, perché al potere non piace che si rida di lui.
«Attacca le cose come stanno, ma è talmente cinica e pessimista che irride chi vuole cambiarle. La satira non crede in niente»
In questa sfida tra sacro e profano, tra permesso e proibito si è messa di traverso la questione profughi. Domanda: la satira, di fronte al debole, o anche solo nell’uso che fa del debole per colpire il forte, deve o meno fermarsi? Si può (o si deve) davvero ridere di tutto? Lo abbiamo chiesto a Vincino, che dei disegnatori satirici italiani è il decano e che con “Il Male”, nei tardi anni ’70, è riuscito a costruire quello che è forse il più bell’esperimento di satira libertaria che mai si è visto in questo paese. E già che c’eravamo l’abbiamo chiesto pure a Natalino Balasso, uno dei casi più interessante del ruolo satirico attraverso il web.
Ma c’è spazio anche per un ritratto-racconto-recensione su Trey Parker e Matt Stone, gli inventori di South Park, per parlare di indipendenza e monetizzazione della satira – un’altro dei più temuti fattori di delegittimazione di una professione che si fonda sul suo opposto – e con un giovane graffitaro satirico italiano per chiedergli se e come si può fare innovazione sociale attraverso la satira.
Nel frattempo, le mille parodie del piccolo Aylan invadono il web. Perché, come dice Lia Celi nella nostra intervista, la satira è cattiva, amara, crudele: «Attacca le cose come stanno – dice la Celi -, ma è talmente cinica e pessimista che irride chi vuole cambiarle. La satira non crede in niente». E forse definizione migliore non si può trovare.