Inatteso protagonista di Pechino Express, Giancarlo Magalli conferma il suo appeal nei confronti del pubblico: trenta e più anni di carriera in Rai rappresentano oggi l’ideale punto di partenza per analizzare alti e bassi della prima azienda culturale italiana.
Corsi e ricorsi storici obbligati, soprattutto dopo le recenti dichiarazioni d’intenti del nuovo direttore generale Antonio Campo Dall’Orto («Penso a una Rai più pop e che non sia schiava degli ascolti…»). Autore e conduttore di programmi di successo, Magalli risulta essere sempre più amato dal popolo social, che in tempi non sospetti aveva caldeggiato la sua candidatura a Presidente della Repubblica: una lunga chiacchierata che va avanti tra ricordi amari (la governance scriteriata di Siciliano e Del Noce) e ben più dolci (programmi di successo come Non Stop,Fantastica Italiana, Pronto Raffaella, Patatrac), un’analisi lucida e sincera che non risparmi pronostici funesti: «Il Rischiatutto di Fazio sarà un flop».
A ridosso di un cambiamento si sprecano buoni consigli e buoni propositi: tutti dicono che la Rai dovrebbe ripartire dalle idee. Insomma, la storia si ripete?
Si ripete, soprattutto quando non viene fatta. È chiaro ed è giusto che si punti su questo, ben vengano i cambiamenti, sono il primo ad apprezzarli. Così come sono il primo ad amare la figura storica dell’autore, ruolo che ho ricoperto fin dai primi anni della mia carriera in Rai. Il problema è che i veri autori non esistono più, anzi, non hanno diritto di cittadinanza. La tv si potrebbe fare ancora così, purtroppo ci si affida troppo spesso a “società di format”, chiedendo loro programmi che abbiano già avuto successo all’estero e in grado di essere adattati al mercato italiano. È o non è la morte della creatività?
Se vogliamo, tutto questo è già accaduto in passato.
«I veri autori non esistono più, anzi, non hanno diritto di cittadinanza»
Certo, Lascia o raddoppia e Il Musichiere erano programmi già esistenti sulla tv americana, poi abilmente trasferiti nel nostro paese, ma con una sottile differenza: diedero il via a un’epopea. Non mi soffermo sulla grandezza di Mike Bongiorno, Antonello Falqui e Mario Riva perché risulterei banale e scontato.
Il nuovo dg Campo Dall’Orto sogna una Rai più pop: quindi?
Sai, “pop” è un concetto che si porta dietro un alone di negatività, ma l’essere “popolare” – che si tratti di programma o conduttore – non vuol dire essere per palati facili, tutt’altro. Una televisione pop è una televisione che piace alla gente, alla massa, dopotutto la tv nasce per essere popolare. Anzi, è stata proprio la tentazione di fare una tv più sofisticata ad allontanare il pubblico.
Fammi un esempio .
Anni fa facevo un programma di informazione libraria o letteraria, fai tu. Il punto è che lo facevo parlando alla maggioranza, a tutti quelli che hanno quasi paura di entrare in libreria, quelli che non sanno cosa leggere e perché. Contemporaneamente, su un’altra rete, andavano in onda due intellettuali che proponevano un linguaggio aulico, incomprensibile. Risultato: le case editrici ci telefonavano per ringraziarci, avevamo contribuito al successo di alcune pubblicazioni. Le cose semplici vincono sempre.
Secondo te Campo Dall’Orto è sincero quando dice che un’azienda come la Rai possa anche non avere l’obbligo degli ascolti?
«I grandi ascolti logorano chi non ce li ha»
Parafrasando Andreotti, i grandi ascolti logorano chi non ce li ha. Campo Dall’Orto fa bene a dare queste indicazioni, è giusto non pensare unicamente allo share, così come è giusto chiudere un programma quando porta a casa scarsi risultati. Il problema è che spesso si creano trasmissioni o, meglio, si adattano format stranieri con la presunzione che possano avere grandi ascolti anche da noi. Se punti tutto sui numeri, poi corri il rischio di fallire.
Può ripetere in Rai quanto fatto ad Mtv?
Il pubblico è differente, lì ci si riferiva ad una precisa fascia di età, con determinati gusti. Lui è stato bravissimo a individuare il bersaglio e a fare centro. Applausi. Il nostro pubblico, tuttavia, è infinitamente più largo: il guaio è che questo ha portato alcuni dirigenti del passato a colpire a casaccio… A suo favore gioca il fatto di aver lavorato in tv, di conoscerla profondamente. Pensa che Siciliano [Presidente Rai dal 1996 al 1998, ndr] si vantava pubblicamente di non avere il televisore a casa. Allora vai a fare il presidente dell’Atac!
La storia è fatta anche di ritorni. Nel nuovo CdA c’è Carlo Freccero, sarà utile alla causa?
Di certo, come consigliere di amministrazione non potrà mai imporre la sua volontà, ma saprà dare indicazioni o influenzare decisioni. E, attenzione, si metterà sempre a verbale il suo disaccordo. Carlo è il maestro del disaccordo, soprattutto è un uomo di cervello, vulcanico, geniale. Ha idee talmente veloci che spesso tendono a superarlo, a staccarlo. Una cosa va detta: è stato in grado di fare puntualmente una televisione migliore di come l’aveva trovata.
Tutti possono fare la tv? La storia si ripeterà?
Il mio amico fraterno Gianni Boncompagni la pensava così. Infatti prese Pupo per fare Domenica In, proprio quando Enzo non era in un punto apicale della sua carriera. Anche Non è la Rai è nata con questi presupposti: un gruppo di ragazzine senza entusiasmo e senza doti particolari che, tuttavia, risultavano simpatiche ad un pubblico di giovanissimi. Ricordo che sui muri di Roma c’era scritto: «Non siamo ambramate». Eppure Ambra era una ragazzina intelligente e sveglia, lo ha dimostrato la storia.
Ancora corsi e ricorsi storici: la Rai riproporrà il glorioso Rischiatutto con Fazio al posto di Mike. Mossa intelligente o inutile?
Senz’altro inutile. E continuerò a pensarlo anche qualora dovesse risultare un successo in termini di ascolti. Anche se conservo forti dubbi a riguardo. Soprattutto, penso sia inutile toccare miti e icone, te lo dice uno che tanti anni fa si scottò con la fallimentare riedizione del glorioso Lascia o raddoppia. Ai dirigenti dell’epoca avevo detto che il pubblico non avrebbe gradito. Così è stato. Tuttavia…
Tuttavia?
Tuttavia bisogna riconoscere che Fabio Fazio è sempre stato bravo a montare e rimontare le cose con l’ausilio di un gusto estetico e di una competenza di rilievo. A sua vantaggio il fatto che il Rischiatutto in America ancora esiste, un motivo ci sarà. Da noi ebbe successo unicamente perché gli autori (ancora loro) ebbero la fortuna e la bravura di trovare veri e propri personaggi. La differenza, in un quiz, la fa il contorno, i concorrenti, non il conduttore.
Hai citato Boncompagni, io cito Renzo Arbore: «In Italia – ha detto recentemente – abbiamo fatto la tv più bella di tutti». Sei d’accordo?
Senza dubbio. Infatti, nonostante gli americani ci precedevano di una ventina d’anni, noi siamo stati bravissimi a creare una televisione d’autore, privilegiando la qualità e dando vita a programmi interessanti, intelligenti e divertenti. Se accadesse oggi, tutti griderebbero al miracolo.
Ci avviamo alla conclusione. Mi confessi, ammesso che esistano, il punto più alto e quello basso della tua carriera televisiva?
«Difendo tutto quello che ho fatto, tra alti e bassi»
Mi viene difficile, perché difendo tutto quello che ho fatto, tra alti e bassi. Due o tre programmi sono andati meno bene di altri, ma la percentuale è quasi irrilevante se pensi a quanta carne ho messo sul fuoco, tanto da autore quanto da conduttore. Continuo ad essere orgoglioso di Non Stop, un programma brillante che, guarda caso, poggiava tutto su idee e autori e nulla sul presentatore (che non c’era).
E poi?
E poi Domani Sposi, dove lanciai Simona Ventura, oppure I Cervelloni, dove riuscimmo a mettere in luce le cose buone dell’Italia.
Ti senti un sottovalutato della tv?
In parte è così, lo ammetto. Ho avuto la sfortuna di trovare sulla mia strada persone e personaggi miopi, dirigenti che si sono messi di traverso, impedendomi di fare il mio lavoro.
Tipo?
Fabrizio Del Noce, non ne faccio mistero. Preferì a me altri che fecero delle figure miserabili: diede alla Ventura I Cervelloni. Risultato: chiuso dopo due puntate. E poi la Venier, che portò al fallimento la mia Fantastica Italiana. Ecco, forse io sono stato sottovalutato, probabilmente Del Noce è stato sopravvalutato.