Un discusso ma, a mio avviso, indiscutibile anchorman televisivo diceva: “La televisione è come la cacca, bisogna farla e non guardarla”. Era Gianfranco Funari. Davanti a noi, oggi, una Rai che sembra essere giunta al suo Anno Zero (vero, frase già sentita), perché la riforma del servizio pubblico è vicina ad una conclusione e perché il nuovo DG, Antonio Campo Dall’Orto, viene dal mondo della televisione. Sembra strano, ma in Viale Mazzini non sempre è andata così.
Sul presente e sul futuro della tv di Stato interviene Roberto Fico, deputato del Movimento 5 Stelle e Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, che invoca maggiore sperimentazione nella tv generalista e minori legami con i partiti (“Con Renzi la Rai diventa un network paragovernativo”).
Cosa guarda in tv? E soprattutto: cosa le manca della tv che non c’è più?
In generale mi piacciono i programmi di inchiesta, film e alcune serie televisive. Per quanto riguarda il passato, la risposta è semplice: “Indietro tutta” e le trasmissioni di Gianni Minà. Nella tv generalista trovo soprattutto che si sia sperimentato meno negli ultimi anni. Mi auguro, da telespettatore, che specialmente il servizio pubblico ricominci ad essere un grande laboratorio di creatività.
Puntando su cosa?
Sulla qualità, sull’innovazione, sui talenti. Soprattutto, senza essere mai banali.
Cosa c’è che non va in Rai che salta subito agli occhi?
Il legame con la politica. Il Movimento 5 Stelle aveva presentato una proposta di legge, a mia prima firma, che aveva l’obiettivo di rendere indipendente il servizio pubblico dall’influenza dei partiti e del governo. Prevedevamo una procedura pubblica e trasparente per selezionare i futuri vertici Rai secondo criteri di onorabilità, competenza e indipendenza. La legge voluta da Renzi, già approvata alla Camera dei Deputati, va in direzione opposta: poco cambia rispetto alla Gasparri, i partiti continuano ad avere un ruolo nelle nomine dei consiglieri di amministrazione e l’esecutivo accentua il suo peso in Rai con la nomina dell’amministratore delegato. Una normativa che non ha pari in Europa.
In sostanza, mi sta dicendo che il Premier ha bisogno della televisione.
È così. Renzi ha fatto in modo di eleggere nel CdA personaggi come il suo ex spin doctor e l’assistente di un parlamentare del proprio partito. Ha posizionato ai vertici della tv pubblica come direttore generale uno degli animatori della propria convention, la Leopolda. E ora, con questa riforma, aspira a snaturare completamente il senso del servizio pubblico, trasformando quest’ultimo da strumento critico e della collettività in un network paragovernativo che deve edulcorare la realtà diffondendo good news. Il suo disegno è chiarissimo e va inquadrato in una prospettiva più ampia che abbraccia la riforma costituzionale e la legge elettorale.
Il nuovo direttore generale Antonio Campo Dall’Orto sogna una Rai più pop: qual è il suo punto di vista?
Dipende dal significato che si vuole dare alla componente “pop”. Popolare non significa necessariamente commerciale e non è necessariamente sinonimo di cattiva qualità. Si possono realizzare programmi di grande qualità destinati a un pubblico molto ampio e trasversale. È chiaro che se, poi, ci si ritrova unicamente a copiare format della tv commerciale, qualcosa non va. Inoltre vanno valorizzate maggiormente le professionalità interne all’azienda pubblica evitando di fare ricorso con eccessiva frequenza a realtà esterne. La Rai acquista un numero considerevole di format prodotti all’estero e crea sempre meno: una tendenza che va invertita.
Ad esempio potenziando il lato web con produzioni e risorse ad hoc.
Senza dubbio il futuro della televisione sarà sempre più legato allo sviluppo del web che sta imponendo linguaggi, progetti, format diversi. Può essere l’occasione per sperimentare e aprire nuove strade. La rete, poi, differenzia anche le modalità di usufruire dei prodotti audiovisivi. Con la sua evoluzione stanno mutando le abitudini delle persone. Siamo sicuramente in una fase di cambiamento molto interessante. Mi auguro che la Rai non resti indietro.
Tre opinioni secche: a) tv locali: il digitale ne ha davvero acuito le potenzialità? b) sedi regionali Rai: ruolo e persistenza potranno essere scalfiti dalla riforma? c) il canone in bolletta: non dovrebbe essere un passaggio successivo ad una riorganizzazione qualitativa di tutto l’apparato televisivo?
Per le tv locali credo che con il digitale possano contare su un’opportunità ulteriore. Ritengo siano un patrimonio da preservare: raccontano il territorio più da vicino e con maggiore attenzione.
La riforma sfiora soltanto le sedi regionali Rai che indubbiamente vanno riorganizzate ma sono un presidio del servizio pubblico sul territorio di enorme importanza.
Per il canone, sono d’accordo con lei. Non è una misura che va trattata, come sta facendo il governo Renzi, nella legge di stabilità. È necessario inserirlo in una riflessione più ampia che possa abbracciare il sistema radiotelevisivo nel suo complesso. Prima di parlare di canone, parliamo di missione del servizio pubblico.
Ha senso secondo lei pagare un canone per quella che oggi è l’offerta dei palinsesti?
Io pago il canone ma, senza dubbio, il servizio pubblico deve rispettare la sua missione. E deve preservare la sua indipendenza. Che senso avrebbe altrimenti, per i cittadini, finanziare una televisione che fa gli interessi dei partiti e del governo, e non del Paese?
Si potrebbe investire sui canali radiofonici. Radio Rai meriterebbe maggiori risorse, soprattutto per puntare sui giovani e non su volti noti della tv.
Concordo. Di base, la radio resta uno strumento meraviglioso e in grado di resistere ai cambiamenti, senza snaturarsi e mantenendo intatta qualità e capacità di innovazione. Bisogna continuare a investire e del resto è proprio ciò che sta avvenendo nel settore, vedi la crescita di Mediaset delle ultime settimane nel settore radiofonico attraverso la partnership con Finelco. Sono tuttavia certo che il patrimonio di esperienza e professionalità di Radio Rai non si disperderà.
Chiudo. Quanto è stato utile in questi 30 anni il Silvio Berlusconi imprenditore all’evoluzione della televisione italiana? E quanto d’ostacolo…?
Credo che Berlusconi sia stato utile solo a se stesso. La vera questione è il sostegno bipartisan di cui ha sempre beneficiato: ci ricordiamo tutti delle parole di Luciano Violante alla Camera che garantiva a Berlusconi che le sue televisioni non sarebbero mai state toccate? E dell’inerzia della sinistra rispetto all’approvazione di una seria legge sul conflitto di interessi? Quando il M5S è entrato in Parlamento, tra i primi provvedimenti ha presentato una legge sul conflitto di interessi, a prima firma Riccardo Fraccaro. Secondo lei, Renzi e il Pd la discuteranno mai?