Che cosa ci permette di riconoscere un buon negoziatore?
Tre caratteristiche: la propositività, la capacità d’ascolto e il fare domande.
Analizziamole rapidamente iniziando proprio dalla prima, la propositività.
Difficilmente un negoziatore che sia realmente efficace recrimina, polemizza o minaccia. Un negoziatore fa proposte. Questo consente di uscire da sterili dialoghi, di fatto spesso dei monologhi, dall’infecondità della polemica e dalla pochezza di approcci recriminatori o peggio minatori.
Non ci vogliono grandi capacità per fare tutto ciò, è abbastanza alla portata di tutti, e costruire la nostra professionalità sull’utilizzo di questi strumenti ci rende sul mercato del lavoro abbastanza fungibili.
Fare proposte ha un primo “devastante” effetto: sposta l’attenzione su dati concreti e mette in condizione chi le fa di guidare la trattativa perché farà si che si inizi a parlare di numeri, i suoi. Ma allora perché le persone non fanno proposte?
Per svariate ragioni: perché spesso non hanno chiari i propri obiettivi e, peggio ancora, se agiscono su mandato, non hanno chiari i contenuti del mandato stesso; altre volte sperano di ottenere di più se a fare il primo passo sono gli altri e in ultimo sono consapevoli che fare proposte è un gesto di responsabilità, e questo spaventa. Prendere l’iniziativa e fare la proposta è un atteggiamento che testimonia preparazione, chiarezza circa i propri obiettivi e visione strategica integrata alla più ampia gestione del proprio ruolo. Fare la proposta è una chiara forma di assunzione di responsabilità: so che cosa voglio, mi sono preparato, agisco consapevolmente per ottenerlo.
Proporre significa prendere una posizione e tracciare un percorso.
Da vittima a protagonista: questa potrebbe essere un’utile rilettura del ruolo della proposta nell’ottica del nostro contributo alla generazione del cambiamento.
Proporre significa prendere una posizione e tracciare un percorso
Veniamo al secondo punto, l’ascolto il cui beneficio sta nell’opportunità di arricchire la nostra conoscenza attraverso gli altri.
I negoziatori capaci in genere parlano poco e ascoltano.
Ascoltare non è sentire, pura attività fisiologica che non richiede alcun impegno.
Ascoltare è annullare momentaneamente sé stessi per dedicarsi agli altri, è accettare di mettersi da parte per porre al centro i nostri interlocutori e la loro visione del mondo. Tutto il nostro percorso educativo è incentrato sulla parola: i genitori non si chiedono quando i figli hanno iniziato a ascoltare, ma quando hanno iniziato a parlare. Eppure che la parola sia meno importante dell’ascolto lo dovremmo capire dalla stessa fisiologia umana: abbiamo una bocca e due orecchie.
Ascoltare è annullare momentaneamente sé stessi per dedicarsi agli altri, è accettare di mettersi da parte per porre al centro i nostri interlocutori e la loro visione del mondo
In ultimo il fare domande, qualità irrinunciabile per un negoziatore, attività spesso inibita da processi educativi che hanno origine da approcci dogmatici. Il problema non si può definire o relegare a una questione semplicemente culturale, pena un atteggiamento di indulgenza verso una improficua generalizzazione, ma è vero che la nostra cultura scolastica in Italia è molto inibente rispetto al porgere delle domande. Già tra i banchi della scuola il porre domande viene stigmatizzato come generico indice di impreparazione o di larvato dissenso, anziché valutato e incentivato come manifestazione di sana curiosità, volontà di approfondimento o interesse per una migliore comprensione. E questo retaggio ce lo portiamo nel mondo del lavoro.
Fare domande è sentito come una diminutio: capiranno che non sappiamo.
È diffusa la convinzione che la persona brillante abbia sempre la riposta pronta.Insomma, è idea comune che ciò che attrae gli altri siano le nostre risposte.
È al contrario ampiamente dimostrato da approfonditi studi sulla leadership, ma soprattutto sull’efficacia nell’instaurare relazioni, che porre le domande più appropriate è assai più importante che avere o cercare sempre le risposte giuste.
Ricercare nei nostri interlocutori queste tre componenti, come lo svilupparle in noi, è importante: da una parte, perché individuare dei buoni negoziatori ci renderà la vita migliore, dall’altra, perché saremo noi a renderla migliore agli altri.