Lo abbiamo pensato tante volte, alla termine di finali combattutissime, che non poteva trattarsi solo di sport. Il tennis è anche filosofia: lo sono i suoi protagonisti e le stesse dinamiche del gioco. Un gruppo di filosofi ha deciso di prendere sul serio l’argomento. «Filosofi e tennisti necessitano di silenzio e meditazione per costruire il loro sistema – spiega Carlo Magnani, dell’Università di Urbino -. Connors non esprime forse il pessimismo antropologico di Hobbes? E McEnroe non ricorda la volontà di potenza di Nietzsche? Le analogie e i rimandi tra i fondamentali del tennis e le categorie filosofiche sono il centro di un percorso che giunge sino alla simbologia religiosa di Federer».
Magnani è uno dei tre protagonisti di Popsophia, un festival che ogni anno di propone di coniugare la filosofia con i fenomeni pop della cultura di massa. Quest’anno siamo alla sesta edizione, che si terrà a Pesaro dal 14 al 17 luglio e sarà dedicato al “Ritorno della Forza”. All’interno, nelle serate da venerdì 15 a domenica 17, ci sarà la rassegna “Dritto/Rovescio”, tutta dedicata al tennis. Non è un caso, perché negli stessi giorni la città marchigiana ospita il quarto di finale della Coppa Davis, Italia-Argentina.
Dopo il debutto di Magnani, con la sua filosofia del tennis, sarà la volta di Umberto Curi, dell’Università di Padova, e di Cesare Catà, dell’Università di Macerata. L’obiettivo è sempre quello: discutere i nessi tra la riflessione speculativa e la poetica di uno sport e dei suoi grandi campioni. Ci saranno filosofi, giornalisti e sportivi, in collaborazione con la Federazione Italiana Tennis delle Marche.
«Connors non esprime forse il pessimismo antropologico di Hobbes? E McEnroe non ricorda la volontà di potenza di Nietzsche? Le analogie e i rimandi tra i fondamentali del tennis e le categorie filosofiche sono il centro di un percorso che giunge sino alla simbologia religiosa di Federer»
Il filosofo Umberto Curi snocciolerà il concetto di guerra applicato al tennis. «Se lo sport in generale è una forma di ritualizzazione della guerra, – spiega Curi – il tennis è forse lo sport che più di ogni altro conduce alle sue conseguenze più rigorose, il processo che trasforma una prestazione sportiva in un rito. A partire dalla delineazione del campo di battaglia, un rettangolo. La rete – continua – come confine che se per un verso separa, dall’altro stabilisce anche i presupposti per una relazione fra i contendenti. Ma forse l’aspetto che rende il tennis la più coerente e suggestiva metafora della guerra è l’ambivalenza irriducibile che connota il suo universo linguistico. Tutto è doppio: l’eleganza del gesto accompagnata dall’esplosività della potenza, la violenza del colpo congiunta alla ricerca di precise geometrie spaziali, la tensione a sopraffare l’avversario, mai disgiunta dal leale rispetto. Come avviene sul campo di battaglia, solo uno dei due combattenti potrà sopravvivere».
Sul rapporto di sfida con se stessi invece si soffermerà la riflessione di Cesare Catà. «L’appuntamento mira a misurarsi con la natura filosofica del tennis visto come lotta del giocatore con se stesso. L’avversario in questa accezione è l’alter ego di sé. Un excursus letterario da Wallace a Beckett ci permetterà di indagare questa natura del tennis soffermandoci poi anche sulla valenza etica di questo sport».