Il ragionier Fantozzi e la sua Megaditta sono sempre più il simbolo di un tempo che sembra essere superato. Il padrone (volutamente uso questo termine dal sapore aspro) e gli operai sono anch’esse categorie in cerca di nuova identità. L’imprenditore che apre un capannone in Brianza sa che non dovrà confrontarsi con il vicino ma con il mondo.
Senza che quasi ce ne accorgessimo è accaduto che l’informazione, dall’essere vidimata, spedita e controllata, ora viaggia alla velocità del web; che l’attività ripetitiva e meccanica è sostituita sempre più dall’automazione; che da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che può realizzare lo stesso prodotto a un costo enormemente inferiore e ha una spinta verso il benessere che chi vive nell’agio occidentale ha dimenticato da tempo.
Poi c’è un altro elemento da considerare. L’aumento del debito pubblico italiano degli ultimi decenni significa una cosa: che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. In questo modo ci siamo un po’ viziati (voglio precisare che il mio è un discorso generale e non è valido per tutti), abituati a uno standard di vita basato sul denaro, ma che troppo spesso dimentica la dimensione dell’essenza delle cose importanti, la sobrietà sacrificata in cambio dell’idolatria del consumo. Non siamo più sereni, ma forse più impauriti e, spinti da un’impostazione individualistica, tendiamo ad accumulare ricchezze, ricchezze che utilizziamo per rendita o per alimentare la logica dell’avere, dei consumi, di uno status basato su ciò che possiedo.
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La ricchezza non manca; sta a chi ne ha aprirsi ai sogni dei giovani, e ai giovani lottare per arrivare a quella ricchezza