Tanti candidati premier, o aspiranti tali. Ma ancora poche certezze su chi sarà il prossimo presidente del Consiglio. L’elettorato italiano ormai è diviso stabilmente in tre blocchi. Finché i sondaggi non segneranno un apprezzabile cambio di rotta, difficilmente la nuova legge elettorale favorirà la nascita di una chiara maggioranza parlamentare. Ecco perché Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si daranno battaglia fino all’ultima preferenza, ma il giorno dopo il voto potrebbero essere costretti a fare un passo indietro. Con ogni probabilità a spuntarla sarà qualcun altro. Magari una seconda fila, un profilo autorevole e ancora nell’ombra. Oppure un papa straniero, chiamato per guidare il Paese in una difficile situazione di stallo. Il risultato di una lunga mediazione. In ogni caso, una figura meno compromessa con i toni esasperati che scandiranno i prossimi mesi di campagna elettorale. È un destino a cui per ora sembra scampare solo il grillino Luigi Di Maio, visto che in ogni caso i Cinque Stelle non apriranno trattative con gli altri partiti.
A indirizzare le scelte del Quirinale saranno il risultato elettorale e i nuovi equilibri in Parlamento. Intanto si può iniziare da qualche punto fermo. A partire dal premier attuale: al primo posto tra i papabili c’è proprio Paolo Gentiloni. Anche perché in caso di palude post elettorale l’esponente del Pd resterà alla guida del governo fino alla formazione di una nuova maggioranza. Il profilo del premier non sembra avere pecche: il successore di Renzi a Palazzo Chigi non è arrogante né impulsivo. E, pur essendo di parte, in questi mesi si è caratterizzato per un approccio istituzionale distensivo e inclusivo. Gentiloni non sgomita sul palcoscenico mediatico e non sembra coltivare particolari ambizioni, tanto da declinare cortesemente ogni offerta anche per la prossima legislatura. Ma se a chiamarlo fosse il Quirinale potrebbe tirarsi ancora indietro?
Renzi, Berlusconi e Salvini si daranno battaglia fino all’ultimo, ma il giorno dopo il voto potrebbero essere costretti a fare un passo indietro. Con ogni probabilità a spuntarla sarà qualcun altro. Magari una seconda fila, un profilo autorevole e ancora nell’ombra. Una figura chiamata per guidare il Paese in una difficile situazione di stallo. Meno compromessa con i toni esasperati che scandiranno i prossimi mesi di campagna elettorale
Nel centrodestra in testa ai sondaggi ci sono tante incognite. Ma c’è una certezza: anche se sarà protagonista della campagna elettorale, Berlusconi è fuori dai giochi. Il Cavaliere resta incandidabile per effetto della condanna per frode fiscale. Il leader della Lega farà campagna con un solo slogan: Salvini premier. Eppure anche lui – come l’alleata di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni – potrebbe essere costretto a un passo indietro una volta archiviato il voto. Secondo gli accordi, a indicare il futuro premier di centrodestra sarà il partito che avrà preso un voto in più degli altri. Ma proprio per questo andrà cercato un nome che unisce. Se dovesse prevalere Forza Italia, da qualche tempo si ipotizza l’investitura di Antonio Tajani, berlusconiano della primissima ora. Ma il presidente del Parlamento europeo difficilmente potrebbe lasciare l’incarico internazionale conquistato da poco. Senza considerare che il suo spiccato europeismo potrebbe non entusiasmare gli alleati di destra. Intanto in questi giorni è spuntato il nome di un altro storico collaboratore del Cav: l’ottantenne Gianni Letta. Protagonista delle strategie di centrodestra, sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutti i governi Berlusconi, è sempre rimasto dietro le quinte. Ma il suo sarebbe un nome spendibile soprattutto per le larghe intese col Pd.
E se invece dovesse prevalere la Lega come prima forza della coalizione? Nel caso Salvini dovesse fare un passo indietro, i nomi di mediazione sono quelli dei due governatori, Roberto Maroni e Luca Zaia. Entrambi hanno detto di voler rimanere in Lombardia e in Veneto, forti del recente risultato dei referendum per l’autonomia. Ma è chiaro che se il quadro nazionale dovesse rimanere bloccato, tutte le carte tornerebbero in gioco. Maroni ha un filo diretto con Berlusconi, sa muoversi bene a Roma e ha coltivato una sua rete di rapporti internazionali, non avrebbe però l’aura della novità. Zaia sembra il profilo più giovane, piace alla stampa, ma gli sarebbe probabilmente difficile passare da alfiere del “prima i veneti” a leader nazionale (specie con la trattativa per l’autonomia ancora aperta).
In campagna elettorale tutti si guarderanno bene dal parlare di larghe intese, ipotesi che rischia di far perdere parecchi voti. Eppure, inutile negarlo, è questo uno degli scenari in campo. Forse il più probabile. E chi potrebbe essere il premier in grado di gestire una simile intesa? A sentire i bene informati, stavolta emerge il profilo di Carlo Calenda
Altro scenario. Se i tre poli dovessero sostanzialmente pareggiare, salirebbero alla ribalta altri nomi. In campagna elettorale tutti si guarderanno bene dal parlare di larghe intese, ipotesi che rischia di far perdere parecchi voti. Eppure, inutile negarlo, è questo uno degli scenari in campo. Forse il più probabile. E chi potrebbe essere il premier in grado di gestire una simile intesa? A sentire i bene informati, stavolta emerge il profilo di Carlo Calenda. Ministro dello sviluppo Economico, autorevole, apprezzato e grado di marcare sempre una certa autonomia da Renzi. Un ruolo che gli ha fatto guadagnare persino la stima del centrodestra: si racconta che lo stesso Cavaliere sarebbe ben disposto nei confronti di un governo a sua guida. Non stupisce che dalle parti di Forza Italia c’è chi ha sperato a lungo in una discesa in campo di Calenda, proprio nella coalizione berlusconiana.
Nel caso di vittoria del centrosinistra ecco spuntare altri profili. Le ambizioni di Renzi dipendono molto dalla composizione della sua coalizione, se ci sarà. Un’alleanza con piccole realtà, come i verdi e i socialisti, porterebbe l’ex premier dritto a Palazzo Chigi. Ma una vittoria frutto dell’intesa con la sinistra – compresi i bersaniani di Mdp – potrebbe aprire la strada a un altro premier, un nome in grado di rappresentare la difficile sintesi tra gli alleati di governo. Tante le ipotesi. Uno scenario porta ai padri nobili dell’area, i fondatori del Pd Walter Veltroni e Romano Prodi. Entrambi hanno però dichiarato di non essere disponibili. E poi c’è la schiera degli attuali ministri del Pd. Ognuno con il suo profilo, ognuno, forse, con le sue personali ambizioni. Alcuni nomi sono già venuti allo scoperto. C’è Dario Franceschini, che in questi mesi è riuscito a giocare più partite senza mai bruciarsi. C’è Marco Minniti, esponente dem e titolare dell’Interno, che per il suo piglio deciso non dispiace neppure a una parte del centrodestra. E poi Graziano Delrio. Già vicino a Renzi, tra i ministri più apprezzati, un passato da amministratore locale e un rapporto aperto con il Quirinale. Costituzione alla mano, la parola spetterà comunque al presidente Mattarella.