Del settimo comandamento non frega più un cappero a nessuno. A dire il vero. Neppure del sesto (contro adulterio e viziosa varietà di “atti impuri”) né del nono, consecutivo (“non desiderare la moglie altrui”), frega qualcosa a qualcuno. E neppure l’ottavo (non dire falsa testimonianza) è tenuto in grande considerazione. A dire il vero. Però il settimo, “non rubare”, è più interessante. Fate caso a come è stato raccontato – in tivù, sui giornali di carta e su quelli digitali – il furto dei gioielli a Palazzo Ducale, lo scintillante tesoro dello sceicco al-Thani.
Parentesi necessaria: la famiglia al-Thani, guidata da Tamim bin Hamad al-Thani, l’emiro del Qatar, ha compiuto studi aurei in Occidente (spesso in Gran Bretagna), è proprietaria – tramite la Qatar Investment – del Paris Saint Germain, con alberghi a Milano e in Sardegna e quote importanti in Harrods, Volkswagen, Walt Disney. Il sogno filosofico più prepotente degli al-Thani è stato quello di traslare Francesco Totti al Psg e ora vengono a esporre i gioielli di famiglia a Venezia, con inchini in appendice.
Beh, il furto è stato raccontato come una “bravata”. Il furto è stato narrato come un “bel gesto”, degno di ammirazione e di plauso, sciorinando l’immaginario “di genere”: da Caccia al ladro a Ocean’s Eleven, dalla Pantera Rosa a Bonnie e Clyde. Il furto “da film” è letto come un risarcimento alla nostra quotidiana frustrazione. In effetti, la nostra non è una vita “da film”, basta che tocchiamo la teca di vetro di un museo periferico che ostenta vecchie pietre e facciamo saltare allarme, arresto, tutto.
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Non vogliamo che nessun ladro invada la nostra proprietà privata, altrimenti gli spariamo una fucilata sul muso, ma se si tratta della proprietà altrui godiamo golosamente. Bella roba, l’uomo. Solo che – e qui potete stare certi – dietro all’audacia del “colpo” veneziano non c’è il viso macho di Clark Gable né la calzamaglia verde di Robin Hood