Il saluto aziendalese
Addio
Un antico e amorevole medico che frequentava casa nostra entrando soleva salutarci con un “Addio”.
A dire il vero l’etimo e il significato della parola ne giustificano l’uso: ti raccomando a Dio. Umano, appropriato e ben augurale. Ma l’abitudine di abbinarlo a un congedo lo faceva suonare strano a tutti noi, soprattutto a me, allora bambina.
“Ma come, appena arrivato e già te ne vai?” pensavamo. Per l’uomo che era, quell’addio era assai coerente, lui poteva dirlo. Solo lui poteva.
L’uso della lingua è anche questione di coerenza e di stile rispetto ai contesti. Ha regole ma anche modalità. Le prime prescrittive, le seconde discrezionali. Il nozionismo prima e la cultura poi guidano all’uso delle prime, l’intelligenza relazionale e il buon senso alle seconde.
Egregio, Pregiatissimo, Distinti saluti
Lo stesso uomo non avrebbe mai aperto o chiuso una lettera o un qualunque messaggio scritto – oggi email – con Egregio, Pregiatissimo, Cordialissimi saluti, Distinti saluti. Vuoti quanto inutili formalismi che del saluto non hanno nulla, né si confanno a uomini portatori di umanità.
Maldestre quanto vuote formule che evocano distacco, formalismo e finanche disinteresse.
Per non parlare dei titoli, a cui noi italiani, dobbiamo ammetterlo, siamo più attaccati dell’attinia al paguro bernardo. O viceversa.
Guai se nella lettera inviata al Comune non riconosci il titolo di Geometra al tecnico di paese! Ti toglierà il saluto, e per ripicca magari ritarderà l’approvazione di un permesso.
Diluvi universali si abbatteranno su di te se incautamente declasserai un Ingegnere ad Architetto: come noto, sotto le ceneri, per i primi gli architetti sono i paria dei Politecnici.
Per non parlare degli slalom tra Ragionieri e Dottori quando si ha a che fare con un commercialista.
Le maestre oggi sono tutte Dottoresse, peccato che tu sia stato a scuola quando ancora c’erano le magistrali e la maestra si chiamava Giovanna. Con il maestra davanti, beninteso, per rispetto, non per inerte formalismo.
Tormenti quotidiani e laceranti che ogni giorno ci affliggono quando apriamo una mail.
“Good morning John”
Ti senti quasi anarchico a scrivere “Buongiorno Marco o Maria”, sapendo che la mail verrà aperta da lì a poco da un illustre medico, un principe del foro o un presidente di una assicurazione.
Un reato di lesa maestà. Per scoprire poi che tua figlia scrive “Good morning John” al presidente della più grande società mineraria del mondo, il quale regge il colpo, non cade dalla sedia, non si sente stranamente attaccato nel suo ruolo, e chiude la sua corrispondenza con “Enjoy your holidays”. Ipocrita, non so, di certo non meno di un egregio, ma almeno più facile.
Un brivido percorre chi scrive nel pensare alla genialità fantozziana che quarant’anni fa aveva già colto e denunciato tutto questo. Quel Villaggio è ancora attuale, i riti aziendalesi, di cui la lingua è una delle icone, non mutano. Il mondo corre e cambia, ma noi siamo ancora Pregiatissimi.
Egregio Ragionier Filini, distinti saluti.