“Devo confessare una cosa, non conoscevo il tuo nome fino a lunedì”, a pronunciare queste parole è stato Stephen Colbert nel The late Show del 28 giugno scorso alla sua ospite. Oggi invece tutti sanno chi è Alexandria Ocasio-Cortez. Classe ’89, l’attivista ed educatrice ha visto crescere la sua fama in maniera comprensibile dopo aver vinto le primarie democratiche dello scorso 26 giugno nel quattordicesimo distretto di New York, con circa il 57% dei consensi contro il favorito Joseph Crowley, fermo al 42%. Nata nel Bronx da madre portoricana non era facile vincere, nonostante la metà della popolazione di origine ispanica. È stato sottolineato da molti che Crowley è un politico di vecchia data, che ha mandato addirittura un’altra persona al suo posto in un dibattito con la sua sfidante, dato con un distacco di trentasei punti percentuali da un sondaggio appena poche settimane prima del voto e che ha speso oltre 3 milioni di dollari per la sua campagna elettorale, contro i 300mila dollari della Ocasio-Cortez. L’immagine di Davide contro Golia però non è l’unica cornice narrativa utile a descrivere questa storia. La candidata democratica è una donna e quella femminile sta diventando una presenza cruciale per tracciare l’identikit dell’attivista politico vincente. Come ha scritto Michelle Goldberg sul New York Times: “in tutta la Nazione, le persone, in particolare le donne, stanno lavorando con un’energia quasi soprannaturale per ricostruire la democrazia da zero, trovando modi per esercitare il potere politico come possono. Per i sobborghi di mezza età che sono la spina dorsale della resistenza anti-Trump, ciò significa spesso rafforzare il Partito Democratico. Per i giovani che vedono l’elezione di Donald Trump come l’apoteosi di un sistema politico ed economico marcio, significa spesso cercare di rifare quel partito come veicolo per il socialismo democratico”. Non solo Ocasio-Cortez dunque, ma anche Elizabeth Fiedler, Summer Lee e Sara Innamorato che hanno vinto le primarie in Pennsylvania, per citare qualche nome. La sinistra in crisi è un refrain comune nelle democrazie occidentali e dunque chi vince è guardato con ammirazione e curiosità. Ocasio-Cortez non è solo una giovane donna che ha fatto delle proprie origini un elemento di identificazione vincente, è soprattutto un’attivista. Il suo gruppo politico di appartenenza è quello dei Democratic Socialists of America, che non è iscritto alla Commissione elettorale federale come partito politico. Si tratta infatti di un’organizzazione di militanti, molto ostile al capitalismo che mira a indebolire il potere delle multinazionali e ad accrescere quello dei lavoratori.
La sua vittoria ha confermato almeno due aspetti. Il primo è che l’intuizione centrale della campagna presidenziale di Sanders, secondo cui l’establishment democratico è debole quanto quello repubblicano, è ancora valida. La seconda conclusione da trarre dalla vittoria della non ancora ventinovenne candidata è che i democratici americani stanno includendo e non più escludendo i movimenti di protesta di sinistra, come Occupy, Black Lives Matter
“Alexandria Ocasio-Cortez ha appena fatto la storia”, si legge sul sito web di D.S.A pubblicato all’indomani della sua vittoria, che ricorda quali sono le sue battaglie politiche: abolizione dello United States Immigration and Customs Enforcement (ICE), Medicare for All, lezioni pubbliche e gratuite nei college e nelle università, in breve uguali diritti e pari libertà per tutti gli Americani. La sintesi della sua posizione politica è nella frase “in una società moderna, giusta e ricca, nessuna persona in America dovrebbe essere troppo povera per vivere” pronunciata a The Late Show with Stephen Colbert e ripresa non a caso dall’account Twitter gestito dallo staff di Bernie Sanders. Ocasio-Cortez infatti, non solo ha collaborato con la campagna per le primarie di Sanders, ma ha anche sostenuto molti punti del suo programma politico e, come ha sottolineato Benjamin Wallace-Wells sul New Yorker, la sua vittoria ha confermato almeno due aspetti. Il primo è che l’intuizione centrale della campagna presidenziale di Sanders, secondo cui l’establishment democratico è debole quanto quello repubblicano, è ancora valida. La seconda conclusione da trarre dalla vittoria della non ancora ventinovenne candidata è che i democratici americani stanno includendo e non più escludendo i movimenti di protesta di sinistra, come Occupy, Black Lives Matter e adesso anche il cosiddetto Sandersism. Solo il tempo ci dirà in che direzione andrà il Partito Democratico Usa e se questo modello sarà replicabile anche altrove, intanto tutti i riflettori sono puntati su Alexandria Ocasio-Cortez.