Il grillo parlanteVogliamo rilanciare l’Europa? Diamole pieni poteri per combattere il cambiamento climatico

L’unica Europa capace di resistere ai propri nemici interni e avversari esterni, deve fare meno cose e farle molto meglio. Partendo per esempio dall'ambiente e dalle idee di quei giovani che del progetto europeo sono stati per anni il migliore alleato e che adesso non ne sono più entusiasmati

Dare all’Unione Europa la delega totale a rappresentare gli Stati che decidessero di condividere, in maniera piena, le strategie di contrasto al cambiamento climatico. Potrebbe essere questa la proposta (di cui ho scritto sul Corriere della Sera martedì scorso) capace di scuotere una campagna elettorale narcolettica e nella quale latita, in maniera evidente, una qualsiasi idea forte su come cambiare un’Europa che, se lasciata all’inerzia, è destinata a svuotarsi. Delega e integrazione totale, dunque, e non parziale come su qualsiasi altra politica che l’Unione coordina.

Ciò significherebbe, non solo, che l’Unione sarebbe l’unica a sedersi alle prossime Conferenze tra le Parti (COP) che l’ONU tiene periodicamente per definire e aggiornare i trattati sul clima, laddove tale decisione darebbe forza all’Europa per chiedere anche agli altri Stati (ad esempio quelli africani, del Sud America, del Sud Est Asiatico o del Medio Oriente) di organizzare la propria rappresentanza per macroregioni in maniera da rendere il negoziato più efficiente. Ma significherebbe, anche, conferire all’Unione (eventualmente alla Commissione) di stabilire e far rispettare gli incentivi (e le punizioni) che servono a orientare i comportamenti di famiglie, città e imprese verso la riduzione delle emissioni.

Per riuscirci l’Europa dovrebbe, però rinunciare ad alcune delle promesse (troppe) che non riesce a mantenere e concentrare le proprie risorse su pochi obiettivi. Il problema dell’Europa è, infatti, che, oggi, il progetto politico più bello del Novecento è paralizzato dalla contrapposizione di due retoriche che finiscono con l’assomigliarsi: da una parte ci sono quelli che vogliono riprendersi il controllo di un destino che la globalizzazione ha sottratto agli Stati Nazione; dall’altra quelli che, invece, difendono lo status quo e l’Europa che abbiamo e hanno caricata di responsabilità che l’Unione non ha la forza – né finanziaria, né politica, né manageriale – di sopportare. Tutte e due le ideologie – quella dei sovranisti e quella di chi lo Stato Nazione vorrebbe ricostruirlo su scala continentale – sono superate da una rivoluzione tecnologica che sta riorganizzando informazione e potere con la velocità e l’intensità che fu solo dell’invenzione della stampa che portò alla fine delle monarchie assolute.

È evidente che l’unica Europa capace di resistere ai propri nemici interni e avversari esterni, deve fare meno cose e farle molto meglio

Immaginare un’Europa del futuro richiede, dunque, il pragmatismo rigoroso che si associa ad una visione. Ed in questo senso è evidente che l’unica Europa capace di resistere ai propri nemici interni e avversari esterni, deve fare meno cose e farle molto meglio. Concentrarsi sulle politiche che più ovviamente superano le possibilità dei singoli Stati e la capacità dei mercati di fabbricare soluzioni.

È per questo motivo che concentrare l’Unione Europea sul cambiamento climatico (e altre due o tre priorità) può essere una scommessa che si può vincere. Minori sono, infatti, sul clima, le resistenze al concetto di delega piena che gli Stati possono avere. Per il semplice motivo che le emissioni, ovviamente, attraversano i confini e che, con altrettanta evidenza, nessuno dei Paesi europei ha la scala per reagire da solo.

L’integrazione sul clima, inoltre, offre la possibilità – in caso di successo – di estendersi in maniera naturale alle altre politiche che alle politiche ambientali sono connesse: quelle energetiche perché alla sfida del riscaldamento è legata la grande opportunità di rovesciare i modelli di produzione e consumo di energia; e, persino, quelle di politica estera comune perché condividere determinati obiettivi, rende più facile trovare posizioni comuni nei confronti di Russia, Arabia e gli altri grandi fornitori di fonti energetiche dalle quali vogliamo allontanarci.

Fare dell’ambiente la bandiera di un’Unione Europea progressivamente nuova, significa, infine, ridare forza politica all’Europa

Tuttavia, l’Unione sul clima deve essere, anche, l’opportunità per sperimentare un metodo di integrazione diverso: che, sin dall’inizio, coinvolga i cittadini, in maniera che siano loro ad approvare il trasferimento di sovranità su quella specifica politica; che sia senza ambiguità e contraddizioni (come finora è successo per unione monetaria, libera circolazione e, persino, per il mercato comune); che preveda, persino, meccanismi di uscita se uno Stato decide che non gli va più bene che alcuni suoi poteri siano esercitati a livello comunitario o se un Paese si sottrae agli accordi. Ciò è fondamentale per chiudere una stagione di veti e ricatti incrociati che – su molti terreni, dalla tassazione ai flussi migratori – hanno ridotto l’Europa all’impotenza.

Fare dell’ambiente la bandiera di un’Unione Europea progressivamente nuova, significa, infine, ridare forza politica all’Europa proprio tra quei giovani che del progetto europeo sono stati, per anni, il migliore alleato e che, da qualche tempo, non ne sono entusiasmati.

Papa Francesco definì, il giorno stesso in cui i leader europei gli conferivano la massima onorificenza continentale, sterile; rimproverandola di aver tradito, persino, la sua capacità di costruire ideali nei quali riconoscersi. Ad un’Europa stanca l’entusiasmo può arrivare, proprio, dagli adolescenti, anche perché è solo a livello sovranazionale che la battaglia che molti quindicenni invocano, si può combattere con una ragionevole speranza di vittoria.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club