Pubblichiamo un estratto del capitolo di Gianni Silvestrini dal libro “Green Mobility” a cura di Andrea Poggio (Edizioni Ambiente).
Trasformazioni dirompenti nel mondo dell’auto
Nel maggio 2017 esce negli Stati Uniti un rapporto sull’evoluzione della mobilità nel prossimo decennio con un sottotitolo inequivocabile: The Disruption of Transportation and the Collapse of the Internal-Combustion Vehicle and Oil Industries (“La trasformazione radicale del sistema dei trasporti e il collasso delle industrie dell’auto e del petrolio”). Lo studio, elaborato con il contributo di Tony Seba, docente della Stanford University, approfondisce in modo analitico e dettagliato le dinamiche che potrebbero portare al declino delle case automobilistiche grazie alla potente sinergia di innovazioni radicali come la condivisione, la trazione elettrica e la guida autonoma. Per capirci, viene ipotizzata l’affermazione di un modello di “trasporto come servizio” gestito da società in grado di praticare prezzi talmente bassi da mettere fuori gioco le auto private. Una soluzione che comporterebbe un taglio del parco auto statunitense al 2030 da 247 a 44 milioni, con un parallelo forte calo del consumo di petrolio.
Passa qualche mese, e a novembre una rivista del settore pubblica un pezzo che inizia con un’affermazione molto netta: “Mi spiace dirlo, ma ci stiamo avvicinando alla fine dell’era dell’auto”. L’articolo continua presentando uno scenario analogo a quello descritto da Seba, con i veicoli a guida autonoma destinati a dominare le strade. In una prima fase questi verrebbero prodotti dalle industrie automobilistiche su specifiche dei proprietari delle flotte. Ma, alla lunga, il valore della mobilità cadrebbe nelle mani dei possessori delle flotte stesse, di società cioè come Uber e Lyfts. Alla luce di questa transizione, fra non molto gli americani dovrebbero iniziare a vendere o a rottamare le loro Ford o Fiat-Chrysler. Uno scenario da brividi, soprattutto se a pronunciare queste parole è Bob Lutz, un personaggio molto noto, già vicepresidente della General Motors. Non sappiamo se l’evoluzione sarà così rapida come quella preconizzata da Seba e Lutz, ma certo siamo entrati in una fase che obbliga a un rapido ripensamento di tutte le strategie.
Nel 2030 solo il 5% delle auto vendute nella Ue sarebbe ancora a combustione interna, a fronte di un 55% di auto elettriche e 45% di ibride
Un’analisi modellistica condotta da PriceWaterhouseCoopers delinea scenari meno esplosivi ma comunque in rapida evoluzione. Alla fine del prossimo decennio i nuovi servizi di mobilità elettrica condivisa potrebbero portare a una riduzione del parco circolante in Europa dagli attuali 280 a 200 milioni. Nel 2030 solo il 5% delle auto vendute nella Ue sarebbe ancora a combustione interna, a fronte di un 55% di auto elettriche e 45% di ibride. Secondo questo studio, inoltre, il 25% delle auto sarebbe a guida autonoma e garantirebbe il 40% degli spostamenti. Ci sono però anche scenari che non prevedono una riduzione della mobilità privata, malgrado la diffusione delle auto senza guidatore. Per esempio un rapporto di Goldman Sachs stima che nel 2030 ci saranno nel mondo 1,2 miliardi di auto contro gli attuali 1,1 miliardi, mentre le vendite annue salirebbero a 100 milioni contro gli attuali 87 milioni.
Insomma, se tutti ormai danno per certa la diffusione dei veicoli autonomi, le dinamiche future saranno determinate dalle scelte di governi, città, case automobilistiche, gruppi informatici e operatori. Parlando di operatori, per esempio, non è scontato che la gestione venga monopolizzata dai proprietari di flotte, come Uber, perché anche le aziende di trasporto pubblico punteranno ad avere un ruolo, per esempio utilizzando questi veicoli nelle aree a domanda limitata. Quello che è certo è che sullo sviluppo della guida autonoma si aprirà una battaglia di enormi dimensioni, che spazierà dai veicoli per passeggeri ai Tir per il trasporto delle merci, che saranno i primi a venire coinvolti a larga scala.
Diversi studi, soprattutto negli Stati Uniti, hanno cercato di quantificare le ricadute di una diffusione dei veicoli senza guidatore. Per esempio, Morgan Stanley ha valutato che negli Stati Uniti a regime si genererà un valore potenziale di 1.300 miliardi annui, pari all’8% del Pil. Nell’analizzare i risultati occorre però fare molta attenzione perché nelle ricerche spesso si sommano fattori che teoricamente hanno segno opposto. Per intenderci, la riduzione degli incidenti comporta una riduzione del Pil, mentre la predisposizione e l’impiego dei software necessari al funzionamento dei veicoli implicano un suo aumento.