Stabilimenti balneariIl governo fa danni anche alle spiagge (e l’Unione Europea ci bastona)

Oltre il 60% delle spiagge italiane è occupato da stabilimenti balneari: con la proroga di 15 anni alle concessioni, il governo ha fatto un bel regalo al comparto. Senza controlli, però, il rischio è di avere spiagge privatizzate: per questo l’Ue ha preso misure

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E alla fine giunse! L’ennesima apertura di procedura per infrazione da parte dell’Unione europea nei confronti dell’Italia. Non ci bastavano quelle, per citare le ultime, su qualità dell’aria, gestione dei rifiuti, situazione degli scarichi fognari. Ora l’Unione europea potrebbe decidere di multarci anche sulla mancata applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein (2006/123/CE) che prende il nome dell’ex commissario europeo per la Concorrenza, l’olandese Frits Bolkestein, e impone la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno dell’Unione. Entro maggio 2017 gli Stati membri avrebbero dovuto rimettere a bando le concessioni rilasciate negli anni dagli enti locali, dando la possibilità di aprire un’attività commerciale su area pubblica a tutti i cittadini europei, senza limite di nazionalità, in un qualunque Paese dell’area Ue.

Il nostro Paese ha osteggiato a lungo l’approvazione e in seguito l’applicazione della stessa e alcune categorie economiche hanno goduto della compiacenza dei governi italiani che di proroga in proroga hanno consentito che gli stabilimenti balneari italiani restassero fuori dall’applicazione della direttiva. Il cosiddetto Governo del Cambiamento da ultimo non ha cambiato proprio un bel niente ed ora l’Europa ha giustamente tratto le conseguenze: la Commissione ha scritto al Governo Italiano per annunciare l’avvio della procedura di infrazione per la proroga delle concessioni balneari di 15 anni inserita nella legge di bilancio di dicembre. Così l’Italia porta a casa l’ennesima costosissima grana dimostrando che se è vero che questa Europa va cambiata è vero anche che bisognerebbe iniziare a comportarsi da europei pensando al bene comune e rispettando (magari partecipando con competenza a scriverle) le direttive comunitarie, a partire da quelle in campo ambientale.

In Italia il numero delle concessioni balneari cresce a fronte di canoni a dir poco irrisori: oltre il 60% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari; 52.619 le concessioni demaniali marittime in continuo aumento e 19,2 milioni di metri quadri di lidi sottratti alla libera fruizione. Nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma di 15 miliardi di euro annui

Era stato, quello del Governo Conte, un bel regalo di Natale al comparto balneare, a cui entrambe le forze di Governo avevano fatto promesse in una campagna elettorale più simile al mercato delle vacche visti i risultati. Una scappatoia, l’ennesima proroga concessa dall’ennesimo Governo, che di certo non interviene per risolvere i problemi del settore. Nel frattempo in Italia il numero delle concessioni balneari cresce a fronte di canoni a dir poco irrisori: oltre il 60% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari; 52.619 le concessioni demaniali marittime in continuo aumento e 19,2 milioni di metri quadri di lidi sottratti alla libera fruizione. Nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma di 15 miliardi di euro annui. Si tratta di 6.106 euro a chilometro quadrato contro una media di entrate per le casse pubbliche di circa 4 mila euro all’anno a stabilimento.

Il rischio è che si continui in una corsa a occupare ogni metro delle spiagge italiane con stabilimenti che, in assenza di controlli come avvenuto fino ad oggi, di fatto rendono le coste italiane delle coste privatizzate quando invece le spiagge sono di tutti. Quello che serve è una riforma che dia davvero certezze a chi lavora in questo settore, che possa scommettere sulla qualità dell’offerta a partire dalla sostenibilità ambientale, dall’accesso ai disabili, dalla valorizzazione di cultura ed economia territoriale. Non è con le scappatoie che si risolvono i problemi aperti con la Direttiva Bolkestein. D’altronde la comunità europea lo ha chiarito nero su bianco: ‘Pur essendo vero che sia per le acque minerali che per le spiagge l’elemento alla base della concessione è un bene, ciò nondimeno l’oggetto della ‘concessione’, il prodotto finale dell’attività economica dei due concessionari è diverso. Il prodotto finale del concessionario della sorgente di acqua minerale è un bene, mentre il prodotto finale dell’attività economica del concessionario della spiaggia è un servizio.‘

Gli stabilimenti balneari offrono servizi, e non la mera gestione di un bene, per cui la Direttiva va applicata ma può essere gestita con intelligenza riconoscendo ad esempio a coloro che hanno investito in qualità e non hanno ancora ripagato le spese una corsia preferenziale nell’accesso alle aste che la direttiva impone. Bisognerebbe appunto governare e scegliere invece di rincorrere gli interessi particolari del proprio elettorale a discapito dell’interesse generale e del bene comune. Mi sembra di capire però che il cambiamento, al pari del paradiso, può tranquillamente attendere!

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