Minaccia chimicaSostanze chimiche non testate nei prodotti di consumo, centinaia di aziende infrangono la normativa Ue

Composti chimici potenzialmente pericolosi per la salute sono contenuti nei prodotti che usiamo tutti i giorni, dai cosmetici al cibo. Ma le autorità europee e nazionali non fanno abbastanza per impedirlo. La denuncia dello European Environmental Bureau

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Da L’Oréal a Henkel, da BP a Bayer. Ci sono tutti, i nomi dei grandi gruppi industriali colpevoli di aver infranto per anni la legge europea utilizzando milioni di tonnellate di sostanze chimiche per i loro prodotti senza effettuare i controlli di sicurezza necessari per la tutela della salute. È quanto emerge da un’analisi effettuata dal Bund, la più importante organizzazione no profit a livello ambientale in Germania, sulla base di una serie di documenti raccolti dal governo tedesco. Secondo alcuni, l’entità della violazione renderebbe il caso il “dieselgate dell’industria chimica”.

Secondo il comunicato diffuso dello European Environmental Bureau, il network di organizzazioni di cui il Bund fa parte, due terzi dei 700 componenti chimici utilizzati dalle aziende in quasi tutti i Paesi europei violerebbero infatti la normativa comunitaria REACH in ambito di sicurezza. E quel che è peggio è che la European Chemical Agency (Echa) sarebbe al corrente del problema già da novembre.

La rivelazione deriva dall’indagine condotta dal Bund sui documenti di sicurezza per componenti chimici dal governo tedesco a partire dal 2014, la quale ha concluso che 940 sostanze non avrebbero rispettato gli standard di sicurezza imposti dalla normativa europea. Si tratta di sostanze contenute per larga misura in prodotti industriali e di consumo, tra cui giocattoli e prodotti a contatto con il cibo. Tra questi, ad esempio, c’è il dibutilftalato, un plastificante utilizzato in pavimenti, mobili, giocattoli, materiali da costruzione, tende, calzature, cuoio, prodotti di carta e cartone e apparecchiature elettroniche; l’acetato di metile, usato in prodotti di rivestimento, adesivi e sigillanti, cosmetici e prodotti per la cura personale, prodotti per l’igiene e la pulizia; infine il tricloroetilene, utilizzato principalmente a livello industriale.

Tra i rischi per la salute legati al contatto con alcune di queste sostanze (anche se la conoscenza scientifica a riguardo è limitata) potrebbero rientrare malattie come il cancro, problemi riproduttivi, disordini metabolici come il diabete e l’obesità, e danni al neurosviluppo. I composti chimici più problematici sono presenti in larga parte nel cibo, nell’acqua, nei prodotti, nelle case e nei posti di lavoro, e sono stati rinvenuti anche nei luoghi più remoti del mondo. «Ciascuno di noi, oggi, nel proprio corpo ha più di 300 elementi industriali chimici che appena due generazioni fa non esistevano. Si parla addirittura di una forma di contaminazione alla nascita», riporta l’Eeb.

Considerando che in Europa si utilizzano ogni anno tra 12 e 121 milioni di tonnellate dei 41 componenti chimici individuati dalla ricerca, i potenziali rischi per la salute dei cittadini europei sono incalcolabili

Ad oggi, dei vincoli di riservatezza non consentono di sapere se l’interezza dei componenti chimici interessati dalla ricerca rimanga non conforme. Ma 41 dei dossier raccolti contengono dati invariati dal 2014 alla metà di aprile del 2019, quando il Bund ha concluso la propria ricerca. All’interno dei dossier, 654 aziende in tutti gli stati membri (eccetto Malta e Lettonia) vengono individuate come colpevoli di violare la legge nell’ambito di utilizzo delle sostanze chimiche. La Germania è il paese dove viene registrato il maggior numero di violazioni (169), seguita dal Regno Unito (80), i Paesi Bassi (68), Francia (56), Italia (49), Spagna (42) e Belgio (38).

Tra le aziende incriminate che fanno uso di questi composti chimici si trovano, come si diceva, colossi come ExxonMobil, Henkel, Bayer, Michelin, BP e L’Oréal. Ma la lista è lunga e spazia in tutti i settori, dall’industriale al farmaceutico e persino l’alimentare. Cinque su dieci delle principali aziende chimiche mondiali, comprese BASF, Dow Chemical, SABIC e Ineos, vengono citate dal Bund. Tra gli altri nomi si trovano aziende come 3M, Sigma-Aldrich, Solvay, Du Pont, Clariant, Thermo Fisher, Dow Chemical, Chemours, Endesa, DSM e Merck.

Considerando che in Europa si utilizzano ogni anno tra 12 e 121 milioni di tonnellate dei 41 componenti chimici individuati dalla ricerca, i potenziali rischi per la salute dei cittadini europei sono incalcolabili. L’agenzia del governo tedesco Bfr (Bundesinstitut fur Risikobewertung, l’istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi) si è però rifiutata di fare il nome delle 7000 aziende coinvolte, citando vincoli di riservatezza commerciale. Anche l’Echa si è astenuta dal pubblicare gli aggiornamenti relativi alle dichiarazioni di utilizzo da parte delle aziende.

Nel sistema europeo, la regolamentazione europea REACH impone alle aziende che utilizzano sostanze chimiche di effettuare test di controllo per la sicurezza, in particolare contro pericoli di “massima importanza per la salute umana e l’ambiente”, tra cui cancerogenicità, mutagenicità, persistenza, bioaccumulo, tossicità riproduttiva e dello sviluppo. Secondo la normativa, nel momento in cui un’azienda capofila sottopone la dichiarazione di utilizzo di una determinata sostanza (che comporta automaticamente l’obbligo di svolgere i test di controllo), l’azienda è da ritenersi responsabile in caso di non conformità nell’utilizzo. La ricerca del Bund, però, mostra come questa regola sia stata sistematicamente violata, e malgrado le innumerevoli richieste pervenute da Ong ed europarlamentari, l’Echa rifiuta di identificare chiaramente le aziende e i dossier delle sostanze non conformi.

Secondo il Bund, il problema potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Le limitazioni e i vincoli di riservatezza alla ricerca condotta dall’organizzazione non hanno concesso di approfondire la questione per intero, sebbene una revisione sull’arco di un decennio di oltre 2000 dossier su 700 sostanze abbia evidenziato come il 70% di queste presenti dati sulla sicurezza incompleti

Secondo il Bund, il problema potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Le limitazioni e i vincoli di riservatezza alla ricerca condotta dall’organizzazione non hanno concesso di approfondire la questione per intero, sebbene una revisione sull’arco di un decennio di oltre 2000 dossier su 700 sostanze abbia evidenziato come il 70% di queste presenti dati sulla sicurezza incompleti.

«Questo dovrebbe preoccupare gli investitori e le aziende tanto quanto i cittadini. L’Echa ha ignorato il problema per anni», dice Tatiana Santos, policy manager del settore chimico della Eeb. «Le fondamentali norme di sicurezza dei regolamenti chimici europei sono di fatto ignorate. Il Bund ha scoperto la punta dell’iceberg, ora tocca all’Echa dare conto del resto della storia. Abbiamo il diritto di sapere se i composti chimici sono sicuri o meno».

Difficile sapere come evolverà la situazione. L’industria chimica ha un valore di 500 miliardi di euro l’anno in Europa ed è controllata da alcune tra le persone più ricche e potenti del continente, come Jim Ratcliffe, l’uomo più facoltoso del Regno Unito, o Andrej Babiš, primo ministro della Repubblica Ceca (che è anche un imprenditore del settore). Ciò nonostante, il settore è reticente ai costi di registrazione e di sicurezza (di un costo di circa 80mila euro l’uno), malgrado la stessa Commissione europea abbia dichiarato che la normativa REACH consenta un risparmio in sanità di 50 miliardi e di altri 50 miliardi in costi ambientali.

A questo punto, le Ong della Eeb chiedono all’Echa di identificare chiaramente tutte le sostanze non conformi, di migliorare i propri controlli e di aggiornare il proprio database. Ai governi nazionali, invece, le organizzazioni chiedono di assicurarsi che la normativa europea venga applicata e di adottare provvedimenti e imporre sanzioni più severe nei confronti delle aziende che violano i principi di sicurezza.

«Le aziende chimiche hanno violato le leggi per anni senza subirne le conseguenze, vendendo sostanze che potrebbero causare tumori ormonali, disturbi cerebrali e altri gravi problemi di salute», conclude Manuel Fernandez, policy officer del settore chimico del Bund. «I consumatori sono all’oscuro di tutto ciò e non possono essere certi che i prodotti che usano quotidianamente siano sicuri o meno. Quel che sappiamo è che le autorità europee e nazionali devono fare di più, in gioco c’è la salute dei cittadini».

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