La crisi più pazza del mondoSalvini è in un vicolo cieco: e ora il governo Pd-Cinque Stelle è più vicino che mai

Cronaca di una giornata folle, in Senato: Salvini che prova a scoprire il bluff di Di Maio, Fico che sbugiarda il suo capo politico. Le mosse di Renzi, le trame di Mattarella. E un unico, grande, dubbio: Salvini ha davvero sbagliato tutto? O il suo obiettivo è sempre stato andare all’opposizione?

Dovevano fare la rivoluzione, Salvini e Di Maio, e invece sono ai bluff propagandistici, ai cavilli avvocatizi, ai machiavelli sui tempi, i modi e le forme con cui mettere la parola fine a un’avventura racchiusa tra la parentesi di due estati. La fine gialloverde ha la cifra della pochade, pazza come l’inizio, forse di più: dopo aver innescato la crisi di governo e mentre il Senato era riunito per calendarizzare l’udizione di Conte – fissata per il 20 agosto – Salvini ha tentato d’uscire dall’angolo rilanciando la patata bollente in mano a Di Maio.

E così a termine del suo discorso a Palazzo Madama gli offre una sponda sul taglio dei parlamentari: “Ci sto, votiamo il provvedimento, a patto però che poi andiamo subito al voto”. Una trovata estemporanea, teatrale, utile a sottrare all’ex alleato un’argomentazione di battaglia e a contendersi le prime pagine dei giornali di oggi con Renzi, l’altro mattatore della giornata nel proporre con forza un governo d’emergenza per evitare l’aumento Iva e tenere in ordine i conti. E però niente più di questo.

Lo scenario che plasticamente appariva ieri sul tabellone del Senato durante il voto per la calendarizzazione del discorso di Conte: una maggioranza giallo-rossa dalla quale potrebbe emergere un nuovo governo

La sortita di Salvini si rivela infatti prestissimo un bluff plateale: la conferenza dei capigruppo calendarizza al 22 agosto l’esame del provvedimento del taglio dei parlamentari, due giorni dopo l’informativa di Conte al Senato. Ma del taglio di deputati e senatori o della sua possibile votazione si potrà parlare eventualmente solo una volta risolta la crisi di governo, non prima. A riassumere bene il nonsense della mossa di Salvini è lo stesso Luigi Di Maio: “Se votano la sfiducia a Conte non possono tagliarli, se vogliono tagliarli non possono votare la sfiducia a Conte: Salvini è in un cul de sac”.

Ma calendarizzazioni a parte è l’intero caveat salviniano, con le sue implicazioni politiche e sistemiche, ad apparire irricevibile, non solo per Di Maio. Come farebbe il Quirinale infatti – ci si chiede in queste ore negli ambienti di Palazzo – ad avallare l’idea di Salvini, suggerita da Giulia Bongiorno, secondo cui si potrebbe andare al voto a ottobre per eleggere 945 parlamentari e poi far entrare in vigore la riduzione degli eletti a 600 tra 5 anni? Significherebbe che una legge costituzionale così impattante possa restare in sonno per un intero lustro. Mattarella ha già detto esplicitamente che non se ne parla. Se il Capitano vuole aprire uno scontro istituzionale col Quirinale non ha che da accomodarsi.

La linea dei prossimi eventi sembra insomma già segnata. Il 20 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà in Aula al Senato e prenderà atto della fine dell’attuale maggioranza, poi presumibilmente si presenterà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Dopo di che si aprirà – tra gli strepiti leghisti – lo scenario che plasticamente appariva ieri sul tabellone del Senato durante il voto per la calendarizzazione del discorso di Conte: una maggioranza giallo-rossa dalla quale potrebbe emergere un nuovo governo. Maggioranza che del resto ha già avuto la sua prima prova tecnica di intesa in Europa con il voto unitario ad Ursula von der Leyen per eleggerla a presidente della Commissione. Episodio che ha aperto la prima grande vera crepa ufficiale tra Lega e Cinque Stelle.

Certo, molto dipenderà anche dal Pd, dove non mancano resistenze e perplessità, ma già mercoledì prossimo in direzione nazionale potrebbe emergere una maggioranza favorevole a che si esplori un tentativo serio d’intesa con il Movimento Cinque Stelle così come preparato e prefigurato fin qui da Franceschini, Goffredo Bettini, Lorenzo Guerini e, negli ultimi giorni, agevolato da Matteo Renzi, anche con il suo pieno riconoscimento al ruolo di Zingaretti. Tutto questo mentre le diplomazie dem e pentastellata infittiscono i loro incontri in cui sono coinvolti anche parlamentari di Forza Italia molto interessati alla formazione di una “Coalizione Ursula” e ostili a ogni ipotesi di elezioni anticipate viste come un acquartieramento nel campo salviniano a sua volta vissuto come un’annessione

Nella Lega c’è chi in queste settimane parlava di una pressione crescente su Salvini: troppi fronti aperti, non solo in Italia – nella verticale di conflitto con l’Europa il ministro dell’Interno italiano è stato via via sempre più isolato

Intanto è partito anche l’immancabile toto-nomi sul futuro presidente del consiglio: si parla di un Conte bis, di Raffaele Cantone, anche di Mario Draghi, ma sono ipotesi premature. Quel che invece è certo è il vicolo cieco in cui si è infilato Matteo Salvini. Clamoroso. Tanto da indurre più d’uno a domandarsi come sia stato possibile per il leader leghista mettere insieme e in infilata un così alto numero di errori esiziali. Chiamare la crisi al buio, sapendo che esisteva in Parlamento un’altra maggioranza che si stava preparando all’ipotesi di un’intesa giallorossa da mesi, non settimane. L’allarme suscitato dalla frase minacciosa “Datemi pieni poteri”, che ha sollevato ancora di più il livello di allarme e armato la reazione parlamentare. L’assoluta incapacità di articolare una strategia di mediazione all’interno del governo con le figure di cucitura dell’alleanza e più “tecniche” – a partire sa Tria – e soprattutto con il Quirinale, con cui in questo anno ha interloquito, a malapena, solo Giorgetti.

Una serie di errori quasi incredibile. Tanto incredibile da apparire quasi voluto. O indotto.
Nella Lega c’è chi in queste settimane parlava di una pressione crescente su Salvini: troppi fronti aperti, non solo in Italia – nella verticale di conflitto con l’Europa il ministro dell’Interno italiano è stato via via sempre più isolato – ma soprattutto il venire meno di sponde di supporto e di copertura internazionali a occidente e a oriente dell’Europa, di cui il Russiagate è stato più un effetto che una causa. Insomma il Capitano si sarebbe convinto che la corda era arrivata al massimo della tensione e ha preferito gradualmente lasciarla, prendendo atto che la rivoluzione è rimandata a data da destinarsi. Nolente e volente allo stesso momento forse il primo a cui oggi serve un governo di legislatura con la Lega all’opposizione è proprio Salvini. E forse adesso è più chiaro il senso della profezia pronunciata qualche mese fa dal sempre laconico Giorgetti e che in un tono tra l’oracolare e il fatalista disse: “In estate pioverà la grandine, i più deboli cadranno e non servirà l’ombrello”. È chiaro di che parlava e a chi, e a cosa, si riferiva?

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