“We don’t need no education/ We don’t need no thought control/ No dark sarcasm in the classroom/ Teachers leave the kids alone/ Hey teacher live us kids alone”…
Sono 26 i brani di The Wall: quell’undicesimo album in studio dei Pink Floyd che apparve nei negozi di dischi del Regno Unito esattamente 40 anni fa. 30 novembre 1979. Copertina sagomata con mattoni bianchi, contornati di nero, e su scritti in stampatello nome della band e titolo dell’album. Una grafica semplicissima, per un lavoro destinato a diventare epocale. Con 17,7 milioni di copie vendute certificate e 30 milioni stimate, è stato infatti il secondo doppio album più venduto di tutti i tempi, dopo The White Album dei Beatles. Dopo The Dark Side of the Moon degli stessi Pink Floyd, è anche il secondo album più venduto del genere Progressive Rock, anche se in realtà le sue 26 tracce spaziano dal progressive pop alla disco music, passando per toni di intensa ballata e sonorità heavy. Disco più venduto negli Stati Uniti nel 1980, è 87esimo nella classifica dei 500 migliori album di Rolling Stone.
È in realtà un concept album che racconta una storia: già pensato per diventare un’opera rock, e in effetti tre anni dopo se ne farà un film per la regia di Alan Parker. Il 22 maggio 1982 presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Ma tre delle 26 tracce ripetevano la stessa musica e lo stesso titolo, sia pure con testi diversi. Another Brick in the Wall Part 1, traccia numero 3 del Disco 1; Another Brick in the Wall Part 2, traccia numero 5; Another Brick in the Wall Part 3, traccia numero 12. E fu la seconda delle tre a diventare il single simbolo dell’album, a sua volta successo strepitoso di vendite. In Inghilterra, già pubblicato il 16 novembre 1979, raggiunse il primo posto l’11 dicembre e vi rimase per cinque settimane, arrivando a un milione di copie già agli inizi di gennaio. Negli Usa il 45 giri arrivò nei negozi l’8 gennaio e fu primo in classifica per quattro settimane. Disco d’Oro il 24 marzo 1980, Disco di Platino il 25 settembre 2001.
Il basso di Roger Waters suonava con la quarta corda accordata in Re, invece che in Mi. Il famoso assolo finale alla chitarra di David Gilmour era stato realizzato in un’unica seduta, con una Les Paul. Ma l’idea della cadenza da Disco Music era stata di Bob Ezrin: tastierista e anche produttore, assieme a Waters e Gilmour. Infatti fu popolarissimo in discoteca. Ma c’era anche il coro di 23 ragazzi del Fourth Form Music Call della Islington Green School, che scelti dall’insegnante di musica Alun Renshaw e diretti da Noel Davis intonarono un testo di dura contestazione all’autoritarismo scolastico. Non a caso, spesso suonato in molte manifestazioni. “Noi non abbiamo bisogno di istruzione/ Noi non abbiamo bisogno di controllo sul pensiero/ Di sinistro sarcasmo in classe/ Insegnanti, lasciate stare i ragazzi/ Hei, maestro, lascia stare noi ragazzi”. Versi di chiara impostazione sessantottina: e non a caso il ’68 è l’anno in cui i Pink Floyd, nati nel 1965, stabiliscono la loro formazione storica.
In questo anniversario c’è però chi compara le speranze di allora con un mondo di oggi in cui invece i muri si moltiplicano
Il 1979, però, è l’anno in cui va al potere Margaret Thatcher, e nel 1982 il film esce all’epoca delle Falkland. La Swinging London floreale e psichedelica dei Beatles si spacca tra anarchismo punk e restaurazione, e in effetti i cultori dei Pink Floyd storici considerano The Wall come il vertice che porta però alla distruzione del gruppo. Imposto dispoticamente da Waters, il disco portò infatti a una rottura tra i musicisti già durante il tour successivo alla pubblicazione, e la querelle andò anche in tribunale. Waters dal 1985 finì fuori dal gruppo, che però non riuscì più a raggiungere quelle vette. I residui Pink Floyd si accontentarono di fare milioni suonando in concerto le glorie del passato.
Da solista, in compenso, Waters il 21 luglio 1990 eseguì le note di The Wall in un Live a Berlin che con altre rock star internazionali celebrava la caduta del Muro di Berlino. Una scena del film mostrava profetica gli scolari che dopo essere stati irreggimentati e perfino macinati da un truce tritacarne infine si ribellano e rompono un muro a martellate.
In questo anniversario c’è però chi compara le speranze di allora con un mondo di oggi in cui invece i muri si moltiplicano, al punto che Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti proprio sull’onda della promessa di realizzarne uno al confine col Messico. E il 17 aprile 1980 dall’album fu tratto anche un secondo singolo: Run Like Hell, corrispondente alla traccia 9 del secondo album. Nel video e nel film, assieme alla traccia precedente In the Flesh e alla seguente Waiting for the Worms, è rappresentato da un truce esercito di simil-nazisti che marciano in modo minaccioso e si scatenano in terribili violenze razziste. Anche questa se vogliamo è una profezia, ma di tipo ben diverso. Abbastanza inquietante, in un presente dove imperversa un sovranismo sempre più tentato dalla xenofobia.
Insomma, un album politico come pochi, in apparenza. Solo che in realtà in origine la politica c’entrava pochissimo. L’idea, infatti, era venuta a Waters nel luglio del 1977 durante un concerto allo Stadio Olimpico di Montréal, quando un gruppo di spettatori in prima fila lo avevano irritato con le loro urla, al punto che aveva sputato addosso a uno di loro. Dopo un litigio con il manager seguito da un infortunio al piede Waters era allora andato da uno psichiatra, confessandogli una sempre maggiore insofferenza per le esibizioni negli stadi e per il pubblico. Risultato, aveva deciso di esorcizzare i suoi fantasmi raccontando una storia che inizia appunto dalla perdita del padre: un soldato caduto quando lui aveva solo due anni durante lo sbarco di Anzio.
Ma in origine per Pink, alter ego di Walters, il muro non è in realtà quello della politica, bensì il suo isolamento personale in seguito a una serie di traumi
“Daddy’s flown across the ocean/ Leaving just a memory/ Snapshot in the family album”, sono appunto i versi di Another brick in the wall (Part I). “Daddy what else did you leave for me/ Daddy what d’ya leave behind for me/ All in all it was just a brick in the wall/ All in all it was all just bricks in the wall”. Nel film è cantata mentre il piccolo Pink, alter ego di Walters, gioca a far cadere un aereo giocattolo in chiesa, dietro alla madre che prega. “Papà ha attraversato l’oceano/ Lasciando solo un ricordo/ Un’istantanea nell’album di famiglia/ Papà, che altro mi hai lasciato?/ Papà, cos’altro hai lasciato per me?/ Dopo tutto era solo un mattone nel muro/ Dopo tutto erano solo mattoni nel muro”.
Già dall’epoca di The Wall, Waters si lancia in un percorso di impegno pacifista e radicale: sofferto e sincero, anche se a volte con esiti discutibili. Quest’anno, in particolare, inerpicandosi in una polemica contro Richard Branson e Peter Gabriel in quanto organizzatori di un concerto a favore dell’opposizione venezuelana, che lo ha segnalato come sostenitore per lo meno sprovveduto del regime di Maduro. Ma in origine per Pink il muro non è in realtà quello della politica, bensì il suo isolamento personale in seguito a una serie di traumi: dopo la morte del padre l’iperprotettività della madre, l’autoritarismo della scuola e il divorzio dalla moglie.
Interpretato adulto dal Bob Gedolf destinato poi a diventare famoso per i Live Aid, Pink dopo che i suoi produttori lo hanno salvato da una overdose solo per sbatterlo sul palco inizia addirittura a immaginarsi come un demagogico leader fascista. Come a dire: guardate a che può portare l’isterismo dei fan, se non si riesce a dominarlo! Per salvarsi deve sottoporsi a una sorta di processo, con tanto di accusa, giudice e testimoni a carico: il maestro, la moglie, la madre.
La sentenza sarà appunto quella di abbattere il muro. Esponendosi infine ai propri simili.