Siamo in una fase di rallentamento dell’economia globale, in particolare quella tedesca, che ha un forte impatto sull’Italia. Oltre che in una fase di incremento delle tensioni protezionistiche tra Stati Uniti e Cina, che ha effetti negativi per i Paesi Ue. Coerentemente con lo scenario globale, anche la situazione nazionale non vede segnali di ripresa. Abbiamo più di 170 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello sviluppo economico e il caos Ilva in corso, ma più in generale si percepisce la totale assenza di una politica industriale seria e lungimirante, capace di coniugare sostenibilità ambientale, competitività produttiva, in grado di garantire moderne tutele sociali per i lavoratori.
Eppure, il lavoro sembra non essere al centro della prossima legge di bilancio. Si modificano provvedimenti di ora in ora, senza avere una chiara linea politica da perseguire, senza una visione di medio periodo capace di intraprendere un percorso di crescita costante ed equilibrato.
L’ultimo provvedimento di modifica legislativa sul lavoro risale ormai a 12 mesi fa, con l’entrata in vigore il 1 novembre 2018 della legge 96/18, il cosiddetto decreto dignità. Norma che aveva l’obiettivo di penalizzare le forme contrattuali più tutelate, come somministrazione e lavoro a termine, senza colpire però gli ambiti dove si annida la vera precarietà: il lavoro intermittente; l’abuso dei tirocini extracurriculari che non hanno nessuna garanzia contributiva e contrattuale, ma solo la corresponsione di una indennità mensile assolutamente inadeguata se paragonata con l’impegno lavorativo profuso dai giovani tirocinanti; e il grande problema del finto lavoro autonomo, fatto di persone costrette ad aprire la partita Iva per svolgere in realtà una attività come dipendente ma senza le tutele del lavoro subordinato.
Il decreto dignità si pone l’obiettivo di penalizzare le forme contrattuali più tutelate, come somministrazione e lavoro a termine, senza colpire però gli ambiti dove si annida la vera precarietà
In questo scenario di forte miopia legislativa negli interventi sul tema del lavoro, dove si vogliono penalizzare gli strumenti di flessibilità tutelata e si lasciano indenni le tipologie più precarie, stiamo assistendo a un fenomeno molto particolare nel settore del lavoro temporaneo in somministrazione.
Un settore che, anche attraverso il rinnovo del contratto collettivo nazionale, sta riuscendo con enormi difficoltà a trasformare un problema in una opportunità. A fronte della “tagliola” normativa sui rapporti di lavoro al traguardo dei 12 mesi di anzianità, imposti dall’impossibile applicazione della causali previste per legge, le agenzie per il lavoro stanno assumendo a tempo indeterminato i lavoratori, riducendo fenomeni patologici di possibile turn over.
Gli assunti a tempo indeterminato dalle agenzie per il lavoro sono ormai più di 85mila su un settore che mediamente contrattualizza ogni mese poco più di 400.000 lavoratori. Il settore della somministrazione, del lavoro temporaneo, per reagire virtuosamente, con il supporto delle parti sociali, oggi è costituito per quasi il 25% da contratti a tempo indeterminato.
Oltre all’elemento statistico, questo esponenziale incremento del lavoro stabile nella somministrazione comporta un cambio culturale e contrattuale che dobbiamo necessariamente cogliere. Innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli che il ruolo delle agenzie per il lavoro, in particolare per gli assunti a tempo indeterminato, sarà sempre di più quello di reali datori di lavoro a tutti gli effetti, con una grande responsabilità legata alla ricollocazione della persona tra una occasione di lavoro e l’altra. Dove quindi assume maggiore centralità l’appartenenza del lavoratore alla agenzia più che alla singola impresa utilizzatrice, perché la garanzia di continuità lavorativa non è legata alla conservazione del singolo posto di lavoro, ma alla capacità di ricollocarsi velocemente nel mercato del lavoro.
Il ruolo delle agenzie per il lavoro sarà sempre di più quello di reali datori di lavoro a tutti gli effetti, con una grande responsabilità legata alla ricollocazione della persona tra una occasione di lavoro e l’altra
Allo stesso tempo però, anche nella somministrazione, viviamo le attuali contraddizioni del mercato del lavoro italiano. Mi riferisco per esempio all’incremento dei rapporti di lavoro parte time involontari, in particolare il part time verticale a tempo indeterminato, ovvero quelle attività riproposte ciclicamente nel corso dell’anno. Un anno fa venivano assunti a tempo determinato per poi beneficiare della Naspi al termine del contratto, con la relativa copertura economica e contributiva. Oggi invece, sempre in reazione del nuovo quadro normativo, pur avendo una maggiore garanzia di continuità lavorativa data dal tempo indeterminato, nelle fasi di non lavoro la persona è sprovvista di copertura contributiva ed economica.
La contrattazione di settore, storicamente orientata verso la tutela delle temporaneità, deve urgentemente esercitarsi nel governo puntuale di questo fenomeno procedendo alla correzione di eventuali distorsioni. Per esempio introducendo politiche attive e passive per i lavoratori con contratto part time verticale e perché no, magari iniziare a esercitare un proprio protagonismo contrattuale anche nella negoziazione del trattamento economico per gli assunti a tempo indeterminato dalla agenzie per il lavoro.
*Segretario nazionale Felsa Cisl