Vent’anni fa, il 12 febbraio del 2000 Charles Monroe “Sparky” Schulz morì di attacco cardiaco. A Santa Rosa, in California, all’età di 78 anni: era infatti nato a Minneapolis, nel Minnesota, il 26 novembre 1922. Dal 1947 faceva il fumettista, dopo essere stato soldato nella Seconda Guerra Mondiale, insegnante e predicatore laico della pentecostale Chiesa di Dio. E il 2 ottobre 1950 aveva creato il personaggio di Charlie Brown: il timido ragazzino biondo, in realtà uguale alle sue foto da piccolo, che lo avrebbe famoso in tutto il mondo. Comparso su oltre 2600 testate, tradotto in più di 20 lingue e pubblicato in oltre settanta nazioni, ha raggiunto 355 milioni di lettori. Già nel 1952 era uscita la prima raccolta, e già nel 1955 il 33enne Schulz aveva vinto il premio Reuben. Una sorta di Oscar dei fumetti.
I personaggi della serie sono stati inoltre protagonisti di una serie di cartoni animati, di due lungometraggi animati e di una commedia musicale nel 1967, oltre che una serie interminabile di tentativi di imitazione: l’unico dei quali all’altezza dell’originale è probabilmente l’argentina Mafalda, di Quino. Nel 1983 a Charlie Brown era stato pure dedicato un parco divertimenti sul modello di Disneyland. Esaltato da magazine e intellettuali, da Time a Umberto Eco, il mondo di Schulz dal 1965 si vede dedicare in Italia la rivista Linus, che appunto si presenta come una cosa per intellettuali. Ma malgrado il successo la serie avrebbe continuato a essere disegnata dal solo Schulz per quasi mezzo secolo. Senza nessun assistente neanche per il testo o la colorazione, fino a quel novembre del 1999, quando dopo una serie di piccoli ictus e l’occlusione di un’aorta gli fu trovato un cancro al colon ormai entrato in metastasi.
Un po’ per la chemioterapia, un po’ perché non riusciva più a vederci bene, il 14 dicembre del 1999 annunciò che smetteva di disegnare. Aveva però tenuta riservata un’ultima vignetta. Su sua richiesta, la morte fu comunicata dai giornali in quell’ultima striscia il giorno dopo la morte. Al cane Snoopy il compito di congedarsi dai lettori con poche parole battute sulla sua macchina da scrivere. “Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall’attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l’affetto espressi dai lettori della mia ‘striscia’ in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy… non potrò mai dimenticarli…”.
Peanuts erano stati battezzati: “noccioline”. Indicava nel teatro la sezione con i posti più economici e a volte anche un pubblico composto da bambini, e non era stata una definizione sua, ma una imposizione della United Feature Syndicate: la grande azienda statunitense di syndication di strisce a fumetti e colonne editoriali appartenente alla E.W. Scripps Company, che oltre a quella di Schultz ha distribuito oltre 150 strisce a fumetti e colonne editoriali in America e nel mondo. Il nome originale di Li’l Folks rischiava infatti di essere confuso con quello di altre strisce come Li’l Abner di Al Capp o Little Folks di Tack Knight.
Per ragione di comodità grafica la United Feature Syndicate gli aveva imposto anche di adottare un formato a quattro piccole vignette, disponibili a quadrato o in linea a secondo della necessità dei quotidiani. Una gabbia, ma che costrinse Schultz a specializzare ancora di più quel suo stile inconfondibile. Molti critici osservano infatti che lo spazio ridotto accentua l’alienazione di alcuni personaggi. Quel “noccioline”, però, a Schultz non lo convinse mai del tutto. «È un nome totalmente ridicolo, non ha significato, crea confusione e non ha dignità – e io credo che il mio umorismo abbia dignità», avrebbe detto infine in un’intervista nel 1987. Forse solo a quel punto si sentiva ormai abbastanza forte da potere non solo togliersi infine quel sassolino dalla scarpa, ma anche abbandonare la limitazione del suo schema tradizionale, iniziando ad utilizzare l’intera lunghezza della striscia.
Se lo poteva permettere, ormai. Di Charlie Brown e dei suoi piccoli amici in quel mezzo secolo erano uscite ben 21.000 tavole. Le stesse che continuano a essere pubblicate, rispettando la volontà del suo testamento di non aggiungere a quelle da lui realizzate nessuna sriscia nuova. Dopo l’annuncio di Snoopy, un necrologio apparve poi il 14 febbraio del 2000, giorno di San Valentino, sul quotidiano londinese The Times. “Charles Schulz lascia una moglie, due figli, tre figlie e un piccolo bambino dalla testa rotonda con uno straordinario cane”, era la conclusione.
Come ricordato, il bambino era in realtà il ritratto di sé stesso da piccolo. Ma non era quello il solo tratto autobiografico. A sua volta Schulz da piccolo aveva avuto un cane. A sua volta era stato un bambino timido e introverso, anche perché era figlio unico e si era trovato a essere il più piccolo della sua classe. A sua volta era stato innamorato di una ragazzina dai capelli rossi che non lo aveva corrisposto. Accanto a Charlie Brown c’è poi Linus, la cui insicurezza trova conforto solo in una coperta diventa proverbiale. Lucy: sorella di Linus e tirannica matriarca. Snoopy, appunto: il bracchetto che scrive romanzi, sogna di combattere contro il Barone Rosso e dice di possedere un Rembrandt. E poi il musicista Schroeder, il negretto Franklin, il sempre sporco Pig-Pen, la tenera Piperita Patty. Gli adulti non si vedono mai, ma quei bambini in perpetuo sospesi tra ricerca di identità e integrazione sociale, la relativa sconfitta e la conseguente nevrosi diventano metafora della condizione umana, e della sua fragilità.
Anche Schulz come Charlie Brown era poi figlio di un barbiere e di una casalinga. La madre, di origine norvegese, morì nel febbraio del 1943, per un cancro ai polmoni di cui non gli aveva detto niente fin quasi all’ultimo. Attaccatissimo a lei, il 21enne fu allora richiamato in guerra, come sergente della 20esima divisione corazzata. Comandante di una squadra di mitraglieri, fu mandato in Germania, la terra di dove era originario suo padre. Raccontò che avrebbe fatto in tempo a partecipare a una sola azione di guerra, in cui puntò la sua arma contro un soldato tedesco, ma quando sparò si accorse che aveva dimenticato di caricare. Prima che potesse farlo il nemico alzò le mani, e così il papà di Charlie Brown finì la guerra senza avere nessun morto sulla coscienza. Però grazie disegni realizzati per le lettere dei commilitoni poté in compenso rendersi conto che la sua passione per il disegno era un talento.
Forse un po’ per ringraziare il Padre Eterno di ciò, un po’ perché ancora scosso per la mamma, iniziò a frequentare chiese. La famiglia era luterana, ma appunto per un po’ andò con i pentecostali. Ma fece anche l’insegnante per una scuola metodista, e appunto sviluppando il talento per il disegno e una passione per i fumetti ereditata dai genitori iniziò a lavorare per quelli di un giornale cattolico, in cui scriveva le frasi, prima di passare al disegno vero e proprio. Abbiamo ricordato Umberto Eco. Copsì di Schulz parlò nella prefazione al volume Arriva Charlie Brown: “Non beve, non fuma, non bestemmia. Vive modestamente ed è ‘lay preacher’ (predicatore laico), in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita così sciaguratamente normale si chiama Charles Schulz”.
«Eh meu amigo Charlie/ Eh meu amigo Charlie Brown/ Charlie Brown» cantò nel 1975 a tempo di samba Benito di Paula, invitando il ragazzino a visitare il Brasile. «Ecco perché/ siam tutti qui davanti a te/ Charlie Brown», aveva già proclamato nel 1970 Lucio Dalla in una canzone dal titolo Fumetto, e in cui c’era peraltro anche un riferimento a Snoopy: «Stop, dove vai, cosa fai/ Se c’è il Barone Rosso che alle spalle colpirà”. Ma tutta a Snoopy vs. the Red Baron fu dedicata una canzone da The Royal Guardsmen tra le cui molte cover vi fu anche quella in italiano del 1967 di Giorgio Gaber: «Ogni speranza piano piano svanì/ Quando un giorno un eroe in cielo salì/ Era un piccolo cane col nasone all’insù/ Il suo nome era Snoopy non so dirvi di più/ Il Barone Rosso lo attaccò/ Ed in cielo la battaglia divampò/ Il piccolo Snoopy fu abbattuto così/ Il Barone tedesco roteando sparì».
Schulz è stato sepolto presso il cimitero di Pleasant Hills di Sebastopol, California. Nel 2002 a Santa Rosa gli è stato intitolato un museo.