La maggioranza vivacchiaLa semi crisi di governo e quel mezzo passo indietro che nessuno chiede ai grillini

Il processo di autodistruzione del Conte due e le liti adolescenziali nella maggioranza hanno raggiunto uno stadio avanzato, non solo sulla prescrizione. Anche per questo al Pd non è venuta in mente la soluzione razionale per far uscire tutti dall'angolo

Alberto PIZZOLI / AFP; Filippo MONTEFORTE / AFP; Leigh Vogel / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Il processo di autodistruzione del governo Conte ha raggiunto ormai uno stadio piuttosto avanzato. In compenso, il dibattito nella maggioranza appare sempre più statico, con Partito democratico e Movimento 5 stelle, da un lato, attestati sulla posizione «ha cominciato prima lui», e con Matteo Renzi, dall’altro, non meno irremovibile sulla linea «specchio-riflesso». Uno stallo che prosegue da giorni, a cui ieri si sono aggiunte però le dure parole del presidente del Consiglio. Parole, va detto, perfettamente intonate alla situazione, tanto sulla decisione dei ministri di Italia Viva di non presentarsi a Palazzo Chigi, definita «assenza ingiustificata», quanto, più in generale, su tutta la strategia del partito renziano, giudicato alla stregua di una forza di opposizione «aggressiva e anche un po’ maleducata».

In attesa che il Quirinale decida di suonare la campanella – ieri Giuseppe Conte e Sergio Mattarella si sono sentiti per telefono – non sembra più molto utile rifare l’intera cronistoria della diatriba per stabilire definitivamente quale dei quattro partiti della maggioranza abbia detto «chissene importa» e quale abbia risposto «bacia la porta», o chi abbia detto per primo agli altri che in un momento simile, con la crisi del coronavirus, l’industria ferma e il pil da rilanciare, è assurdo occuparsi di prescrizione. Fermo restando che, prima o dopo, lo hanno detto tutti, ognuno ovviamente dandone la colpa all’altro, e che hanno detto tutti una sciocchezza, come se i diritti dei cittadini importassero meno del pil.

Non mi sembra utile rifare una simile storia, un po’ perché ne ho già scritto qui e chi è interessato può andare a rileggersela, un po’ perché, se fosse ancora in circolo un barlume di razionalità nel valutare la situazione, sarebbe più sensato discutere non di come ci siamo entrati, ma di come uscirne.
In teoria, la soluzione più semplice sarebbe che il Pd — o persino lo stesso Conte — utilizzasse le proteste di Italia viva per strappare qualcosa di appena più decente, sul merito dei provvedimenti, dal Movimento Cinque Stelle. Perché sta lì il problema: di merito e di metodo. Per il merito delle proposte portate avanti o difese dai Cinque Stelle, eredità del tremendo governo gialloverde, e per il metodo seguito fin qui, in base al quale un partito elettoralmente in via di estinzione è riuscito a dettare il cento per cento dell’agenda di governo.

Basterebbe dunque ottenere che i Cinque Stelle facessero un passo indietro – dicasi uno, in cambio dei venti passi indietro fatti fin qui da tutti gli altri – per ottenere non solo un governo più stabile, ma anche provvedimenti migliori (sebbene questo aspetto, a giudicare dai commenti di questi giorni, sembrerebbe non interessare a nessuno). In prospettiva, ci guadagnerebbero tutti: il M5s eviterebbe la disfatta elettorale cui andrebbe incontro in caso di caduta del governo; Italia Viva e Leu potrebbero cantare ciascuna la sua mezza vittoria su questa o quella misura; il Pd potrebbe intestarsi forse anche una vittoria intera, tattica e strategica. Pur essendo la soluzione più razionale e conveniente per tutti, in ogni caso, c’è da scommettere che non sarà adottata neanche per un secondo.

Ormai è cominciata infatti un’altra partita, che segue un altro copione, secondo regole consolidate. Basta vedere le espressioni, gli aggettivi, le parole e le facce con cui ormai cronisti, analisti e conduttori televisivi intonano il coro contro le sordide manovre renziane, lo stesso con cui a suo tempo dipingevano le oscure trame dalemiane, gonfiando le vele del giovane rottamatore, con lo zelo con cui oggi gli tirano i pomodori.

La fragilità della politica italiana sta anzitutto nella facilità con cui il novantanove per cento dei suoi attori, osservatori e commentatori è capace di riorientarsi e colpire all’unisono, con la stessa violenta rozzezza: ieri contro gli ottusi burocrati della vecchia ditta «post-comunista», oggi contro i giovani arrampicatori senza principi del nuovo partito renziano, ma sempre tutti insieme, con le stesse frasi fatte e lo stesso antico gusto per la character assassination.

L’asse Pd-M5s-Leu gode oggi i favori di questo largo fronte, e ha deciso di servirsene, a freddo, per sbarazzarsi di Renzi una volta per tutte. Il leader di Italia Viva un po’ le prende un po’ cerca di restituirle, ma nella posizione in cui si è cacciato – anzitutto con l’errore capitale della scissione – vincere è praticamente impossibile. In compenso, può ancora far perdere tutti gli altri assieme a lui, e fintanto che questo rimane il gioco, è assai probabile che lo faccia. Non perché sia più cattivo o più spregiudicato di loro, ma perché i sottili strateghi della maggioranza lo hanno messo in un angolo, costringendolo a scegliere tra lasciarsi stritolare un po’ alla volta e far saltare tutto.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club