«Ce l’ho io la soluzione: questa squadra sbrindellata, invece che giocare a calcio deve giocare a calcetto. Semplice, tagliamo i giocatori, da 11 a 5, poi vedi come andremo alla grande».
La tesi proclamata al bar dall’allenatore di turno per migliorare il gioco della squadra che rischia di retrocedere è suggestiva, ma chiaramente sbagliata. Anche per chi, come me, capisce quasi nulla di calcio, verrebbe da chiedere: ma non è il come si gioca che deve cambiare? E non dovremmo forse selezionare meglio i giocatori?
Questa riforma costituzionale, che riforma non è, viene presentata da alcuni come la quadra che può disinnescare il populismo e l’antipolitica frutto di una democrazia rappresentativa lenta ed inefficace. «Ce l’ho io la soluzione – direbbe il guascone da bar – basta tagliare i parlamentari, vedi come andremo alla grande». Ma questo taglio di 115 senatori e 230 deputati risolverà le nostre problematiche istituzionali?
Al di là del risparmio, che sarebbe un caffè a testa all’anno in quel bar del guascone, è vero che questo taglio migliorerebbe l’attività legislativa? Saremo in grado di rispondere più velocemente alle esigenze del paese? Le leggi avranno una qualità migliore perché se si è «in troppi a cucinare, si rovina la zuppa» come dicono gli inglesi?
Mi dispiace ma questa soluzione è sballata e la squadra retrocederà. Le funzioni del Senato e Camera rimarranno le stesse. E dunque quel duplicare le loro funzioni, pressoché identiche, rimarrà. La navetta di leggi fra i due palazzi rimarrà. Ed i possibili veti incrociati, la procrastinazione tattica e i rallentamenti fisiologici rimarranno. Sul campo legislativo non si correrà più veloce, perché il gioco non cambierà. Cambiano i numeri ma non le istituzioni, cambia solo il “chi” (quantitativamente, non qualitativamente), ma non il “come” i rami del parlamento lavoreranno.
Però in meno ci si coordina meglio e la qualità del gioco sarà migliore (continuando il parallelo calcistico)? Ahimè, no.
I lavori parlamentari saranno lenti e, molto probabilmente, anche di qualità peggiore. Con la riduzione dei parlamentari nelle Commissioni, dove si preparano i provvedimenti per la discussione in aula, ci sarà un impegno maggiore per ogni singolo componente, con meno tempo per studiare, prepararsi e ragionare.
Si potrebbe ribattere: ai cittadini si dà un segnale forte di riformismo e li si avvicinerà alla politica. Ma è vero? Assolutamente no.
Con questa riduzione allontaniamo gli eletti dagli elettori. Oggi abbiamo alla Camera un eletto ogni 96 mila abitanti, nel Regno Unito uno ogni 114 mila e in Francia e Germania uno ogni 133 mila. Dopo la riforma avremo un deputato ogni 151 mila abitanti, l’Italia sarà il paese in Europa con meno parlamentari pro capite. Sarà più facile per gli eletti conoscere i territori, le comunità e le loro esigenze? Sarà più semplice per gli elettori parlare e dissentire con gli eletti? No. Questa squadra ridotta non sentirà più i commenti degli elettori e gli eventuali fischi di dissenso, perché si farà fatica a capire quando gioca in casa o in trasferta. Anzi. Sarà sempre in trasferta, chiusa dentro il Parlamento.
Questo taglio di parlamentari è una mezza riforma che risponde ad appetiti populisti e che assolutamente non sfama esigenze istituzionali, che pure esistono. È una riforma inefficace e lesiva. Questa mezza riforma non porterà meccanicamente ad altre riforme future, anzi. Coloro che oggi si dicono riformisti, domani potranno dire che si è già riformato e dunque, sfamate le brame populiste, non affronteranno veramente le riforme necessarie. È frutto di basse logiche elettorali e non della grammatica istituzionale. E dunque votare No e persuadere ad andare a votare e votare No, è un necessario impegno per poi iniziare la vera partita delle riforme costituzionali.