Palla al centroDialogando con Meloni, Calenda gira il coltello nella piaga di Forza Italia

Licia Ronzulli minimizza l’incontro tra la presidente del Consiglio e il leader del Terzo Polo, ma la sua reazione mostra il disagio di Silvio Berlusconi che vorrebbe essere più coinvolto nelle decisioni del governo

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L’incontro tra la presidente del Consiglio e Carlo Calenda si presta a diversi piani di lettura e sono gli stessi protagonisti a darli. Ognuno piegandoli alle proprie esigenze politiche. C’è il versante pericolante della sinistra stressata, sospettosa e di piazza di cui oggi parla Mario Lavia su Linkiesta e poi quello tutto interno alla maggioranza che sale fino alle stanze della presidenza del Consiglio. A proposito di stanze, già è significativo il luogo dell’incontro, la storica Sala Verde di Palazzo Chigi, quella, per intenderci, in cui il padrone di casa pro tempore incontra le parti sociali e i sindacati. 

Meloni per dare spessore all’incontro si è presentata alla delegazione del Terzo Polo in pompa magna, schierando il ministro e il suo vice all’Economia Giancarlo Giorgetti e Maurizio Leo, il responsabile dell’industria Adolfo Urso, i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano. Roba da far venire un attacco di bile agli alleati del centrodestra. Matteo Salvini zitto, leghisti silenti. Berluscones all’attacco non della Meloni ma di Calenda al quale, dice Giorgio Mulè, dovrebbero sì aprire una porta ma «quella d’uscita».

Forza Italia sente puzza di bruciato, teme la stampella del duo Calenda-Renzi, i quali vogliono fare un’opposizione responsabile e propositiva ma allo stesso tempo mettono zizzania nella maggioranza. E che zizzania sia lo dimostrano le parole di Licia Ronzulli, che non intende prendere lezioni da Calenda, «da chi ha perso le elezioni ed è destinato all’irrilevanza politico». Nessuna preoccupazione da parte della capogruppo: Forza Italia non verrà sostituita, ha più parlamentari del Terzo Polo, è il vero e unico centro. 

L’altro capogruppo, Alessandro Cattaneo, ricorda la brutta fatta da tutti coloro che hanno cercato di sostituire Silvio Berlusconi. Calenda si lecca le dita, ha toccato il nervo scoperto del Cavaliere, che vorrebbe essere più coinvolto nelle decisioni del governo e invece deve affidarsi ad Antonio Tajani, che fa comunella con la presidente del Consiglio e Giorgetti. Sembra di assistere di nuovo, con giochi a incastro diversi, alle divisioni dentro Forza Italia quando Mariastella Gelmini e Mara Carfagna non rispondevano agli ordini del Cavaliere. 

Calenda gira il coltello nella ferita dei berluscones e consiglia loro di aiutare a fare la manovra economica invece di sabotarla. «Non saremo la stampella del governo, non c’è stata alcuna richiesta di stampella e noi comunque non l’avremmo accettata», assicura ma elogia Meloni. L’ha trovata preparata, si è studiata le proposte degli oppositori: un’ora e mezza di discussione e aperture sul reddito di cittadinanza da trasformare in reddito di inclusione, sull’estensione di Industria 4.0, sull’aumento dei salari dei sanitari. 

Forza Italia è chiaramente in difficoltà, la reazione di Ronzulli, Cattaneo e Giorgio Mulè esprimono il sentimento del capo. Meloni ne è pienamente consapevole. Non è un caso se nell’intervista di ieri al Corriere della Sera ha precisato che stravolgere la manovra, insistere su certi emendamenti, significherebbe «delegittimare» il coordinatore nazionale di Forza Italia che l’ha approvata nel Consiglio dei ministri. Un discorso che vale anche per la Lega. 

L’incontro nella Sala Verde con ministri importanti ha però dato molto credito a Calenda. Un segnale ai malintenzionati della maggioranza. Ma fonti di Palazzo Chigi minimizzano, spiegano che non c’è alcun segnale politico, nessun avvertimento.Dicono che uguale trattamento sarebbe stato riservato al Partito democratico se Enrico Letta avesse chiesto di confrontarsi sulle misure economiche contenute nella Legge di Bilancio. 

È un dovere della presidente del Consiglio ascoltare l’opposizione, sottolineano le stesse fonti, come ha fatto Mario Draghi quando ha ricevuto l’oppositrice Meloni, senza per questo allargare la maggioranza. La Sala Verde è stata messa a disposizione perché non c’è n’era un’altra libera a Palazzo Chigi, dove ci sono lavori in corso. Anche la presenza di tanti esponenti del governo aveva una logica: sono i ministri competenti.

Meloni minimizza, ridimensiona. Quanti all’irritazione di Forza Italia, rientra nella dinamica della dialettica politica rispetto alla quale lei sostiene di non volere entrare. Invece c’entra, eccome, quando fa sapere di avere apprezzato l’approccio serio e nel merito di Calenda: «Fossero tutti così nell’opposizione», avrebbe detto al termine dell’incontro mentre tornava nella sua stanza di Palazzo Chigi.

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