Parlando delle vittime della invasione russa in Ucraina è comune fermarsi ai soli freddi numeri, ma non dobbiamo dimenticare che dietro ogni statistica c’è un essere umano. Le persone che hanno perso la loro vita in questa sciagurata guerra erano individui con una vita, affetti e famiglia. Come Ivan, morto a trentasette anni sul fronte ucraino, vicino a Bakhmut.
Raccontare questa storia per me è molto difficile: conosco da oltre un anno Artem, il fratello di Ivan, che nella comunità ucraina di Milano è una delle persone più attive e sempre presente alle quotidiane manifestazioni in Piazza del Duomo. Ho avuto l’occasione di conoscere personalmente i suoi genitori il 24 febbraio 2023 quando sono venuti in visita in Italia e li ho incontrati una seconda volta quando sono andato con Victoria Lapa in Ucraina. In quella occasione ho passato parecchio tempo con loro; mi hanno accompagnato a Moshcun e a Borodyanca i luoghi che furono teatro di durissimi scontri tra l’esercito russo e l’eroica resistenza ucraina che, con un costo altissimo in termini di vite umane, ha difeso strenuamente Kyjiv con successo.
Sono stato con loro al cimitero militare di Kyjiv per portare dei fiori sulla tomba del figlio Ivan. La sua si trova tra centinaia di altre tombe di ragazzi come Ivan uccisi giovanissimi. Ho sentito il loro dolore dei genitori e allo stesso tempo ho apprezzato la loro forza e dignità. Qualità simbolo di un popolo indomito che non si arrenderà mai, pur pagando un prezzo altissimo.
Ricordo in particolare un bellissimo pomeriggio a Kyjiv passato in compagnia di Volodymyr, il padre di Ivan e di Artem, che mi ha accompagnato a visitare alcuni luoghi della città, tra cui alcuni musei. Eravamo solo noi due e nonostante lui non parlasse inglese, né io ucraino ci siamo capiti benissimo e in alcuni momenti, specialmente durante la visita al museo militare della capitale, mi è sembrato di essere in compagnia di mio padre che da storico militare più volte mi ha portato a visitare musei simili a quello di Kyjiv, quando ero un bambino.
La famiglia di Ivan
Il papà di Artem è nato in Russia e mi ha confessato di avere un passato comunista (come tanti ai tempi dell’URSS) finito il giorno in cui il suo amico ebreo gli diede da leggere un libro di Aleksandr Solženicyn e lui scoprì gli orrori commessi da Stalin. Nella sua vita ha fatto molti lavori diversi, tutti nel campo tecnico e informatico, come ricercatore per l’Istituto Statale di Ricerca sui Sistemi Automatizzati per le Costruzioni. Tra le varie attività ha anche lavorato in un laboratorio fotografico industriale e ancora oggi ricorda bene tutti i procedimenti di sviluppo che ormai appartengono a un’altra era della quale anche io ho fatto parte.
Oggi nel tempo libero costruisce torce con la paraffina che servono ai soldati nelle trincee sia per farsi luce sia per avere un po’ di calore. E nei gelidi inverni in terra d’Ucraina diventano vitali. Nel nostro primo incontro me ne ha regalata una che conservo gelosamente.
Volodymyr è anche appassionato di fotografia e ha una nutrita collezione di fotocamere costruite in Unione sovietica. Una di queste è oggi sulla mia libreria e occupa un posto speciale nella mia collezione.
Il papà di Artem aveva due fratelli, uno è mancato qualche anno fa e l’altro vive e lavora a Mosca in una posizione manageriale di rilievo. Un esempio di famiglie divise nelle quali non è semplice mantenere rapporti. La mamma di Artem è stata insegnate di letteratura, è laureata all’università di Kyjiv ed è stata anche insegnate del figlio Ivan. Adesso lavora nel museo storico della capitale.
La storia di Ivan
Da ragazzo Ivan aveva creato un gruppo musicale con alcuni amici, facendo concerti in giro per tutta l’Ucraina. Aveva trasformato la sua passione in lavoro. Tecnico audio, ha sempre lavorato nel campo della musica e dello spettacolo, lavorando sia per produzioni musicali in studio sia per produzioni televisive. Era anche un talent scout per trasmissioni televisive dedicate ai nuovi talenti musicali.
Nel 2015 è stato chiamato alle armi per difendere il Donbas invaso dai russi. A causa della sua esperienza lavorativa, l’esercito ucraino lo aveva formato per operare nelle comunicazioni. In realtà si è occupato di primo soccorso. Una esperienza che gli ha causato problemi di salute derivati dallo stress post-traumatico e problemi fisici causati dalla vicinanza alle esplosioni.
Dopo aver sentito la prima forte esplosione Il 24 febbraio 2022, Ivan ha immediatamente capito che era iniziata la guerra. Il suo primo gesto è stato istintivamente proteggere i vetri delle finestre con del nastro adesivo per evitare che le schegge potessero fare danni (di finestre protette in questo modo ne ho viste e fotografate molte nei miei viaggi in Ucraina e mi hanno riportato alla mente i racconti di mio padre). Senza pensarci due volte, Ivan, si è recato la mattina seguente all’ufficio di arruolamento, nonostante la sua difficile esperienza precedente. Lo ha accompagnato il padre,
La morte di Ivan
Il 26 novembre 2022, dopo una giornata di combattimenti, Ivan si trovava in cammino tra la trincea in primissima linea e la retrovia, cercando di raggiungere con i suoi due compagni, il luogo predisposto per rifocillarsi e lavarsi. Nel tragitto si sono imbattuti in un manipolo di russi e hanno cercato di tendere loro un’imboscata, riuscendo a farne prigioniero uno. Proprio mentre Ivan stava disarmando il prigioniero da dietro è arrivata una granata che prendendolo in pieno lo ha ucciso sul colpo, ferendo gravemente i suoi compagni.
Quando ero in Ucraina, i genitori di Ivan mi hanno portato nel luogo dove hanno incontrato loro figlio per l’ultima volta e in quel luogo ho scattato una fotografia proprio nel punto esatto dove avevano scattato l’ultima fotografia insieme a lui. Sono convinto che le due immagini accostate raccontino visivamente un’assenza e l’enorme vuoto che questa assenza ha lasciato nei loro cuori, meglio di qualunque commento o parola che per altro io non saprei dire.