Troppo problematico candidare Ilaria Salis. E se non fosse eletta? Verrebbe consegnata all’Ungheria vita natural durante: è il rischio paventato dal padre, Roberto Salis, che ieri ha visto Elly Schlein in un incontro riservato che ha posto fine alla ennesima novela in casa dem sulle liste. Meglio così. Innanzi tutto per la donna detenuta a Budapest. Ma è anche una miccia che si spegne al Nazareno, dove però l’operazione politica generale della leader resta abbastanza incredibile: la Elly’s list più che al Pd assomiglierà a lei. A sua immagine. Legittimo. Però sarà la prefigurazione del post-Pd, un partito-movimento, una carovana antifascista, arcobaleno e antinuclearista. Qualcosa che non ha precedenti, che in qualche modo romperebbe con la natura di fondo del partito.
Non è vero, come sanno tutti quelli che hanno un minimo di esperienza, che essere capolista o numero due sia uguale a essere il numero quattro o il numero cinque: chi è davanti esprime il volto del partito, chi sta dietro arranca. Oggi tocca alle donne riformiste, domani capiterà a chiunque sarà fuori dal perimetro ideologico della giovane leader. Non è nemmeno rottamazione, che poi alla fin fine si risolse in un regolamento di conti con Massimo D’Alema e qualche altro. No, qui viene in discussione un certo modo di fare politica che al partito sostituisce la notorietà aumentata di un tocco di estremismo.
E dunque niente Ilaria Salis, il cui nome tuttavia per diverse ore è finito in un tritacarne del tutto incongruo, una lista di partito, quando questo semmai è un affare di Stato. Un errore blu che speriamo non abbia effetti negativi sulla situazione di Salis. Poi ieri è uscita la notizia di una candidatura di Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica da tempo sotto scorta per le ripetute minacce dei fascisti, dato che lui si occupa proprio dei “neri” di tutta Italia. In che posizione dovrebbe essere non si sa. Ma potrebbe figurare come numero due nel Nord Ovest dietro Cecilia Strada, una che non ha mai fatto mistero di detestare il Pd. E nemmeno Marco Tarquinio (in bilico) o Lucia Annunziata, capolista al Sud, sono proprio legatissimi alla politica del Nazareno, soprattutto l’ex direttore di Avvenire che è contemporaneamente contrario al sostegno armato all’Ucraina e ai nuovi diritti.
Nel Nord est, dietro il capolista Stefano Bonaccini, che ha chiesto e ottenuto il primo posto, c’è Annalisa Corrado, della segreteria nazionale, che ha posizioni ostili al nucleare e ai termovalorizzatori: e si candida nella terra più tecnologicamente avanzata del Paese. A seguire Alessandro Zan che sui diritti ha posizioni che mezzo Pd non condivide.
Insomma, una specie di grande Sel ma più movimentista, un patchwork da partito di sinistra radicale appena corretto dai poveri riformisti, e non solo (tempi duri per i centristi non schleiniani Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Matteo Ricci), tutta gente genuinamente dem comprensibilmente preoccupata di non farcela proprio a causa dei «famosi» (copyright Pina Picierno, una riformista che rischia come Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Irene Tinagli) che la segretaria vuole per forza nella Elly’s list. Il tutto dovrà essere approvato dalla Direzione tra due settimane: vedremo se qualcuno si alzerà a parlare contro. In ogni caso, la battaglia per le preferenze sarà una guerra termonucleare. Alla fine, in ogni caso, il Pd non sarà più lo stesso.