Camillo di Christian RoccaSiamo sicuri che Saddam non avesse alcun legame con Al Qaida?

Siamo sicuri che Saddam non avesse alcun legame con al Qaida? No, non siamo sicuri, specie ora che è uscito un documentatissimo, e non smentito, libro di Stephen F. Hayes che si intitola "The Connection" (HarperCollins, 224 pagine, 19,95 dollari). Occorre fare un passo indietro e affrontare la prima e più comune obiezione all’ipotesi di legami tra Saddam e Osama. Si dice, infatti, che il regime iracheno fosse laico, mentre al Qaida è un’organizzazione religiosa. Acerrimi nemici, in teoria. Si omette, però, di ricordare la sterzata islamica che Saddam diede al suo regime dopo la prima guerra del Golfo del 1991, sterzata culminata anche emblematicamente con la decisione di aggiungere la scritta "Allah Akbar", "Dio è grande", al centro della bandiera nazionale.
Saddam mutò radicalmente la natura del regime iracheno, riconoscendo che l’ideologia panaraba elaborata dal dittatore egiziano Gamal Nasser e alla base del partito Baath, si era esaurita con la sconfitta del Golfo, complice lo schieramento di quasi tutti i leader arabi al fianco del Kuwait invaso da Saddam e difeso dagli americani. Saddam operò, insieme con il leader estremista sudanese, Hassan al Turabi, già cortese ospite di Osama, e con le più fondamentaliste tra le organizzazioni politiche del mondo arabo, da Hamas a Hezbollah, una frattura dentro il mondo islamico: da una parte i cosiddetti regimi arabi moderati che avevano chiesto l’aiuto occidentale per difendere il Kuwait, dall’altra i gruppi fondamentalisti indignati dalla presenza di truppe occidentali sui suoli sacri dell’Islam. Una tesi spiegata nei libri dal più grande esperto europeo di cose islamiche, nonché editorialista di Repubblica, Gilles Kepel. E’ su questa base che Osama invita al jihad non soltanto contro gli infedeli americani che occupano i luoghi sacri, ma anche contro i regimi arabo-islamici colpevoli di apostasia, un crimine che per i fondamentalisti è ben più grave dell’essere infedeli.
La più famosa delle fatwa di Osama, quella del 23 febbraio 1998, parla di "continua aggressione contro il popolo iracheno" e di "alleanza tra crociati e sionisti che ha inflitto una grande devastazione al popolo iracheno, uccidendone una grande quantità, più di un milione". Per questo, disse bin Laden, è un "dovere islamico" colpire "il Satana americano e i suoi alleati, cosicché imparino la lezione". Osama difese Saddam, il quale, fiutata l’aria, si mise alle spalle il tradizionale nazionalismo panarabo e si candidò al ruolo di difensore dell’Islam. La sua retorica iniziò a traboccare di riferimenti all’Islam, al Califfato di Baghdad.
Saddam, del resto, difese Osama. E fu uno dei pochi, forse l’unico, capo di Stato arabo che salutò con gioia l’attacco all’America. I giornali controllati da Saddam applaudivano Osama come "un fenomeno salutare per lo spirito arabo" oppure "un eroe arabo e islamico", mentre il 21 luglio 2001, un mese e mezzo prima dell’11 settembre, Osama veniva raccontato con queste parole: "Nel cuore di quest’uomo troverai un’insistenza, una particolare determinazione che un giorno lo porterà a bombardare la Casa Bianca e qualsiasi cosa ci sia dentro". Nel 1998 il Dipartimento della Giustizia dell’Amministrazione Clinton mise sotto inchiesta bin Laden anche con queste parole: "Al Qaida ha raggiunto un accordo con l’Iraq per non lavorare contro quel governo, mentre su progetti particolari, che specificatamente includono lo sviluppo di armi, al Qaida lavorerà in modo cooperativo con il governo dell’Iraq".
Saddam e Osama, insomma, condividevano lo stesso, identico, progetto politico: conquistare il mondo arabo musulmano, colpire gli americani, distruggere Israele. E, infatti, una buona parte dei guerriglieri di al Qaida, cacciati dal’Afghanistan talebano, si è rifugiata oltre che in Pakistan e in Iran in un’enclave del Kurdistan iracheno sostenuta da Saddam. Il capo di quel gruppo, Ansar al Islam, cioè il giordano Abu al Zarqawi, è l’attuale leader della guerriglia islamista in Iraq e ci sono ampi sospetti che le sue ferite sul campo afghano siano state curate a Baghdad. Nella capitale irachena risiedeva anche il terrorista dell’Achille Lauro, Abu Nidal. Saddam finanziava con 25 mila dollari le famiglie di assassini-kamikaze di Hamas.
Del resto, spiega Hayes nel suo libro, che non sia affatto un mito il collegametto tra al Qaida e Saddam lo testimoniano centinaia di inchieste pubblicate dai grandi giornali liberal negli anni Novanta. Esempi: Newsweek, 11 gennaio 1999, titolo "Saddam + Bin Laden?": "Saddam Hussein, che ha lunghi precedenti di sostegno al terrorismo, sta cercando di ricostruire la sua rete estera di intelligence che gli consentirà di stabilire un network terroristico. Fonti americane dicono che sta cercando di estendersi ai terroristi islamici, inclusi alcuni che potrebbero essere legati a Osama". Washington Post, febbraio 1999: "Il presidente iracheno ha offerto asilo a bin Laden, che sostiene apertamente l’Iraq contro le potenze occidentali". Quando, nell’agosto del 1998, l’Amministrazione Clinton bombardò i campi di addestramento di Osama in Afghanistan e la fabbrica chimica in Sudan, il Dipartimento di Stato, nelle persone del sottosegretario Thomas Pickering e di altri sei funzionari, disse che i servizi monitoravano quella fabbrica di medicine sospettata di sviluppare armi chimiche per Osama "da almeno due anni" e che, tra le altre cose, quella fabbrica provava "in modo abbastanza chiaro i contatti tra Sudan e Iraq". Richard Clarke, l’ex capo dell’antiterrorismo che oggi dopo essere stato messo da parte da George Bush dice che non c’è mai stato un collegamento tra Saddam e Osama, allora fu il suggeritore del bombardamento della fabbrica e al Washington Post disse di essere "sicuro" che l’Iraq stesse dietro la produzione delle armi chimiche, che peraltro non si trovarono, nella fabbrica sudanese di Osama.
Gli esempi sono infiniti. Alla Commissione parlamentare che indaga sull’11 settembre ha destato grande scandalo scoprire che un rapporto sul terrorismo datato 1999 avesse previsto l’11 settembre, cioè che al Qaida avrebbe potuto attaccare Washington con aerei guidati da kamikaze da far schiantare sul Pentagono e sulla Casa Bianca. Com’è possibile, ci si è chiesto, che due diverse Amministrazioni non si aspettassero quello che i rapporti di intelligence immaginavano già? Eppure, nella stessa pagina 7 del rapporto, si legge: "Se Saddam Hussein decidesse di colpire con un attacco terroristico il territorio degli Stati Uniti si rivolgerebbe alla al Qaida di bin Laden". Tra l’altro al primo attentato alle Torri Gemelle, nel 1993, partecipò un iracheno, Abdul Rahman Yasin, il quale sfuggì alla giustizia americana, che lo condannò, e si rifugiò a Baghdad. Saddam, ovviamente, rifiutò l’estradizione.
A Baghdad, dopo la guerra, è stato trovato un documento che prova un incontro della primavera del 1992, in Siria, tra Osama e uomini dei servizi iracheni. In un altro dossier si parla di un incontro tra Osama, i servizi iracheni e rappresentanti dei talebani. Prima della guerra si è parlato molto di un incontro a Praga, nell’aprile del 2001, tra uno dei capi dei Servizi di Saddam e un non identificato "studente arabo di Amburgo". Le prove che fosse Mohammed Atta non ci sono, ma gli indizi sembrano andare in questa direzione, specie per i due documentati viaggi precedenti di Atta a Praga e per la sua sparizione dagli Stati Uniti, preceduta da un prelievo di 8 mila dollari in banca, proprio nei giorni del presunto incontro praghese. Ma queste sono solo supposizioni, per quanto rilanciate lunedì da Andrew McCharty, il procuratore che nel 1995 guidò l’inchiesta contro Sheik Omar, l’assassino del giornalista americano Daniel Pearl.
La grande scoperta di Hayes, confermata da una recente inchiesta del Wall Street Journal, è la seguente: in una lista di funzionari iracheni e in tre diversi documenti dei Fedayn di Saddam, scovati nei ministeri della Baghdad liberata, è comparso il nome di Ahmed Hikmat Shakir. Un iracheno con quello stesso nome era presente al meeting che si è tenuto tra il 5 e l’8 gennaio 2000 a Kuala Lumpur, in Malesia, nel quale si decise l’azione terroristica contro l’America di quasi due anni dopo. A quella riunione parteciparono anche tre dei membri del commando che si schiantò sul Pentagono. Shakir fu arrestato sei giorni dopo l’11 settembre a Doha, in Qatar. Interrogato dai servizi giordani e dalla Cia, non collaborò, ma i giordani si convinsero che, se lo avessero rilasciato, Shakir sarebbe diventato un loro informatore. La Cia acconsentì. Il 21 ottobre, via Amman, Shakir è partito per Baghdad e da allora non si hanno più sue notizie.
Certo i due Shakir potrebbero essere due persone diverse, nonostante lo stesso nome e lo stesso cognome. Ma resta da capire una cosa: il team che in Iraq cerca le armi di sterminio ha trovato mucchi di documenti, fotografie, dossier e trascrizioni che potrebbero dimostrare i rapporti pre 11 settembre tra l’Iraq e al Qaida. Eppure, tra chi invoca la declassificazione di ogni possibile pezzo di carta che possa inchiodare Bush, non se ne trova uno che chieda con eguale zelo di togliere il segreto a quei documenti che potrebbero collegare Saddam a Osama.

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