Camillo di Christian RoccaIl New York Times lancia corsi New Age per i suoi cronisti

Milano. "Il New York Times è come un paese comunista, però New Age", dice al Foglio una fonte giornalistica del quotidiano dei record. Tranquilli, non è la solita polemicuccia su quanto sia liberal e di sinistra il New York Times ("certo che lo è", ha scritto il garante dei lettori, Daniel Okrent). Il punto è che in una fase di grande trasformazione di un giornale che si sente debole politicamente e commercialmente, e con gran parte dei 1.200 giornalisti che si autodefinisce soddisfatta-appagata-arrivata (tradotto: lavora poco), fa sorridere la soluzione escogitata per dare una mossa ai dipendenti: corsi gratuiti interni anti stress, di fitness e di "strategie per trovare le giuste motivazioni". Ieri, per esempio, le caselle elettroniche dei compassati giornalisti del Times hanno ricevuto una e-mail dal titolo: "Pensa positivo!". Il mittente non era Jovanotti, ma Lifeskills, Programma di Assistenza degli Impiegati creato dal Times per aiutare i giornalisti a migliorare la vita pubblica e personale. I corsi fino a giugno (ore pasti, 14esimo piano) sono una decina e vanno dalla "sfida del fitness", che prevede l’apprendimento di "strategie per far entrare gli esercizi giornalieri nella tua impegnatissima vita", alla "pianificazione per rinnovare la volontà". E poi, corsi per "imparare metodi gentili, facili ed efficaci per proteggere te stesso e superare le paure con esercizi e gruppi di discussione", metodi per "capire perché e come spendi i tuoi soldi" oppure per "imparare le tecniche di contenimento del potenziale impatto negativo di un divorzio" e così via.
Howell Raines, il direttore costretto alle dimissioni dopo i falsi scoop del suo protetto Jayson Blair, era odiatissimo dai giornalisti proprio perché diceva che il giornale aveva bisogno di accelerare "il metabolismo competitivo". Ora che i metodi ruvidi e competitivi di Raines non ci sono più, è tornato il solito autocompiacimento e fioccano le lezioni di self-help. Dopo la sconfitta di John Kerry, sul quale il Times aveva scommesso, l’ufficio centrale ha inviato una e-mail ringraziando la redazione "per il grande lavoro svolto da tutti quanti nella copertura delle elezioni".
In generale il Times è in una fase critica, guadagna meno dei suoi concorrenti, la sua circolazione non cresce, attrae poca pubblicità, le sue azioni sono scese, perde quote a New York e il settore che va meglio, il favoloso sito Internet, non produce utili sufficienti. Eppure, secondo una lunga inchiesta di Business Week, non va così male. C’è solo che la proprietà e la direzione sono impegnati in una delicata fase di progettazione del futuro. Il cambiamento è cominciato sei anni fa, con la lenta ma decisa trasformazione da giornale metropolitano in quotidiano nazionale. Da allora il Times ha guadagnato 150 mila abbonati fuori dall’area di New York, ma ne ha persi 96 mila in casa propria. Un incremento netto di 54 mila copie, superiore alla media dei concorrenti e particolarmente ben accetto perché produrre una copia a New York costa un terzo in più rispetto a una stampata e distribuita nel resto del paese. Vanno male le azioni di Borsa, 25 per cento in meno rispetto alla quotazione record del 2002, e va male la pubblicità che è cresciuta solo del 2,3 per cento a fronte di una media nazionale del 9,6. Il motivo è ovvio: comprare spazi "nazionali" sul Times non è conveniente per gli investitori pubblicitari vista la scarsa circolazione fuori da New York. Usa Today e il Wall Street Journal, che vendono 2 milioni di copie in più, sono molto più appetibili. I profitti del gruppo Times, che comprende anche l’Herald Tribune, il Boston Globe, 15 piccoli quotidiani e 8 canali televisivi, non raggiungono il margine del 25 per cento dei concorrenti. Il motivo? La spesa giornalistica che, secondo Business Week, supera i 300 milioni di dollari l’anno. Nei giorni scorsi una mail societaria invitava i giornalisti "a mantenere le note spese nel limite della ragione". Nonostante le spese e la qualità dei servizi, le vendite (1 milione e 100 mila copie) sono aumentate di un impercettibile 0,2 per cento. Il sito Internet è una bomba, cresce e produce utili, ma ancora con un rapporto di 1 a 10 rispetto all’edizione cartacea. L’accesso è gratuito, ma forse a breve non lo sarà più. L’editore, Arthur Sulzberger Jr., crede che "il giornalismo di qualità nel lungo termine pagherà", così assume e avvia nuove iniziative editoriali. Il Book Review, per esempio, non è più soltanto un contenitore di recensioni di libri, ma un luogo di dibattito e di inchieste culturali. In questi giorni c’è da definire la sostituzione di Bill Safire, l’editorialista conservatore che il 24 gennaio andrà in pensione. Circolano un paio di nomi, uno dei quali è Michael Gerson, lo speech writer di Bush.

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