Camillo di Christian RoccaIl caso Formigoni

Milano. Il Sole 24 Ore e il Financial Times ieri hanno pubblicato, a firma di Claudio Gatti, un’inchiesta sul ruolo di Roberto Formigoni nello scandalo Oil for food, il programma di aiuti umanitari all’Iraq gestito dall’Onu e oggi oggetto di varie inchieste negli Stati Uniti e di una interna al Palazzo di Vetro. Il presidente della Lombardia ha liquidato le accuse come "la solita minestra riscaldata che da un anno viene ricicciata in modi diversi". E’ vero, infatti, che questa non è la prima volta che il nome di Formigoni e di altri italiani, uno dei quali è il prete no global padre Benjamin, viene collegato ai beneficiari di buoni-petrolio stilata da Saddam come contropartita di un sostegno politico contro le sanzioni. Formigoni rivendica la campagna e di aver contribuito ad aiutare le attività di aziende italiane all’estero, ma nega ogni altro addebito.
Il nome di Formigoni è comparso per la prima volta il 25 gennaio 2004 sul giornale iracheno al Mada, accanto all’indicazione di 24 milioni di barili. L’inchiesta del Sole fornisce però documenti che proverebbero un suo ruolo attivo. Claudio Gatti riproduce un fax con cui Formigoni segnalò a Tareq Aziz due società petrolifere italiane, una delle quali è la Cogep. Al giornalista risulta che il primo contratto tra la Cogep e l’azienda petrolifera irachena fu firmato a Baghdad il 18 gennaio 1998. Per la Cogep firmò Marco De Petro, un ex deputato Dc, esponente del Movimento popolare, oggi presidente di una società controllata dalla Regione Lombardia e consulente di Formigoni per i rapporti internazionali. Ecco il legame, ha scritto il Sole 24 Ore. Il giornale ha anche raccontato che la Cogep avrebbe pagato tangenti per 943 mila dollari a Saddam attraverso versamenti su conti correnti giordani e libanesi. "Non ci sono prove che Formigoni e De Petro sapessero di queste tangenti ­ ha scritto Gatti ­ ma gli investigatori hanno appurato che non tutti i profitti sono rimasti nelle casse della Cogep". Spunta un’altra società, la Candonly, che avrebbe ricevuto tre centesimi per ogni barile di petrolio acquistato dall’Iraq. Fatti due calcoli, nelle casse della Candonly sarebbero finiti circa 2 milioni di dollari. Secondo Il Sole (che offre dettagli minuziosi che sembrano più italiani che provenienti dall’Onu) un giro di prestanomi dietro la Candonly in realtà nasconderebbe Marco De Petro, il quale però smentisce.

La Somo, i francesi, i russi e Kojo Annan
Le Nazioni Unite nel 1995 hanno aperto una breccia sulle sanzioni al regime iracheno. L’idea era quella di aiutare la popolazione civile, pur continuando a esercitare pressioni su Baghdad. La Somo, la società petrolifera irachena, è stata autorizzata a vendere svariati miliardi di barili di greggio per oltre 64 miliardi di dollari. I soldi transitavano su un conto della banca Bnp di Parigi gestito dall’ufficio Onu guidato dal braccio destro di Kofi Annan, Benon Sevan. L’Onu ha utilizzato quei soldi per pagare oltre 3.500 società che hanno distribuito cibo in Iraq (39 miliardi di dollari), per le indagini degli ispettori Onu (quasi due miliardi), per compensare i danni di guerra in Kuwait (18 miliardi), per finanziare un fondo di sviluppo per l’Iraq (8 miliardi e 600 milioni). Quasi un miliardo se n’è andato in spese di gestione, un altro miliardo è rimasto in cassa, parte del quale oggi è utilizzato dalla Commissione d’inchiesta Onu guidata da Paul Volcker. Il programma avrebbe generato 21 miliardi di dollari tra tangenti e affari illeciti. Il meccanismo ideato da Saddam per finanziare i suoi sponsor era geniale. Con la complicità delle strutture Onu, il prezzo del petrolio iracheno veniva fissato a una quota più bassa del valore di mercato. I beneficiari segnalavano a Baghdad un mediatore che comprava il diritto ad acquistare petrolio a prezzo ribassato e poi a rivenderlo al prezzo reale. La differenza era il beneficio per gli amici del rais. E non restavano le impronte.
Il primo rapporto della Commissione Volcker ha confermato lo schema e il ruolo ambiguo dell’Onu. Un secondo rapporto, previsto entro l’estate, esaminerà la posizione di Annan e di suo figlio Kojo. Il nome di Roberto Formigoni nel primo rapporto non compare. A ottobre, il Foglio ha appreso da ambienti della Commissione dell’Onu che gli investigatori non avrebbero indagato su tutti i 270 beneficiari, ma che si sarebbero concentrati sull’Onu e sui politici di quei paesi più filo Saddam. Il governo russo risulta assegnatario di una quota di 1.366 miliardi di barili (Formigoni 24 milioni), mentre tra i francesi implicati ci sono l’ex ministro dell’Interno Charles Pasqua e l’ex ambasciatore all’Onu Jean Bernard Merimee.

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