New York. Oriana Fallaci non concede interviste. L’ultima risale a quasi venti anni fa. E’ fatta così, la Fallaci. Se ha da dire qualcosa (e vi giuro che da dire lei ha moltissimo, più di quanto voi possiate immaginare) prende carta e penna e scrive un libro. E ogni volta questo libro viene letto da milioni di persone. L’ultimo, "L’Apocalisse", ha venduto un milione e mezzo di copie. Ogni volta le sue parole scuotono le coscienze e stritolano le viscere di chi le legge. Parole mai banali, mai scontate, sempre urticanti e provocatorie. I giornalisti non li sopporta. Se li mangerebbe vivi a colazione. Eppure questa volta ha deciso di fare un’eccezione e di parlare col Foglio. Non di bazzecole: di cultura della vita, di culto della morte, di crisi della nostra società. Stavolta attaccando soltanto l’Occidente, cioè il fronte interno della sua offensiva contro l’invasione islamica dell’Europa. O, come dice lei, dell’Eurabia.
Il pretesto per questa chiacchierata è il calvario di Terri Schiavo: quindici anni vissuti da vegetale con un tubo nutritivo nel corpo, quindici lunghissimi giorni senza quel tubo per morire di fame e di sete con il benestare dei dotti. La Fallaci non s’è persa un istante di questa incredibile storia e nell’intervista ne racconta i retroscena raccapriccianti, i particolari inediti, gli aspetti più drammatici. A modo suo, ovvio. Intervistare la Fallaci cioè la persona che è universalmente riconosciuta come la più brava intervistatrice politica, è un compito molto difficile ma allo stesso tempo anche molto facile. Difficile perché solo un’intervistatrice come Oriana Fallaci può tenere testa all’intervistata Oriana Fallaci: ci vuole la tempra di chi con le sue domande fece vacillare Kissinger, indignare Khomeini, arrossire Arafat e arrabbiare Gheddafi, per contenere l’autrice de "La Rabbia e l’Orgoglio", "La Forza della Ragione", "Oriana Fallaci intervista sé stessa" e "L’Apocalisse", gli scioccanti saggi post undici settembre. Ma intervistarla, in fondo, è anche un compito facile. Se a rispondere c’è una formidabile polemista come Oriana Fallaci, infatti, siate pur certi che sarà vero come non mai l’adagio giornalistico secondo il quale l’intervista è un articolo rubato alla persona che si intervista.
IL FOGLIO. Perché, lei che non dà mai interviste, unica eccezione quella che l’anno scorso concesse a se stessa nel libro che chiude la sua Trilogia, oggi accetta di parlarci?
ORIANA FALLACI. Anzitutto, perché sono assolutamente d’accordo con voi del Foglio, con Giuliano Ferrara, che insieme alla gigantografia di Terri avete pubblicato l’ammonimento "dai-tempi-del-Terzo-Reich-nessun-disabile-innocente-era-stato-messo-a morte". E vi ringrazio d’averlo fatto quanto in cuor mio vi ringraziai quando, come Libero di Vittorio Feltri, pubblicaste il paginone con la testa mozza di Nick Berg. Poi perché non è vero che la verità stia sempre nel mezzo. A volte sta da una parte sola. E non voglio provare l’onta di aver taciuto su quella che stavolta sta da una parte sola. Sa, di nefandezze io ne ho viste tante nella mia ormai non breve vita. Guerre, stragi, massacri. Fucilazioni, impiccagioni, carneficine compiute dalle bestie che i falsi giacobini e i falsi liberali definiscono guerriglieri-resistenti-combattenti. Soprattutto qui in America, anche i cosiddetti "errori giudiziari". O.J. Simpson assolto dall’accusa di aver sgozzato sua moglie, la nanny inglese assolta dall’accusa d’aver fracassato il cranio del bambino affidatole E ogni volta ci ho sofferto fino allo strazio. Io non sono capace di guardare certe cose con distacco, indifferenza, freddezza. Ma poche volte ho sofferto quanto per questa donna innocente, uccisa dall’ottusità della Legge e dalla crudeltà di un Barbablù. Nonostante la mancanza di sangue, di manifesta brutalità, v’è qualcosa di particolarmente mostruoso nella morte di Terri Schindler.
Intende dire Terri Schiavo
Io non dico mai Terri Schiavo. Mi sembra una beffa, una crudeltà supplementare, chiamarla col cognome di suo marito. Era nata come Theresa Marie Schindler, povera Terri. E se la sapessero tutta, penso che anche gli italiani direbbero Terri Schindler e non Terri Schiavo. Uso le parole "se-la-sapessero-tutta" perché ho l’impressione che in Italia anzi in Europa la gente non sia stata bene informata. Che sia i giornali sia le televisioni abbiano sottolineato la sensazionalità della faccenda, non i suoi retroscena. Io invece l’ho seguita giorno per giorno ed ora per ora, qui in America, e l’effetto è stato così disastroso che non credo più alla Legge. Cristo, per tutta la vita ho invocato la Legge. Anche per combattere l’incompreso flagello che stiamo subendo con l’invasione islamica dell’Occidente, ho sempre invocato la Legge. E fino ad oggi la mia caparbia fiducia nella Legge non era stata cancellata neanche dagli errori giudiziari cui ho alluso. Non era stata inquinata neppure dagli scellerati processi che io stessa ho subìto su richiesta dei nostri invasori. Ma la morte di Terri è riuscita laddove essi non erano riusciti, ed oggi penso che ottenere giustizia attraverso la Legge sia un terno al lotto. Una fortuna regalataci dalla sorte che ci impone un giudice anziché un altro, un cavillo anziché un altro, una giuria anziché un’altra. Se mi sbaglio, se la Legge significa davvero Giustizia, Equità, Imparzialità, me lo si dimostri incriminando i magistrati che per ben dodici volte si sono accaniti su quella creatura colpevole soltanto d’essere una malata inguaribile. In testa a loro, quel George Greer che per primo accolse l’istanza di Barbablù e ordinò di staccare la spina cioè di togliere a Terri il feeding-support: il tubo nutritivo. Dopo George Greer, i trentanove becchini che travestiti da magistrati confermarono il suo verdetto. Tra di loro i buoni Samaritani della Corte d’Appello di Atlanta che il 30 marzo rifiutaron d’accogliere l’estrema supplica di Bob e Mary Schindler, ancora illusi che la Legge significasse Giustizia eccetera.
Quindi, secondo lei, i primi responsabili sono i magistrati?
Sì, e ha ragione Bill Kristol quando sul suo Weekly Standard chiede al Congresso di condurre un serio dibattito per distinguere l’indipendenza dei giudici dall’arroganza del potere giudiziario. Ha ragione Bill Kristol quando deridendo quei boriosi Padreterni (responsabili d’aver annullato la condanna a morte d’un bieco assassino che per puro divertimento aveva ucciso una donna prima di compiere diciotto anni), dichiara che è giunto il momento di ribellarci ai nostri padroni in toga. Di fare una Terri-Revolution. Stabilendo una netta divisione tra potere esecutivo e legislativo e giudiziario, i Padri Fondatori credevano d’aver cancellato il rischio della dittatura esercitata dal potere esecutivo. Ma in America, oggi, il rischio della dittatura non viene dal potere esecutivo: viene dal potere giudiziario. E nel resto dell’Occidente, lo stesso. Pensi all’Italia dove, come ha ben capito la Sinistra che se ne serve senza pudore, lo strapotere dei magistrati ha raggiunto vette inaccetabili. Inpuniti e impunibili, sono i magistrati che oggi comandano. Manipolando la Legge con interpretazioni di parte cioè dettate dalla loro militanza politica e dalle loro antipatie personali, approfittandosi della loro immeritata autorità e quindi comportandosi da padroni come i Padreterni della Corte Suprema statunitense Chi osa biasimare o censurare o denunciare un magistrato, in Italia? Chi osa dire che per diventar magistrato bisognerebbe essere un santo o almeno un campione di onestà e di intelligenza, non un uomo di parte e di conseguenza indegno d’indossare la toga? Nessuno. Hanno tutti paura di loro. Anche quando subiscono un torto palese, una carognata evidente, si profondono in inchini di deferenza reverenza ossequio. "Io-ho-fiducia-nella-Legge. Io-ho-fiducia-nella-Magistratura". Berlusconi per primo.
E al secondo posto delle responsabilità chi ci mette?
Non al secondo posto ma a pari merito, i medici anzi i becchini travestiti da medici che ai magistrati hanno fornito gli elementi necessari ad emettere quella sentenza di morte. Che hanno definito Terri un cervello spento, un corpo senz’anima, un essere in stato vegetativo irreversibile. Capofila, stavolta, quel dottor Ronald Cranford che al giudice Greer fornì la diagnosi invano contestata da ben cinquanta neurologi. In particolare, dal dottor William Cheshire, scelto dal governatore Jeb Bush per tentar di salvare Terri. Dio mi guardi dal disputare il significato che i Cranford danno al termine "stato vegetativo irreversibile". A diciassette anni mi iscrissi alla Facoltà di Medicina, sì, ma quei miei studi non andaron mai oltre il colloquio-delle-ossa. Per mantenermi all’Università dovevo lavorare come cronista, il mio lavoro di cronista durava fino a tardissima notte, sicché alle lezioni del mattino (le lezioni di anatomia) arrivavo distrutta dal sonno e dalla fatica. A un certo punto dovetti scegliere tra medicina e giornalismo, sicché Da più d’un decennio, inoltre, cioè da quando l’Alieno si è impossessato di me, i miei rapporti coi medici sono diventati alquanto difficili. Sebbene l’oncologo americano al quale devo il fatto d’essere ancora in vita sia una delle persone più rispettabili che abbia mai conosciuto, non riesco mai a dimenticare i Cranford che sono alla base delle mie disgrazie cliniche. Ad esempio quello francese che nel 1992 definì il mio cancro "un tipico reumatismo". Su questa certezza rifiutò di farmi la radiografia, e quando la verità venne a galla avevo ormai perso diciotto mesi preziosi. Non riesco nemmeno a dimenticare il Cranford che circa un anno e mezzo fa, quando l’Alieno si estese ai polmoni e all’esofago e alla trachea, mi curò con uno sciroppo per la tosse. Sicché al momento in cui la verità venne a galla era troppo tardi per ricorrere alla chirurgia, e la chemioterapia fallì. Tantomeno riesco a dimenticare i Cranford i quali non si accorsero che dai polmoni e dall’esofago e dalla trachea l’Alieno stava avanzando in direzione del fegato. E qui mi fermo perché, come la loro cecità, la sua marcia non finisce qui Voglio dire: anche per diventar medico bisognerebbe essere un santo o almeno un campione di onestà e di intelligenza. Oggigiorno Ippocrate non va più di moda e nella maggior parte dei casi la medicina è diventata un cinico business, uno strumento per arraffar soldi o tentare di ottenere lo screditato Nobel. Però so che lo stato vegetativo non è la morte cerebrale e che il termine stato-vegetativo-irreversibile è molto controverso. Molto discutibile. Nel 1946, quando era candidato alle elezioni per la Costituente, mio padre ebbe un grave infortunio automobilistico che gli provocò la frattura del cranio e lo ridusse a ciò che definirono uno stato-vegetativo-irreversibile. Non parlava più, non si muoveva più, di rado apriva gli occhi. In sostanza, dormiva e basta. Ma una mattina si svegliò. "Ho fame. Datemi qualcosa da mangiare" disse con chiarissima voce. Poi tornò a essere l’uomo che era sempre stato. Intelligente, combattivo, spiritoso. E se questo fosse successo anche a Terri?
Sta dicendo che lo stato-vegetativo di Terri non era irreversibile?
Non lo dico io. Lo dicono i neurologi che contestano e per anni contestarono la diagnosi dei vari Cranford. Dico "vari" perché furono almeno quattro i neurologi che determinarono la sentenza di morte emessa dai becchini travestiti da giudici. Alcuni, addirittura abbinando il vocabolo "coma" con l’espressione "stato-vegetativo", e Cristo! Lo stato-vegetativo si distingue dal coma in modo molto preciso. Il coma è un sonno continuo. Lo stato-vegetativo è un alternarsi di sonno e di veglia durante la quale il malato vede, capisce, reagisce agli stimoli. Per esempio, alle persone che gli stanno vicino. E questo era il caso di Terri. "A vederci si illuminava come un albero di Natale" hanno detto più volte i suoi genitori. E la prova che non mentivano ci è fornita dal video trasmesso da tutte le televisioni del mondo. Quello nel quale sua madre si china a baciarla e Terri si illumina veramente come un albero di Natale. I suoi occhi si spalancano, brillano di gioia. La sua bocca si apre in un sorriso beato, e attraverso quel sorriso beato sembra dire: "Grazie d’esser venuta, mamma". C’è di più. A un certo punto, la madre le mostra un palloncino coi personaggi di Walt Disney. E Terri lo osserva incuriosita, divertita. Il padre le pone domande e Terri risponde rantolando sì o no. "Yeaaah! Naaah!". Lo pronuncia davvero male, quel sì e quel no. Però si tratta proprio di un sì e di un no. Chiunque abbia visto e udito quel video può testimoniarlo, e a dirlo sono anche le infermiere che la curavano. Due di loro raccontano addirittura che, a veder Barbablù, Terri si comportava in modo completamente diverso da quello in cui si comportava coi genitori. Chiudeva gli occhi oppure distoglieva lo sguardo, assumeva un’espressione ostile, taceva ostinatamente, e altro che stato-irreversibile! Quella era una donna che capiva. Che pensava, che ragionava. Io sono certa che la sua lunga agonia, la sua interminabile esecuzione effettuata attraverso la fame e la sete, Terri l’abbia vissuta consapevolmente. Quanto a quel tipo di esecuzione, alla fame e alla sete che sopravvengono quando si rimuove il tubo nutritivo, dico: gli spartani che eliminavano i bambini deformi gettandoli dalla Rupe del Taigeto erano più civili di noi. Perché a cadere dalla Rupe del Taigeto i bambini morivan sul colpo. Terri, invece, a morire ci ha messo ben quattordici giorni.
Eppure il 67 per cento degli americani ha approvato il verdetto emesso dal giudice Greer e inesorabilmente confermato dai trentanove giudici che lo hanno seguito. Tra questi i giudici della Corte Suprema che col suo rifiuto ad accettare l’appello presentato in extremis dagli Schindler sigillò il suo imprimatur. Cosa ne deduce?
Ne deduco che nella nostra società parlare di Diritti-Umani è davvero un’impostura, una farisaica commedia. Ne deduco che da noi essere malati in modo inguaribile è un delitto per cui si rischia la pena capitale. Ne deduco che nel nostro tempo chi è malato in modo inguaribile viene considerato un cittadino inutile, un disturbo da cancellare, quindi un reprobo da punire. Ne deduco che, per non esser gettati dalla rupe, nella nostra società bisogna essere sani e belli e in grado di partecipare all’Olimpiadi o almeno giocare la fottuta partita di calcio. Be’, allora eliminiamoli tutti quei cittadini inutili, quei disturbi da cancellare, quei reprobi da punire. Ammazziamoli tutti gli handicappati, i paralitici, i paraplegici, i tetraplegici, i mongoloidi, i nonni e le nonne novantenni che giacciono a letto col femore rotto. E con loro i rachitici, i gobbi, i monchi, gli zoppi, i ciechi, i sordi. Anche se sono sordi come Beethoven che da sordo scrisse l’Eroica. Anche se sono ciechi come Omero che da cieco scrisse l’Iliade e l’Odissea. O come Milton che da cieco scrisse il Paradiso perduto poi il Paradiso ritrovato. Anche se sono rachitici e gobbi come Leopardi che da rachitico e gobbo scrisse A Silvia e L’Infinito. O anche se sono tetraplegici come Stephen Hawking, da circa cinquant’anni immobilizzato da una sclerosi amiotrofica e da almeno dieci incapace di parlare. Infatti vive su una sedia a rotelle dalla quale ciondola come un fiore appassito, e per comunicare usa un sofisticato computer dove non riesce a trasmettere più di quindici parole al minuto. Eppure è uno degli scienziati, dei cosmologi, più celebri della nostra epoca. In quelle condizioni ha scritto dozzine di libri tra cui il bestseller Breve storia del Tempo – I Buchi Neri e il Baby Universo. E, nel 2001, l’altro bestseller L’universo in un guscio di noce. Non solo: ha ricevuto almeno dodici lauree ad honorem nonché un numero indefinito di premi internazionali e, sebbene sia un mostro dalla testa ai piedi, per quindici anni ha avuto una moglie che gli ha dato tre figli. Ma sì: condanniamoli tutti a morte, quegli sciagurati indegni di partecipare alle Olimpiadi e di giocare la fottuta partita di calcio. Eliminiamoli tutti, inclusi gli ammalati di Aids o di Alzheimer o di cancro. E per incominciare eliminiamo subito anche me, senza attendere che mi ammazzino i musulmani dai quali sono stata condannata a morte non con l’avvallo della società ma con quello di Allah. Anch’io sono un malato inguaribile. Lungi dal curarmi con lo sciroppo per la tosse o dal definire il mio Alieno "un tipico reumatismo", oggi tutti i medici mi dicono: "Signora, il suo cancro è inguaribile". Lo è. Le mie illusioni di poterlo combattere, le illusioni di cui parlo nel libro Oriana Fallaci intervista sé stessa, si sono dissolte mentre scrivevo L’Apocalisse. Gli sforzi di Thomas Fahey, il mio oncologo, servono soltanto a tentar di farmi durare un pochino di più. Anch’io, dunque sono colpevole. Anch’io merito d’essere scaraventata dalla Rupe della Fame e della Sete. Qualcuno può replicare che la mia intelligenza è superiore a quella di Terri, che almeno in quel senso non sono un cittadino inutile, che anche se malata inguaribile servo a qualcosa. A scrivere, per esempio. A dialogare con le coscienze, a denunciare le verità. Ma chi ha detto che la vita sia intelligenza e basta?!?
L’astronoma Margherita Hack, per esempio. "Quando il cervello non funziona più" ha commentato durante l’agonia di Terri "non c’è più vita, si è vegetali".
Di stelle e di galassie la signora Hack se ne intende parecchio, sì, ma di medicina assai meno. E di umanità ancor meno, vedo, sebbene sia abbastanza vecchia e di solito la vecchiaia renda più umani. Perché non è vero che la vita sia intelligenza e basta. Gli animali non scrivono l’Iliade, l’Odissea, il Paradiso perduto, l’Eroica, L’Infinito e L’universo dentro un guscio di noce. Non dipingono la Cappella Sistina, non dissertano sui Buchi Neri, non vanno sulla Luna e su Marte. E gli alberi, le piante, insomma i vegetali, lo stesso. Loro non riescono memmeno a camminare, spostarsi. Eppure sono vivi. E se non esistessero, la vita su questo pianeta non esisterebbe. Del resto chi ci assicura che gli alberi non siano intelligenti, non pensino? Il mio sospetto è che, per contribuire alla nostra esistenza, un pensiero lo debbano avere. Ma ammettiamo pure che non pensino, che come loro Terri non pensasse, reagisse agli stimoli e basta: dove li mettiamo i sentimenti e le sensazioni a cui la signora Hack sembra non dare importanza? La vita è fatta anche di sentimenti, è fatta anche di sensazioni. E chi ha detto che un malato inguaribile, un "cittadino inutile", non sia degno di viverla attraverso i sentimenti e le sensazioni. La vita si misura sull’utilità o sull’essenza? Negli anni settanta Pearl Buck, la grande romanziera americana autrice de La buona terra, la vincitrice del Nobel quando il Nobel era una cosa seria, mi raccontò che in seguito a una lesione al cervello sua figlia viveva come un vegetale. Era bellissima, apparentemente sanissima, ma non aveva alcuna forma di intelligenza. Non serviva a nulla e a nessuno, disturbava il prossimo e basta. Però capiva la musica meglio di lei. La amava disperatamente, e quando le portavi un disco di Mozart o di Brahms o di Chopin anche lei si ravvivava tutta. Sorrideva, rideva, parlava fino a farti sperare che un giorno guarisse. Ciò era sufficiente a conferirle la dignità di vivere o no? Secondo Pearl Buck, lo era. Secondo me, lo stesso. Questo senza tener conto del fatto che se il metro di misura fosse l’utilità, la maggioranza degli esseri umani dovrebbe essere eliminata. La nostra società divampa, scoppia, di gente inutile. Di fannulloni, di scansafatiche, di buoni a nulla, di mangia a ufo. E se ho torto, se la signora Hack ha ragione, se la vita è intelligenza e basta, se in mancanza di intelligenza i sentimenti e le sensazioni non bastano a renderci degni di viverla, che ne facciamo di ciò che ha nome pietà? Che ne facciamo di ciò che ha nome speranza? Oltre che di sentimenti e di sensazioni, la vita è fatta di pietà e di speranza. E un essere umano non può negare la pietà, non può negare la speranza, perdio. Negare la pietà e la speranza, significa educare alla Morte, al Culto della Morte.
E’ un discorso cristiano, questo, o mi sbaglio?
Lo è. Io sono cristiana. L’ho detto chiaro e tondo nel nono capitolo de La Forza della Ragione: io sono un’atea cristiana. Non credo in ciò che indichiamo col termine Dio. Penso che Dio sia stato creato dagli uomini e non viceversa. Penso che gli uomini lo abbiano inventato per solitudine, disperazione. Cioè per dare una risposta al mistero dell’esistenza, per risolvere le irresolubili domande che la vita ci butta in faccia. Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Penso che l’abbiano inventato anche per debolezza cioè per paura di vivere e di morire. Vivere è molto difficile, morire è sempre un dispiacere, e il concetto d’un Dio che aiuti ad affrontar le due imprese può dare un sollievo sterminato: lo capisco bene. Infatti invidio chi crede e a volte ne sono addirittura gelosa. Però mai fino a maturare il sospetto che quel Dio esista, che con tutti quei miliardi di mondi abbia il tempo e il modo di rintracciare me. Occuparsi di me. Chiarito ciò, ripeto che sono cristiana. Che lo sono anche se rifiuto vari precetti del Cristianesimo. Ad esempio quello del perdono anzi del porgere l’altra guancia. E lo sono perché nel discorso che sta alla base del Cristianesimo non trovo alcun contrasto col mio ateismo, col mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di Nazareth, ovvio, non di quello elaborato o distorto quindi tradito dalla Chiesa Cattolica e dalle Chiese Protestanti. Il discorso che scavalcando la metafisica si concentra sull’Uomo e che non riguarda soltanto il libero arbitrio, la scelta, la libertà su cui insisto ne La Forza della Ragione. Riguarda anche la pietà, la speranza, quindi il rifiuto della morte. Ci pensi bene: il Cristianesimo rifiuta la Morte. Attraverso il poetico concetto di resurrezione esalta la vita fino a vedere nella morte un’altra forma di vita. E siamo sinceri: non credendo in Dio, non posso credere neanche nella Resurrezione. Ritengo che la morte sia la fine di tutto e infatti la definisco "uno spreco". Ma amando appassionatamente la Vita, come faccio a non identificarmi nel Cristianesimo? E poi il Cristianesimo è la filosofia nella quale sono nata e cresciuta. Esprime quasi tutti i principi della civiltà alla quale appartengo. Dal Cristianesimo non posso prescindere.
Allora come la mettiamo con certi aspetti della nostra cristiana civiltà? La pena capitale, ad esempio. L’aborto, l’uso della cellule embrionali, l’eutanasia
Male, la mettiamo. Male. Tanto più che quegli aspetti sottolineano tutte le ipocrisie di tale società. E gliene fornisco un esempio. In America i pedofili non vengono considerati delinquenti. Contrariamente a me e a Terri vengono visti come malati guaribili, recuperabili. La legge li condanna a pene irrisorie, (dai due ai sei anni di prigione), la medicina li cura a spese dello Stato cioè del cittadino, e in certo senso la comunità li protegge. Segnalare agli abitanti d’una zona o d’un quartiere che tra loro c’è un "sexual offender" uscito di prigione viene considerato in molti Stati una pratica incivile. Be’, durante l’agonia di Terri tre adorabili bambine sono state rapite, stuprate, seviziate, e poi assassinate. Una di nove anni, una di dieci, e una di dodici. Quella di nove anni, Jessica Lundford, addirittura sepolta viva. A rapirle, stuprarle, seviziarle, assassinarle, sono stati tre "sexual offenders" usciti di prigione e non segnalati alla comunità. Tre pedofili che si sono arresi alla polizia dicendo: "Sì, l’ho uccisa io. Sono malato, dovete curarmi". Ergo, alla sua domanda e alla loro spudoratezza rispondo: io spero che invece d’essere "curati" vengano condannati alla pena capitale. Lo spero a tal punto che se gli addetti all’esecuzione si rifiutassero di eseguire la sentenza, mi offrirei di sostituirli. Soprattutto nel caso di quello che dopo lo stupro e le sevizie ha sepolto viva Jessica Lundford. Quanto all’aborto, le ricordo che sono l’autore di un libro intitolato Lettera a un bambino mai nato: dialogo tra una donna incinta e l’embrione poi il feto che porta nel ventre. E Lettera a un bambino mai nato incomincia con queste parole: "Stanotte ho saputo che c’eri. Una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza. Sì, c’eri. Esistevi". Non a caso e nonostante il mio ateismo, il mio anticlericalismo, molti cattolici ne parlarono con gran benevolenza. E l’allora arcivescovo di Cracovia, un polacco di nome Karol Wojtyla, lo fece subito tradurre e pubblicare a puntate sul mensile della sua diocesi. (Cosa per cui protestai in nome del copyright, ma lui mi fece rispondere dal segretario che in Polonia il copyright non esisteva). In parole diverse, non la penso come coloro i quali affermano che un feto e a maggior ragione un embrione non è ancora un essere umano. Secondo me, noi siamo ciò che saremo fin dall’istante in cui si accende quella goccia di vita. E l’idea di abortire non mi ha mai sfiorato il cervello. Anzi, mi ha sempre inorridito. Ma se fossi giovane e venissi stuprata, messa incinta da un Bin Laden o da uno Zarqawi o anche da un semplice Mortadella (il democristiano che si crede d’essere il Napoleone della presunta Sinistra) abortirei senza esitare. Ciò le fornisce il mio parere anche sull’uso delle cellule embrionali. L’idea che in America si conservino trecentomila embrioni umani congelati e che almeno centomila se ne conservino in Europa, almeno trentamila in Italia, Dio sa quanti in Cina e negli altri paesi senza controllo, mi inorridisce quanto l’idea dell’aborto. Mi strazia quanto l’esecuzione di Terri e concludo: non me ne importa nulla che manipolare cioè assassinare quegli embrioni serva a guarire malattie come la sclerosi amiotrofica di Stephen Hawking. Non me ne importerebbe nemmeno se servisse a curare il mio cancro, a regalarmi il tempo di cui ho bisogno per finire il lavoro che rischio di lasciare incompiuto.
E l’eutanasia?
Idem. La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La Morte è morte e basta. Ma predicarlo non serve a nulla. Forse grazie ai kamikaze, alle loro stragi, alle loro decapitazioni, l’islamico Culto della Morte sta avanzando in Occidente a un ritmo inesorabile. Sta conquistando l’America dove in Florida, in California, nel Vermont, in Alabama, nell’Oregon, nel Michigan passano leggi sul suicidio assistito. E sperare che ciò non avvenga anche in Europa, in Eurabia, quindi in Italia, è ormai vano. "L’onda si rovescerà sull’Europa, sull’Italia dove si copiano sempre gli altri" ha ben scritto Gianluigi Gigli sull’Osservatore Romano. "Uno tsunami culturale le cui avvisaglie si sono già viste nel mare delle idiozie pubblicate sui giornali o dette nei talk show televisivi". Ed io aggiungo: il saudita verso il quale ne L’Apocalisse mi esprimo con tanto rispetto e tanta ammirazione, quell’Abdel Rahman al-Rashed che un anno fa lanciò lo slogan non-tutti-i-musulmani-sono-terroristi-ma-tutti-i-terroristi-sono-musulmani, dice che la società islamica è molto malata e che se l’Islam non lo riconosce il suo problema rimane insoluto. Ma l’Occidente è ugualmente malato. Malato del cancro morale e intellettuale di cui parlo nella mia Trilogia. E sa qual è il particolare più sgomentevole? E’ che ad alimentare quel cancro sono proprio coloro i quali si definiscono progressisti, illuminati, liberali, uomini e donne di Sinistra. Inclusa la vecchia astronoma che nella vita vede solo intelligenza e che se non erro appartiene al Partito dei Comunisti Italiani. Sono loro che si battono per legalizzare l’eutanasia. Sono loro che rifiutano i dilemmi morali che accompagnano la pena capitale e l’aborto e l’uso degli embrioni congelati. Sono loro che accettano anzi favoriscono la condanna a morte delle Terri. Sono loro che alimentano il Culto della Morte che sacrifica anzitutto gli indifesi. I derelitti, gli inermi, gli indifesi. Mah! Un tempo eran loro a battersi per i derelitti, gli inermi, gli indifesi. Eran loro a predicare la giustizia, il Sol dell’Avvenir, la sacralità della vita. Oggi invece parlano come parlavano i più feroci reazionari dell’Ottocento e del Novecento anzi di Versailles. E se li sputtani, se li sbugiardi, in nome della democrazia e della libertà ti cavano gli occhi.
Torniamo a Terri.
Sì, torniamoci con Barbablù. Perché prima dei becchini travestiti da giudici o da medici, prima degli americani che al 67 per cento approvano il loro delitto, c’è il marito di Terri. E non v’è bisogno di Sherlock Holmes per capire che è proprio lui la chiave dell’intera faccenda, il personaggio più odioso di questa storia. Infatti lo detesto con tutta l’anima, gli auguro di morire come sua moglie, e mi dispiace che abbia un cognome italiano. Mi dispiace anche che in Italia vi sia una notevole tendenza a giudicarlo usando la doppia verità della fraudolenta "par condicio". (Ma come si fa a mettere sullo stesso piano lui e i due nobili genitori di Terri?!?). E penso che anche su Barbablù sia giunto il momento di raccontare la verità che, come ho detto all’inizio, a volte sta da una parte sola. Perché io l’ho studiato con cura il suo personaggio. L’ho studiato incominciando dal giorno in cui la danarosa e ventenne Terri Schindler se ne innamorò e lo sposò. Faceva il cameriere nei ristoranti della Pennsylvania, a quel tempo. Non aveva neppure il denaro necessario a pagare l’affitto, (gli Schindler pagavano per lui), e tantomeno aveva quello necessario a comprare la casa che ben presto il padre di Terri gli avrebbe regalato. Era già allora un marito manesco e portato all’adulterio. Le testimoni di cui i magistrati non hanno mai accettato gli affidavit dichiarano che Terri doveva spesso nascondere con la cosmesi i lividi lasciati dalle sue botte. Essere la signora Schiavo era un tale supplizio per lei che, racconta la sua più cara amica, a un certo punto era decisa a divorziare. E, non avendo il coraggio di confessarlo ai genitori, cercò un appartamento per andarci a vivere da sola. Bob e Mary Schindler lo scoprirono soltanto nel 1990 cioè quando Terri venne colpita dall’ictus che provocò il coma poi lo stato-vegetativo nel quale, tenuta in vita dal tubo nutritivo inserito nell’ombelico, sarebbe rimasta per quindici anni. Un ictus causato dalla deficienza di potassio, disse Barbablù. Ma, secondo i medici degli Schindler, da percosse o da un tentativo di strangolamento.
I difensori di Michael Schiavo sostengono che si trattasse di un marito devoto, però
E per qualche anno lo fu, nonostante le scappatelle sessuali e sentimentali. Rifacendosi a una balorda legge della Florida, il giudice Greer nel 1990 lo aveva nominato tutore e guardiano di Terri, l’unica persona autorizzata a decider per lei, sicché il ruolo di marito-devoto lo sosteneva con un certo impegno. Nelle cliniche dove Terri veniva via via ricoverata andava sempre a trovarla. Le portava mazzolini di rose, si faceva fotografare mentre la pettinava o la sbaciucchiava, e pazienza se (lo raccontano alcune infermiere) ogni tanto poneva domande poco affettuose. "Non è ancora morta?". Oppure: "Ma quanto ci mette a morire?". Nel 1992 tanta devozione si rivelò attraverso la causa che mosse contro l’istituto sanitario colpevole di non aver curato la mancanza di potassio. La vinse, e intascò oltre un milione di dollari. Settecentocinquantamila per la moglie inferma e trecentomila per lui. (Questi, quale risarcimento, per la "loss of companionship" cioè per "la perdita di compagnia-maritale" che l’infermità di Terri gli stava costando). E qui viene il bello. Perché a quel punto gli Schindler gli chiesero come intendeva usare i settecentocinquantamila intascati per conto di Terri, lui rispose che li avrebbe usati per sottoporla a cure speciali, e di cure-speciali non gliene fece fare nessuna. Niente fisioterapisti per rieducarla ai movimenti, per esempio. Niente rieducazione verbale per rieducarla alla parola. Quella parola che sarebbe tanto servita a scoprire cos’era successo la notte dell’ictus attribuito al potassio. C’è di peggio. Nel 1995 il devoto-marito conobbe Jodi Centonze: la donna con la quale sarebbe andato a vivere more-uxorio e dalla quale avrebbe avuto due figli. Un bambino e una bambina. Nel 1997 il legame con Jodi venne celebrato con una pubblica festa di "fidanzamento", e nel medesimo anno egli ebbe un improvviso risorgere della memoria. Fino a quel momento, infatti, aveva sempre detto di ignorare se Terri avrebbe accettato di vivere come un vegetale oppure chiesto di staccare-la-spina. Ma dopo il "fidanzamento" con Jodi ricordò che un giorno, osservando la suocera costretta a respirare artificialmente, aveva mormorato: "Se succedesse a me, ti pregherei di lasciarmi morire". Con questo appiglio, e presentando quelle parole come una scelta anticipata di eutanasia, nel 1998 si rivolse alla Corte della Florida per ottenere il nulla-osta a lasciarla morire staccando il tubo nutritivo. "It’s a promise that I paid to her seven years ago. E’ una promessa che le feci sette anni fa". E lungi dal mettere in dubbio la sua sincerità cioè il suo improvviso e tardivo recupero della memoria, lungi dal chiedersi se la richiesta nascondesse un conflitto di interessi cioè un’ansia di vedovanza per sposare Jodi, quel nulla-osta la Corte della Florida glielo concesse senza esigere un documento firmato.
Il famoso Living-Will o Testamento Biologico con cui una persona chiarisce se in caso di grave infermità vuole vivere o morire
Sì, e va da sé che il Testamento Biologico, è una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi ante-litteram, annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri vorrai staccare-la-spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L’istinto di sopravvivenza è incontenibile, incontrollabile. L’ho visto alla guerra. Può rendere timidi o vili i più coraggiosi, può indurre a cambiare idea i più decisi. E se nel Testamento Biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia cambi idea? Se a quel punto t’accorgi che la vita è bella anche quando è brutta, e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell’ombelico ma non sei più in grado di dirlo? In tal caso quel documento scritto diventa la tua auto-condanna. Magari gestita da un Barbablù che ha dimenticato d’esser tuo marito, o da un parente che ansioso di ricevere la tua eredità non vede l’ora di vederti crepare in fretta. Il Testamento Biologico è anche un’ipocrisia dentro l’ipocrisia. Perché è consentito agli adulti e basta. Come fa un bambino a decidere se in caso di grave infermità vuole vivere o morire? E un neonato? E un feto? E un embrione? E una cellula embrionale? Sul bambino, sul neonato, sul feto, sull’embrione, sulla cellula embrionale, la Legge non dice un bel nulla. A decidere se vuole vivere o morire è dunque chi ne dispone. E chi ne dispone è spesso, se non sempre, un Barbablù. I genitori che stufi di curare i bambini handicappati li abbandonano negli istituti dove muoiono di stenti o di polmonite sono Barbablù. Le madri che partoriscono per gettare il neonato nel cassonetto della spazzatura sono Barbablù. Gli scienziati che custodiscono gli embrioni congelati nei laboratori sono Barbablù. I Barbablù d’un mondo che sembra uscito dalla penna di Aldous Huxley. Cioè un mondo che ciancia di uguaglianza e democrazia ma invece si compone di uomini Alfa, uomini Beta, uomini Gamma.
Torniamo a Michael Schiavo. Molti suoi sostenitori si chiedono per quale motivo non abbia divorziato
E sbagliano. Perché se avesse divorziato non avrebbe potuto recitare la parte del marito devoto nonostante la convivenza con un’altra donna, nonostante l’esistenza di un’altra famiglia. Non avrebbe potuto muover la causa per la deficienza di potassio, intascare il milione e passa di dollari. E soprattutto non avrebbe potuto essere nominato il tutore di Terri, quindi il gestore del suo patrimonio e il suo erede. Ma ora son io che pongo una domanda. Una domanda che riguarda Jodi Centonze, la "seconda moglie" del suo poligamo matrimonio. Perché non si parla mai di lei? Perché non si sa nulla di lei? Perché neanche voi giornalisti ci avete detto chi è, da dove viene, che mestiere fa, come ha conosciuto Barbablù, come reagisce alla tragedia di cui è co-protagonista e forse la causa principale? Per quale motivo i paparazzi che anche in America sono così bravi a invadere la privacy degli altri non hanno mai tentato di fotografarla? Di lei non esiste nemmeno un’istantanea sfocata. Si ignora perfino se sia giovane o vecchia, alta o bassa, bionda o bruna, bella o brutta Da che cosa deriva tanto mistero, tanto pudore, tanto riguardo? Da quando in qua la stampa esercita riguardo nei riguardi del prossimo? Io non capisco.
Già La stampa si è occupata molto, in compenso, dei fratelli Bush. Di George che sia pure in extremis ha tentato di salvare Terri, di Jeb che al contrario ha alzato bandiera bianca.
George Bush ha fatto benissimo a mobilitare il Congresso, fargli approvare la legge che concedeva alla Corte Federale della Florida di rivedere il caso Terri, accogliere l’azione legale con cui gli Schindler tentavano di salvare la figlia in nome dei diritti umani. Rispetto molto la dichiarazione che gli fece subito dopo: "In casi come questo, casi che pongono domande serie e dubbi essenziali, la nostra società e le nostre leggi e i nostri tribunali devono agire in favore della vita. Ciò è particolarmente necessario nei casi di coloro che come Terri vivono alla mercè degli altri". Le critiche che il suo gesto ha provocato soprattutto nella cosiddetta Sinistra americana sono state tanto stupide quanto disoneste e faziose. Un Presidente ha tutto il diritto di rivolgersi al Congresso. E’ il Congresso che emette le leggi, le corregge, le cambia. E’ il Congresso che in certi casi deve intervenire, interrompere o arginare uno scempio. Non rispetto, invece, suo fratello Jeb: il governatore della Florida. Perché se nel 1998 Jeb era riuscito a bloccare la sentenza che accoglieva la richiesta di Barbablù e ordinava di staccare-la-spina, stavolta non ha fatto nulla. S’è comportato come un Ponzio Pilato, è rimasto inerte come un pesce lesso. Al suo posto, glielo giuro, avrei agito in modo ben diverso. Pagando il prezzo che ciò comportava, cioè la fine della mia carriera politica, avrei mobilitato tutti i poliziotti della Florida. Tutti gli sceriffi, tutti i vigili urbani, tutti i pompieri, la stessa Guardia Nazionale, e guidandoli personalmente mi sarei presentata al Woodside hospital. Come un soldato che va all’attacco della collina, sarei irrotta nella camera presidiata dagli sbirri di Barbablù, mi sarei presa Terri, me la sarei portata a casa mia cioè nella mia sede di governatore, le avrei rimesso il tubo nutritivo. Rivoltella in pugno l’avrei difesa da chiunque avesse tentato di contrattaccarmi, e Barbablù non sarebbe mai riuscito a infierire fino in fondo come ha fatto. Ciò può apparire retorico, esagerato, grottesco: me ne rendo conto. Ma non lo è. Perché il governatore di uno Stato è una specie di monarca eletto dal popolo. Finché siede su quel trono i suoi poteri sono pressoché illimitati. Per esempio ha il diritto di fermare in extremis un’esecuzione capitale, graziare un condannato a morte per assassinio. Un condannato a morte per assassinio vale forse meno della vita d’una donna innocente, d’una creatura la cui colpa è soltanto quella d’essere una malata inguaribile?!? Comunque ciò che mi ha sconvolto di più, nello scempio, non è stato il fatto che Jeb Bush avesse rinunciato a esercitare i suoi poteri di monarca ad interim. E’ stato il modo in cui lo scempio si è concluso. L’accanimento con cui, di nuovo complice la Legge che protegge i delinquenti e punisce le loro vittime, Barbablù ha completato anzi esasperato la sua shakesperiana crudeltà.
Complice la legge?
Oh sì. Grazie all’autorità legale conferitagli dai magistrati, li aveva tutti dalla sua parte i rappresentanti della Legge che protegge i delinquenti e punisce le loro vittime. Proprio come i rapinatori che in Italia aggrediscono i gioiellieri e i tabaccai e i benzinai. Ad esempio i rapinatori albanesi e slavi e rumeni, sicché guai se ti difendi sparandogli addosso e mandandoli almeno all’ospedale: finisci subito in galera come assassino e, se pronunci il termine legittima-difesa, i falsi giacobini e i falsi liberali ti definiscono subito razzista-fascista-xenofobo. Ti accusano subito di esercitare l’odio, di istigare all’odio. (All’albanese, allo slavo, al rumeno che ti ammazza, invece, non rivolgono neanche un rimprovero. Anzi lo compatiscono, lo giustificano, lo difendono. Poverino-poverino. E un radicale o un verdicchio che va a trovarlo in prigione per controllare che lo trattino bene, che non gli diano da mangiare il maiale se è musulmano, lo trovi sempre). Grazie all’autorità legale che ho detto, al Woodside il signor Barbablù poteva comandare come uno sceriffo. Pensi alla ferocia con cui le forze dell’ordine bloccavano i manifestanti che alzavano i cartelli con le scritte: "Michael adultero e killer". "Michael fottuto bastardo, bestia senza cuore". "Michael assassino sponsorizzato. Sponsored murderer". Arrestavano perfino i bambini che tenendo in mano un bicchiere d’acqua facevano il simbolico gesto di oltrepassar le transenne e dirigersi verso l’entrata dell’ospedale: ricorda? Uno dei bambini arrestati aveva dieci anni e lo arrestarono mettendogli le manette, immobilizzandogli le piccole braccia dietro la schiena: ricorda? Pensi anche ai check-points che Barbablù aveva preteso all’interno dell’ospedale. Ben cinque posti di blocco interrompevano il corridoio che portava alla camera di Terri. E a ciascuno gli Schindler venivano perquisiti onde evitare che portassero una goccia d’acqua, un fazzoletto bagnato per inumidire le labbra della figlia ormai completamente disidratata dalla sete. Perquisivano con lentezza maligna, scrupolo ottuso, e nella perfidia coinvolgevano pure i parenti degli altri malati. Esigendo le loro carte d’identità, controllandole fino allo spasimo. Infatti mercoledì 23 marzo Jennifer Johnson (che era stata chiamata per assistere alla morte del nonno Thomas malato terminale di cancro e che nella fretta aveva dimenticato di prendere i documenti) venne bloccata per circa mezz’ora. E il nonno morì cinque minuti prima che lei raggiungesse il suo capezzale. Pensi, infine, ai poliziotti che Barbablù aveva voluto nella camera di Terri. Il più robusto aveva l’esclusivo compito di impedire, appunto, che durante le visite gli Schindler tentassero di inumidirle le labbra col goccio d’acqua o il fazzoletto bagnato. E dico: quanto dura una fucilazione, un’impiccagione, una decapitazione, una scarica di corrente elettrica, una iniezione letale? Pochi secondi, credo. Al massimo, un minuto o due. (Cinque se le bestie di Zarqawi ti mozzano la testa a mano col coltello halal). Grazie a Barbablù, invece, l’esecuzione di Terri è durata quattordici giorni. La più lunga, la più lenta, suppongo, dei nostri tempi. E non è vero che si sia trattato d’una esecuzione indolore. Le medichesse che ben truccate e fresche di parrucchiere si esibivano sugli schermi televisivi per raccontarci che la morte di Terri si svolgeva senza sofferenze, mentivano spudoratamente. Uso ad assistere i malati cui il tubo nutritivo viene rimosso, il dottor Carlos Gomez le sbugiardò fino a ridicolizzarle. "La morte per fame e per sete, e soprattutto per sete, è dolorosissima" disse. "Abbassa la pressione, altera i battiti del cuore, provoca spasmi e violenti dolori renali. E lo capisci dalle smorfie che distorcono il volto. Per aiutarli ho sempre somministrato parecchia morfina". Eppure, attraverso il suo legale, Barbablù ci informò più volte che Terri non soffriva affatto. Che stava morendo in modo "sereno-tranquillo-pacifico". Che sul suo volto v’era addirittura un’espressione-felice. E inutile che i genitori disperati dicessero tutto il contrario. "Soffre tanto Ci fissa con sguardo implorante e nel medesimo tempo si batte come un leone Ce la mette tutta, per restare in vita".
La inteneriscono molto, quei genitori, vero?
Sì. Li ammiro molto. Si sono comportati in modo davvero nobile, davvero esemplare. Bobby e Susanna, il fratello e la sorella, idem. Nessuno di loro ha mai versato una lacrima in pubblico. Nessuno di loro si è mai comportato in modo da sollecitare pietà. Tutti e quattro hanno sempre parlato con voce ferma e occhi asciutti. E parlando non hanno mai pronunciato una parola di odio, una frase degradante o volgare. Il loro ultimo desiderio era tenersi tra le braccia Terri quando lei sarebbe spirata, poi riavere il corpo che Barbablù minacciava di cremare e seppellirlo nella loro tomba di famiglia. Così il penultimo giorno Mary rivolse una supplica a lui e a Jodi Centonze. Con volto di pietra, la voce più che mai ferma e gli occhi più che mai asciutti, si avvicinò al microfono e scandì: "Michael, Jodi, now you have your own children. Please, pleeeaaase, give us back our own child. Michael, Jodi, ora voi avete i vostri bambini. Per favore, per faaavooore, ridateci la nostra bambina". Be’, neanche questo servì. Anche dopo questo Barbablù continuò dritto per la sua strada. Parlando di autopsia, oltretutto. E in nome di Dio: chi parla di autopsia mentre il moribondo respira ancora?!?
E poi?
Poi il calvario, la lenta caduta dalla Rupe della Fame e della Sete finì. Alle otto di mattina, il 31 marzo, Bob e Mary e Bobby e Susanna furono ammessi col sacerdote Frank Pavone nella camera di Terri che stava finalmente morendo ma era ancora cosciente. E alle otto e quarantacinque, quando stava per esalare l’ultimo respiro, il poliziotto che con tanto zelo aveva impedito di inumidirle le labbra ringhiò che non potevan restare perché-le-infermiere-dovevan-pulire-la-camera-aggiustare-i-lenzuoli. Bobby si ribellò. Rispose che il pretesto era offensivo e ridicolo, si rifiutò di uscire. Allora il poliziotto lo cacciò brutalmente. Altrettanto brutalmente spinse don Pavone e Bob e Mary e Susanna fuori della stanza. Al loro posto si installò Barbablù con l’avvocato e, beffa delle beffe, crudeltà delle crudeltà, Terri morì con lui accanto. Sotto i suoi occhi.
E poi?
Poi, neanche un’ora dopo, la tv ci trasmise l’immagine dell’ambulanza che percorrendo una strada deserta portava il cadavere all’obitorio nel quale avrebbero effettuato l’autopsia. Eseguita l’autopsia, Barbablù si riprese il corpo e, sempre sordo alle suppliche dei familiari, lo fece cremare. Mise le ceneri anzi una parte delle ceneri (le altre, secondo l’uso, furon buttate via) dentro un’urna. Se le portò in Pennsylvania per seppellirle nella tomba della sua famiglia. A Bob e Mary, Bobby e Susanna, non dette neanche una manciatina di quelle buttate via.
E poi?
Poi morì Karol Wojtyla, e di Terri non si parlò più. Il ricordo della sua Via Crucis venne letteralmente spazzato via dall’apoteosi di Piazza San Pietro, dai funerali del grand’uomo che forse non era stato un grande Papa ma certo era stato un grand’uomo. Un grande politico, un grande guerriero, una vera superstar. E la mia amarezza crebbe. Perché anche in America i giornali non facevano che parlare di lui, la tv non faceva che trasmettere i volti dei milioni e milioni di persone che si disperavano. Che non accettavano la sua morte avvenuta a ottantacinque anni per volontà di Dio non dei becchini travestiti da giudici. "Santo, santo. Lo-vogliamo-subito-santo". Tra i singhiozzi, anche gli osanna di quattro Re e cinque Regine e duecento tra Presidenti e Capi di Stato. (Cinesi e nordcoreani a parte, c’erano tutti. Non mancava che Bin Laden). E in quei laghi di dolore, in quegli oceani di pianto, neanche una lacrimina per Terri. Morta a quarantun anni, ammazzata dalla Legge. Be’ se prima o poi ciò accadrà anche in Eurabia dove parlare di pietà e di speranza non va più di moda, dove le radici cristiane non sono più rivendicate nemmeno da una presunta Costituzione, io non lo so. Ma se questa è la nostra risposta all’islamico Culto della Morte, se questa è la civiltà, se questo è il progresso, se questo è il Mondo Nuovo che il progresso ci prepara, dico: ridatemi il vecchio mondo. Il barbaro mondo delle caverne. Ridatemi l’età della Pietra.