New York. Solo un pareggio per John Bolton, quindi anche per George W. Bush. Ma con una seria prospettiva di vittoria finale nei prossimi giorni. Una bella botta, invece, per i politici europei accusati di aver ricevuto soldi&petrolio dal regime di Saddam. E’ successo tutto tra mercoledì notte e giovedì mattina, quando si sono intrecciate due storie apparentemente diverse ma che invece hanno entrambe a che fare con le Nazioni Unite, con la politica internazionale post undici settembre e con la strategia bushiana di diffusione della democrazia in medio oriente e nel mondo. Il caso politico più rilevante è quello del sottosegretario John Bolton, un falco conservatore legato al vicepresidente Dick Cheney. Ad aprile, Bush lo ha nominato ambasciatore alle Nazioni Unite, ma la scelta è stata contestata dai Democratici della commissione Esteri del Senato, l’istituzione responsabile di avviare la procedura di conferma delle nomine presidenziali che poi spetta all’aula del Senato. Le audizioni sono cominciate il 19 aprile e i Democratici hanno fatto di tutto per dipingere Bolton come il peggior candidato possibile, a causa delle sue feroci critiche al sistema dell’Onu e per la sua attitudine a litigare con i sottoposti su questioni di intelligence. All’inizio sembrava soltanto un polverone sollevato dai Democratici per contestare la politica estera di Bush; una battaglia di bandiera destinata alla sconfitta non solo perché l’opposizione conta 8 voti contro i 10 della maggioranza, ma anche perché dal 1789 soltanto nove volte il Senato ha impedito a un presidente di scegliersi un collaboratore.
Ma a un certo punto è sceso in campo Colin Powell, il quale ha convinto tre senatori repubblicani a non appoggiare la nomina di Bolton. Al Dipartimento di Stato i due erano spesso in disaccordo, in particolare sulla Corea del Nord. Il caso si è trasformato in una faida interna tra conservatori, anzi in una pugnalata alla schiena che Powell, il grande sconfitto della prima amministrazione, ha sferrato contro l’ex collega rimasto al governo. I consigli di Powell sono stati efficaci, nonostante due dei tre senatori alla fine abbiano deciso di appoggiare Bolton. E’ rimasto soltanto George Voinovich a impuntarsi, mettendo la Commissione in una situazione di parità: 9 contro 9. Il senatore dell’Ohio ha proposto di trasferire la questione della nomina direttamente all’aula del Senato, senza alcuna raccomandazione della Commissione Esteri.
Al Senato la maggioranza repubblicana è molto più solida, 55 a 45 (in realtà 54 a 46 con il cambio di schieramento di Voinovich), quindi è molto probabile che Bolton sarà confermato, tanto più che alla Casa Bianca sono convinti di poter contare sul voto di qualche senatore democratico eletto negli Stati del sud, per esempio su Mary Landrieu della Louisiana.
Ieri i grandi giornali americani hanno dedicato vari editoriali e commenti al caso Bolton. Il Washington Post si è ufficialmente dichiarato a favore della nomina con un editoriale dal titolo "Un voto per mister Bolton". L’articolo elenca tutte le accuse al sottosegretario ma conclude in modo opposto: "Continuiamo a non vedere nessuna irresistibile ragione per negare al presidente la sua scelta". Il New York Times ha pubblicato un commento di David Brooks a favore di Bolton. Il giornalista ha riportato le deposizioni di alcuni dei principali accusatori del sottosegretario, svelando che secondo costoro Bolton è certamente un duro, ma anche un professionista leale, uno che alla fine gioca sempre per la squadra. Il giorno prima, sempre sul New York Times, in difesa di Bolton sono intervenuti l’ex Segretario di Stato Jim Baker e l’ex ministro della Giustizia Edwin Meese. Il Wall Street Journal, invece, ha pubblicato un elogio di Bolton scritto dall’americana Catherine Bertini, ex sottosegretaria generale delle Nazioni Unite e presidente del Programma mondiale dell’alimentazione dal 1992 al 2002.
Il secondo caso è quello dello scandalo oil for food. Una sottocommissione di inchiesta del Senato americano, mercoledì ha presentato un rapporto bipartisan con nuove prove contro il deputato pacifista inglese George Galloway e contro l’ex ministro dell’Interno francese Charles Pasqua. Si tratta di un’inchiesta politica intorno alla corruzione del programma Onu "petrolio-in-cambio-di-cibo" e in particolare sulla lista dei beneficiari delle prebende saddamite trovata a Baghdad all’indomani della liberazione (la stessa lista nella quale compaiono i nomi di Roberto Formigoni, di due ex democristiani vicini a Cl e di padre Benjamin). Dalle nuove prove risulta che Galloway avrebbe ricevuto dal regime iracheno 20 milioni di barili di petrolio, mentre Pasqua e un suo collaboratore 16 milioni. Il deputato inglese ha subito smentito, ricordando di aver già vinto una causa milionaria contro il Daily Telegraph (ma lì la questione non era sul merito delle accuse).
Le nuove prove riguardano una deposizione dell’ex vicepresidente Ramadan Yassin, secondo il quale quel petrolio era "una ricompensa per il loro sostegno" al regime e, nel caso di Galloway, "per le sue opinioni sull’Iraq". C’è anche una nota scritta da Saddam il 17 giugno 1999 che indica le assegnazioni di petrolio a Pasqua e, inoltre, documenti firmati da Tareq Aziz che aumentano la quantità di petrolio assegnato.