Camillo di Christian RoccaSorpresa: la Albright sposa le idee bushiane sulla democrazia in medio oriente

New York. “L’Amministrazione Bush ha ragione a sostenere il cambiamento democratico nel medio oriente arabo”, ha scritto Madeleine Albright. L’ex segretario di Stato di Bill Clinton, eroina della sinistra internazionale, ha guidato una task force indipendente del Council on Foreign Relations, il centro studi dell’establishment newyorchese mai tenero con George W. Bush. Il gruppo, coadiuvato da interlocutori arabi, ha presentato un rapporto di 88 pagine dal titolo: “In support of arab Democracy: why and how”, “A sostegno della democrazia araba: come e perché”. Il testo andrebbe letto con attenzione da chi continua a ripetere banalità sulle intenzioni di Washington in Iraq, ma anche Bush dovrebbe tenerne conto se vuole portare a termine la sua missione. Il primo mito sfatato da Albright è quello delle motivazioni dell’intervento in medio oriente: non è vero, spiega l’ex segretario, che l’esportazione della democrazia sia stata sventolata soltanto quando non sono state trovate le armi né le prove di un collegamento tra Saddam e l’11 settembre (in Italia si crede che sia così: dal Corriere a Repubblica, da Sergio Romano a Barbara Spinelli). Albright, invece, scrive che “fin dall’11 settembre”, oltre alle armi e al terrorismo, “Bush ha considerato la natura totalitaria del regime di Saddam come una giustificazione morale per l’invasione. Prima della guerra, il presidente ha specificato la sua convinzione che un Iraq stabile e democratico potesse servire da modello per l’intero mondo arabo”. Tesi ribadita anche dal presidente del Council, Richard Haass, un analista realista e kissingeriano, fresco autore di una critica alla politica estera di Bush. Nonostante ciò, Haass non nega che le intenzioni della Casa Bianca siano state chiare fin dall’inizio: “L’11 settembre ha messo in discussione la politica mediorientale. Subito dopo l’Amministrazione ha cominciato a chiedersi se i sistemi politici autoritari fossero davvero fonti di stabilità come si è pensato negli ultimi 50 anni oppure le cause primarie dell’estremismo che ha alimentato al Qaida. Bush crede chiaramente che il modo migliore di ‘prosciugare la palude’ che produce il terrorismo sia promuovere la democrazia”.
Albright e il suo gruppo sono d’accordo: non hanno cambiato idea sulla guerra in Iraq (“non ha aiutato la credibilità dell’America”) però, allo stesso tempo, riconoscono che “c’è la prova che la rimozione di Saddam e il primo giro di elezioni abbiano contribuito al momento propizio per il cambiamento. I militanti politici arabi possono anche essere in forte disaccordo con la politica americana, tuttavia trovano importante l’esempio iracheno cioè la formazione di partiti politici, l’elezione dei leader e l’adozione di una nuova Costituzione”. La task force spiega inoltre che l’impegno di Bush non è soltanto militare. Ci sono le iniziative a sostegno del commercio, della piccola impresa, della società civile e dei diritti umani, tutte foraggiate dai miliardi di dollari sborsati dai contribuenti americani. La critica a Bush è quella di non impegnarsi abbastanza su questo fronte, di non utilizzare tutto il denaro a disposizione, di non puntare sull’informazione, di non investire sulla circolazione delle idee, di non spiegare correttamente le proprie intenzioni e di non applicare una specifica politica di incentivi economici legati al cambiamento. “Bush dovrebbe proporre una specie di corruzione – dice al Foglio il coordinatore del rapporto, Steven Cook – cioè vincolare i finanziamenti all’adozione di precise riforme”. L’approccio è quindi di tipo riformista più che rivoluzionario, crede cioè sia meglio convincere gli attuali regimi più che provare a sostituirli. Eppure riconosce che dietro la nuova speranza di libertà nella regione ci sia proprio la politica rivoluzionaria della Casa Bianca: “Gli Stati Uniti stanno influenzando gli eventi nella regione attraverso la lotta contro al Qaida, l’invasione dell’Iraq, le richieste di riforma in Palestina e l’impegno per la democrazia nel mondo arabo”. Il rapporto degli anti Bush sostiene che “ora c’è una nuova realtà: nel mondo post 11 settembre, lo sviluppo interno nei paesi arabi è considerato una questione di sicurezza per gli Stati Uniti. E’ davvero così? La risposta è sì”. Parola della neo-neocon Madeleine Albright.

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