Gli Stati Uniti sono il paese della libertà di stampa per antonomasia, al punto che la legge “Freedom of Information Act” impone alle agenzie federali di rispondere per iscritto ai giornalisti che chiedono informazioni su fatti ed episodi tenuti riservati per motivi di sicurezza nazionale. Recentemente è capitato che la Associated Press, la principale agenzia di stampa americana, abbia chiesto al Pentagono di rendere noti i motivi per cui un certo cittadino iracheno sia detenuto a Guantanamo. Il Pentagono ha consegnato alla AP un “summary of evidence” composto dalle trascrizioni degli interrogatori al prigioniero. Dalla sintesi si scopre che l’iracheno ha ammesso che nel 1994 fu arruolato a Baghdad dai talebani, che una volta arrivato in Afghanistan si associò ad al Qaida, che diventò un “uomo di fiducia” di Osama bin Laden e che, infine, “nell’agosto 1998, è andato in Pakistan assieme a un agente dei servizi segreti iracheni con l’obiettivo di far saltare in aria, con bombe chimiche, le ambasciate americane e inglesi in Pakistan”. Non era un progetto incredibile, visto che nello stesso mese al Qaida attaccò davvero le ambasciate americane nell’Africa orientale, causando 224 morti e 4 mila feriti. (Il giornale Babel, guidato dal figlio di Saddam, in quell’occasione salutò Osama come “un eroe arabo e islamico). Sempre nello stesso mese, Bill Clinton denunciò il regime iracheno per aver consegnato ad al Qaida armi chimiche.
Questo è soltanto l’ultimo indizio di una lunga serie di informazioni che, al contrario di quanto scrivono i giornali europei, provano il rapporto tra l’Iraq baathista e al Qaida. Il penultimo è quello di un agente iracheno che nel gennaio del 2000 facilitò una riunione operativa tenutasi a Kuala Lumpur con uno dei dirottatori dell’11 settembre. I documenti ufficiali, compresi quelli della Commissione sull’11 settembre, raccontano che il collegamento tra Saddam e Osama c’era. Non spiegano fino a che punto il rapporto si sia spinto, ma non lasciano dubbi sul fatto che ci sia stato. Del resto i rapporti sul collegamento Saddam-Osama risalgono a un’era precedente la guerra in Iraq, a otto anni prima dell’11 settembre e dell’arrivo di George Bush alla Casa Bianca. Il primo a parlarne fu Bill Clinton. Nel 1998 il suo Dipartimento della Giustizia, quando ancora si pensava che al Qaida potesse essere contrastata in tribunale, mise sotto inchiesta bin Laden con queste parole: “Al Qaida ha raggiunto un accordo con l’Iraq per non operare contro quel governo, mentre su progetti particolari, che specificatamente includono lo sviluppo di armi, al Qaida lavorerà in modo cooperativo con il governo dell’Iraq”. Lo stesso Osama, proprio in quell’anno, era il 23 febbraio del 1998, emanò la fatwa con cui lanciava il jihad islamico contro l’America facendo esplicito riferimento non solo alla presenza delle truppe americane in Arabia Saudita ma anche alla “continua aggressione contro il popolo iracheno” e alla “alleanza tra crociati e sionisti che ha inflitto una grande devastazione al popolo iracheno, uccidendone una grande quantità, più di un milione”. Per questo, scrisse allora bin Laden, è un “dovere islamico” colpire “il Satana americano e i suoi alleati, cosicché imparino la lezione”. Bin Laden parlava della prima guerra in Iraq, quella col bollino delle Nazioni Unite e col benestare di molti paesi arabi. Così come gli alqaidisti di Londra non fanno distinzione tra le guerre in Iraq e in Afghanistan, e così come al Zarqawi non s’è fatto problemi a far saltare in aria la sede dell’Onu a Baghdad uccidendo 22 funzionari internazionali, per bin Laden si tratta della stessa guerra all’occidente e ai regimi arabi alleati. Il Saddam sconfitto e abbandonato dagli altri leader arabi (con l’eccezione di Arafat) era un alleato naturale. Osama condivideva con il rais di Baghdad lo stesso progetto politico: conquistare il mondo arabo, cacciare gli americani e distruggere Israele.
Ancora: fu il liberal Clinton, nel 1998, a bombardare preventivamente un paese straniero, il Sudan, perché stava sviluppando insieme con l’Iraq armi chimiche da fornire ad al Qaida. Richard Clarke, allora ex capo dell’antiterrorismo americano e oggi acerrimo avversario di Bush, giustificò il bombardamento della fabbrica farmaceutica di Shifa con queste parole: “I dati di intelligence collegano bin Laden agli attuali e precendenti gestori della fabbrica, cioè gli esperti iracheni di gas nervino e il Fronte nazionale islamico del Sudan”. In una e-mail inviata al consigliere per la Sicurezza Nazionale, Sandy Berger, Clarke scrisse che la presenza degli iracheni era “probabilmente un risultato diretto dell’accordo tra l’Iraq e Al Qaida”. Nessuno lo metteva in dubbio, allora.
Il segretario della Difesa di Clinton, William Cohen, interrogato dalla Commissione sull’11 settembre, ancora l’anno scorso ha confermato che la fabbrica sudanese aveva a che fare con “bin Laden e con la leadership del programma iracheno di armi chimiche”.
I rapporti tra Saddam e Osama sono stati riconosciuti dalla Commissione sull’11 settembre con queste parole: “Bin Laden ha anche sondato la possibilità di una cooperazione con l’Iraq quando risiedeva in Sudan”. Continua la relazione bipartisan: “Per proteggere i propri legami con l’Iraq, i sudanesi organizzarono contatti tra Iraq e al Qaida. Un alto ufficiale dei servizi iracheni è andato tre volte in Sudan, e ha incontrato Osama nel 1994. Bin Laden ha chiesto spazi per campi di addestramento e assistenza per la fornitura di armi, ma apparentemente l’Iraq non ha mai risposto”. Ancora: “I contatti tra al Qaida e Iraq proseguirono anche quando bin Laden tornò in Afghanistan, ma non sembra che abbiano portato a una relazione collaborativa”. La Commissione non è andata avanti con le indagini perché la sua competenza era circoscritta all’11 settembre, ecco perché non ha "prove credibili che l’Iraq e al Qaida abbiano cooperato negli attacchi contro l’America”, vale a dire gli attacchi alle Torri gemelle. Ma la Commissione ha le prove di incontri e rapporti e scambi di intelligence.
The Connection e il Corano scritto col sangue
Oggi, un anno dopo quel rapporto, cominciano ad arrivare altre conferme stranamente ignorate dai giornalisti americani con l’eccezione di Stephen Hayes, autore del libro “The Connection” e curatore di un lungo reportage sui più recenti sviluppi pubblicato dal Weekly Standard. Hayes ha raccontato che in una base in Qatar l’intelligence americana sta analizzando oltre un milione di pagine sequestrate negli uffici dei servizi iracheni al momento della caduta di Baghdad. Nei primi documenti scrutinati si legge che, a partire dal 1992, il regime iracheno considerava bin Laden “un assett” dei propri servizi segreti. Si legge che Saddam ha protetto e nascosto l’iracheno che aveva ammesso di aver preparato l’ordigno dell’attentato alle Torri gemelle del 1993. Si legge che Saddam ha accettato la richiesta di Osama di trasmettere propaganda antisaudita alla televisione di Stato. Hudayfa Azzam, figlio del mentore di bin Laden, ha detto che prima della guerra in Iraq, Saddam ha accolto “a braccia aperte” membri di al Qaida “entrati in Iraq in grande numero per mettere su l’organizzazione che si sarebbe opposta all’occupazione”. Il re di Giordania Abdullah ha ribadito che prima della guerra il suo governo aveva chiesto a Saddam di consegnare al Zarqawi, cittadino giordano.
Il 3 febbraio 1998, venti giorni prima della dichiarazione di guerra totale all’America a causa delle sofferenze causate “al popolo iracheno”, il numero 2 di al Qaida, Ayman al Zawahiri si recò a Baghdad a incontrare i leader iracheni. Secondo il settimanale U.S News & World Report, ora confermato dai documenti sequestrati a Baghdad, ricevette 300 mila dollari. La Commissione sull’11 settembre ha aggiunto che pochi giorni dopo la fatwa di Osama, risulta che due inviati di Al Qaida “sono andati in Iraq a incontrare i servizi iracheni”. Dalle carte di Baghdad risulta uno dei due inviati rimase in città dal 5 al 16 marzo nella camera 414 dell’hotel Al Mansour. La Commissione sull’11 settembre ha scritto che pochi mesi dopo una “delegazione irachena è andata in Afghanistan a incontrare prima i talebani, poi Bin Laden”. Secondo la Commissione questi incontri sono stati organizzati da Zawahiri, “il quale aveva suoi legami con gli iracheni”.
La visita di Zawahiri a Baghdad è contemporanea a una delle annuali riunioni islamiste chiamate Conferenza Popolare Islamica, simili a quelle ideate dal fondamentalista Hasan al Turabi, l’architetto della rivoluzione islamista sudanese del 1989. Quella del 1992, all’hotel Rashid, si concluse con una chiamata alle armi da parte di 500 islamisti che si prepararono a trasformare l’Iraq “nella fortezza del jihad islamico accerchiata dalle forze atee”. Le conferenze islamiste di Saddam, iniziate nel 1983, si sono tenute fino alla caduta del regime e avevano l’obiettivo esplicito di coinvolgere laici ed estremisti islamici nella comune lotta contro l’America. La quarta conferenza fu aperta da un messaggio di Saddam che descriveva la guerra con l’America come una battaglia “tra credenti e infedeli”. Saddam ha sempre cercato di conciliare il nazionalismo arabo-iracheno con l’Islam, fin dai tempi della guerra con l’Iran. Del resto, come ha scritto Carlo Panella nella sua biografia di Saddam, è sbagliato pensare che il baathismo sia una ideologia laica e distaccata dall’Islam. Nel 1943 il fondatore del partito Baath, il siriano Michel Aflaq (cristiano convertito all’Islam) commemorò il Profeta Maometto dicendo che “l’arabismo è un corpo, la cui anima è l’Islam”.
Questi episodi smentiscono la tesi del “laicismo” del regime di Saddam. Dopo la sconfitta del 1991, il rais impresse una svolta islamista all’Iraq ben visibile nella retorica, nei continui riferimenti al jihad e nell’inserimento della scritta “Allah è grande” al centro della bandiera irachena. Nella grande moschea di Baghdad, inaugurata nel 2002, fece esporre 650 pagine del Corano con venti litri del suo sangue donato in venti anni.
In seguito ai bombardamenti di Clinton su Baghdad del dicembre 1998, durati 4 giorni, Saddam inviò il suo agente più fidato, Faruq Hijazi, in Afghanistan per incontrare Bin Laden. I giornali di tutto il mondo ne scrissero, compreso il Corriere della Sera del 28 dicembre 1998, e titolarono così: “Saddam Hussein e Osama hanno siglato un patto”. Newsweek citò un agente arabo che profetizzò: “Molto presto vedrete attività terroriste su larga scala contro obiettivi occidentali, guidate dagli iracheni”. Le notizie erano convergenti: Osama voleva spostarsi a Baghdad. Richard Clarke scrisse nero su bianco che se Osama fosse stato al corrente dei piani americani in Afghanistan molto probabilmente sarebbe scappato a Baghdad.