Camillo di Christian RoccaI guai di Tom DeLay, il duro che in Texas voleva far arrestare l'opposizione

Milano. A un anno dalle elezioni politiche di metà mandato, il Partito repubblicano si trova nel bel mezzo di un guaio: il suo leader al Senato, Bill Frist, è sfiorato da un sospetto di aggiotaggio in Borsa; uno dei lobbysti del partito è accusato di ogni finanziamento illecito possibile; mezza Casa Bianca è stata interrogata per stabilire se ha soffiato o meno alla stampa il nome dell’agente della Cia Valery Plame. Mercoledì un pubblico ministero del Texas ha accusato di associazione a delinquere, per violazione delle leggi sul finanziamento ai partiti, il potentissimo numero 2 della Camera, Tom DeLay detto anche “the hammer”, cioè il martello, per la sua straordinaria capacità di tenere i deputati conservatori inchiodati alle direttive imposte dal partito.
Sono scandali di modesta entità, perlopiù di tipo etico, ma che consentono ai Democratici di immaginare una campagna simile a quella che i Repubblicani condussero nel 1994 per conquistare la Camera dopo quarant’anni di dominio Democratico. E’ improbabile, però, che la fine dell’era DeLay, come è stata definita ieri sia da opinionisti liberal sia da David Brooks sul New York Times, riconsegni il Congresso ai Democratici. Intanto perché lo scarto tra i due partiti è molto ampio e poi perché le accuse nei confronti di DeLay, contenute in tre striminzite paginette, appaiono fragili anche a chi, come il Washington Post, considera il deputato texano l’emblema dell’arroganza del potere politico.
Tom DeLay, erroneamente definito “il mastino dei neocon” dal Corriere della Sera, è un conservatore tradizionale, un uomo di partito e di azione, non un ideologo. Bush non lo ama, ma non può farne a meno perché soltanto grazie al “martello” le sue proposte riescono a diventare legge. DeLay è noto per i suoi metodi spicci, per l’assoluto disinteresse a stringere alleanze o accordi bipartisan, per il pugno forte con cui controlla lobbysti e parlamentari. In Texas ne ha fatte di tutti i colori. Tre anni fa si adoperò per far arrestare i deputati Democratici che volevano boicottare una seduta parlamentare che avrebbe rimodellato i collegi elettorali in modo tale che alle elezioni federali i Democratici non ottenessero alcun seggio. Senza la loro presenza in Aula, per mancanza del numero legale, il piano non sarebbe andato in porto, così l’uomo di DeLay che guidava l’Assemblea texana emise un ordine d’arresto per i deputati assenteisti. I Democratici si rifugiarono in un hotel dell’Oklahoma, fuori dalla giurisdizione texana e DeLay provò anche a far intervenire l’agenzia federale dei trasporti per costringere l’aereo in cui viaggiava il leader Democratico ad atterrare in un aeroporto del Texas dove avrebbe trovato le manette.
Oggi DeLay è accusato di aver partecipato alla violazione delle regole che vietano alle aziende di finanziare direttamente le campagne elettorali dei candidati, ma che consentono di pagare le spese amministrative dei comitati politici. Secondo l’accusa, nel 2002 DeLay avrebbe complottato per far girare al partito Repubblicano 190 mila dollari legittimamente raccolti da un gruppo di pressione a lui vicino, il Texans for a Republican Majority che si batteva proprio per cambiare i confini dei collegi elettorali. Subito dopo, da un conto corrente diverso, il partito ha spedito sette assegni da 20 o 40 mila dollari ad altrettanti candidati repubblicani. Un’elusione della norma, in passato già contestata ai Democratici proprio in Texas, ampiamente diffusa e non completamente illegale. L’altro grande e controverso protagonista della vicenda è il magistrato che ha chiesto l’incriminazione. Ronnie Earle è stato eletto District Attorney nelle liste del partito Democratico e già due volte ha messo sotto accusa avversari politici, una senatrice repubblicana e un ministro texano democratico, uscendone sconfitto su tutta la linea. A un incontro pubblico dei Democratici, Earle ha paragonato DeLay a “Mussolini”, mentre la National Review ha scoperto che Earle ha ritirato le accuse di illecito nei confronti di altre aziende implicate nel caso in cambio di donazioni a istituzioni liberal, associazioni benefiche e gruppi di pressione di sinistra. Così ieri DeLay ha potuto dire che il suo accusatore non ha tenuto un comportamento etico.

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