Camillo di Christian RoccaOggi referendum, domani primarie

Questa mattina, mentre il centrosinistra italiano definisce gli ultimi dettagli di una poderosa e importante manifestazione politica che si concluderà con un inutile e scontato plebiscito a favore di Romano Prodi, gli iracheni di tutte le etnie e di tutti i credo religiosi voteranno liberamente e democraticamente per la seconda volta in pochi mesi, nonostante le minacce dei fascisti islamici di Zarqawi e protetti dalla forza militare multinazionale autorizzata dall’Onu, ma non da Pecoraro Scanio. La sproporzione tra i due voti non può essere più grande: in Italia non c’è nulla in gioco, in Iraq c’è l’adozione di una Costituzione democratica e di un modello di convivenza civile che si contrappone alla barbarie saddamita e qaidista. Il paragone tra i due eventi, quello italiano e quello iracheno, non è tirato per i capelli. Le primarie del centrosinistra, infatti, confermeranno la leadership di un uomo politico che, se fosse al governo, avvierebbe subito le procedure di ritiro dall’Iraq delle truppe italiane, le stesse truppe italiane che questa mattina – mentre i centrosinistri gonfiano i palloncini e srotolano gli striscioni davanti ai finti seggi delle primarie – difendono fisicamente i cittadini di Nassiriyah che corrono verso i seggi veri del referendum, sfidando i kamikaze e scommettendo sul proprio futuro.
Piero Fassino, all’ultimo Congresso dei Ds, ebbe l’accortezza di ricordare al popolo della sinistra che i veri resistenti ovviamente non erano i nostalgici del dittatore e gli amici di Osama, cosa che gran parte del popolo della sinistra continua a credere nonostante le carneficine e le stragi, ma quegli otto milioni di iracheni che sono andati a votare per la prima volta nella loro vita grazie all’invasione anglo-americana che ha destituito il loro trentennale torturatore. Quelle parole di Fassino sono rimaste lì, inascoltate. E oggi, dopo che a quei resistenti fassiniani si sono aggiunti anche i sunniti che il 30 gennaio non avevano partecipato al processo democratico, non si trova nessuno che abbia tempo, impegno e decenza per incoraggiare lo straordinario successo che gli iracheni – grazie agli americani, agli alleati e all’Onu – sono riusciti a ottenere. Anzi si serrano le file, si continua a invocare il disastro e si promette agli iracheni che non vediamo l’ora di lasciarli soli e a mani nude contro i loro carcerieri. Le donne tornerebbero a non valere nulla, come chiunque ai tempi di Saddam? Oppure la metà di un uomo, come piacerebbe a Zarqawi? Chissenefrega, la sinistra nostrana preferisce indignarsi per le quote rosa.

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